destrezza nella media
ebbrezza nei fine settimana
stazza sì, non ci piove
100 chili e oltre
per 1 e 90, piedi grandi
cosce tornite, sì.
detto così suona
come vanesio epitaffio
invece ancora
la morte mi fa un baffo.
e se fosse farneticazione
o gioiosa evasione?
piuttosto
questione dolosa:
esser viventi
per far gli altri ricchi
noi di desideri e astrazioni
distrazioni e ammonizioni,
loro d’immobili e inazioni
yacth e azioni.
Mese: giugno 2016
il mo(n)do là fuori è terribile
desiderare l’indesiderabile
morti e sepolti ci rende.
il premio pospone, l’idea gioia
è la macelleria del desiderio
che ci vorrebbe vivi ed invece ci snatura
preclude ed allude.
è così dal prima al dopo
non ci rendiamo più conto:
tutta pubblicità
servizietti per ricche corporation
morti che camminano, giganti nani.
questo il mondo che vogliamo?
ce lo teniamo bello stretto
sino all’orizzonte ampio
del senzatetto.
è qui la festa?
no no, neppure nell’alto dei cieli.
pensare e ritenere giusto
e i condizionatori tremano
le sirene latrano, gli aerei alle venti
rombano e si ripete.
abbraccia l’azione umana
tutto quel che alla natura compete
riguarda il cuore e mente
il passionale, l`indifferente.
scalzo vago nella canicola
bistecca sulla graticola:
allora andrò a ripescarmi
rinfrescando in giardino
piante boccheggianti.
più a nulla credo, ma godo.
sopra e sotto
sole abbacinante
ad altre cose. un’idea
convivente con tante
azioni diverse. questioni irrisolte
ed il male: quel silenzio profondo
che permane nel mondo:
è descrivere muto il mare.
normalità esemplare
il quartiere è cambiato
il quartiere operaio:
l’edicola è scolorita
il pioppo s’è fatto imponente
e pare neve furente
la sua voglia d’esserci
ed appartenerci ancora
e distrattamente
più auto parcheggiate
le grandi pozze quando piove
erbacce lungo i marciapiedi
più rumore non umano
più condizionatori e sirene
meno negozi
più serrande chiuse
più sconosciuti alla porta e al telefono
più scritte sui muri
meno facce conosciute
tante facce sconosciute
i visi son cambiati
nelle rughe, negli sguardi
guardano a terra
in cerca,
son cambiati i lampioni e le case
i bidoni della spazzatura
molte buche
molte discese per
molte rotonde
più silenzio la domenica alle 11
su e giù
giù e su
tutto cambia
ma tutto resta identico
alla prima sensazione
di vuoto calmo.
armarsi di pazienza
ed ascoltare.
c’è tutta la magia
nello sguardo.
tutto l’usuale
nelle mani.
figliolo
non basta mai
nella stanza vederlo gattonare
sfregando piccoli piedini
fasciati di calzini
non basta mai vederlo zompettare
maldestramente tra mobilio
senza periglio. ogni
pochi centimetri un rumore, un lamento
un urletto, un gorgoglio: mascalzoncello
occhi vispi
tenero come solo una volta
si può, rugiada.
e ancora non proprio intelligente
per non cancellare
il gesto eterno, nel maturo ripetitivo.
leggi e poi copia
ricordarsi d’aver vissuto
anche per gli altri.
nel dormiveglia celebrando
un desiderio per davvero.
dimenticarsi d’esistere, per se stessi.
elaborare il lutto
per non tremare come sassi.
perfettibili
pasticci e risvolti gioiosi
come i dada tetetebu dada del figlio
a tavola con la glossa. teorema è vivere
postille le azioni lineari o non.
fantasia al potere torna, ti prego.
non c’è vergogna nel ritorno, a volte.
volente o nolente
azzardarsi a non resistere e ottenere.
si campa talmente poco ed è tutta corsa
abbaglio. la prevenzione sarebbe obbligatoria
ma è evanescente. il trauma un’opzione aleatoria
invece costante. accidenti a te vita, che devo viverti!
pleniluni
in carni le carcerazioni
più o meno lievi
come starnuti, colpi di tosse
le marce strambe
dinoccolati sperperi
d’energie e sognanti fulmini.
le carte buone
che vengono soccorritori
come san bernardi in colori.
naturalmente tutto sognato, manipolato
digerito, consumato.
per sempre. per sempre.
immunodeficienza
ho preteso l’imprendibile
ed atteso l’indifendibile
ho creato ed urlato
ma la goccia non è caduta
il vaso colmo non s’è rovesciato:
quando chiedo mi domandano
quando rispondono non mi interrogano
è quest’amore per il non detto,
impenetrabili labbra sottili
come certe nubi nel terso cielo,
che tallona il furore traboccante
nell’esserci sulla terra mobile ed immobile
e allora che sia festa ancora una volta
che lo sia per non creare imbarazzo, l’anima voli
perché ad ogni costo si vuole esser immuni ai dolori.
ninna nanna
il bimbo che vuol dormire
è prolasso di sentimenti buoni:
s’arrotola, si srotola, ciuccia il ciuccio
lo perde, ride e piange
ritrova il ciuccio, gioisce, inveisce con facce di Bacon.
piccoli occhi chiusi d’ingegno perfetto.
doloranti saltimbanchi
se ne va impettito indispettito
il tempo spento
come al contrario
un avvento lento
degenere non genere:
venuti ci si chiede
per cosa? dove, perché?
eppur si muove!
e quando, assai duole
come un rosario sotto le suole
questo torrente di carne
fatto per disfarne.
religioso a singhiozzo
se questo dio ha parola
lassù uomo barbuto
su nuvole di panna
e sterco. se io
ho parola
in questo fango doloso
e guerrafondaio, senza salvezza.
se tu mi sopportassi
quale io sia
quale saró,
lontano
da ogni bene
da ogni male, io. son qui.
frangibili fraintendimenti
mancano i tempi finiti
a questa stagione ancora invernale
forse autunnale nei modi negli aneliti.
come l’uomo muovesse i primi passi
non da conquistatore, da studioso
dei suoni di volatili e cultore delle nubi
che disegnano e pregano sempre più forte.
l’uomo s’è così smarrito.