abbiamo necessità di parole

abbiamo necessità di parole
per riempirci la pancia
non affogando nella bilancia
parole confuse e ammaccate
dal vento del progresso
dalla folata della comunione
e disperazione. abbiamo
necessità di parole perché
siamo arti deboli e violenti
attaccati al ramo che seghiamo
dalla parte dell’albero.
e l’albero è felice: è come
un peso in meno, più o più.
abbiamo le parole per far finta
di vivere coi fiori in primavera.
abbiamo necessità di parole
per spiegarci e non grugnire
per armarci e non deflagrare
per amare e starsene zitti zitti
abbracciati nella pelliccia cuore
che tiene calore. o è solo il cervello
che dipinge un quadro espressivo
e c’ancora mani e piedi ad un visivo.
abbiamo parole ed un bisogno.

tramanda tremenda

l’attesa si tramanda di padre
in figlio, un figlio può attendere
una vita intera prima della comprensione
al netto del lavoro la casa l’amore
di tutto il tempo sprecato e laccato
di giustizia, leccato di presunta
immortalità. non viene meno l’assunto
c’è tutta un’indeterminazione muta
che è quanto ci si aspetta asserviti
che è tutta vile da dimostrare
come un campo illimitato d’arare.

ago

l’abete in marzo
perde sempreverde
gli aghi. mi pungo
punto per punto
neofita cinese
dell’agopuntura

demenziale

una luce soffusa
per andare alla deriva
con te, anche confusa
perché polverosa è la terra
contusa perché violento
è il firmamento e noi
provincialotti scorgiamo
solo poco sotto il mento.
che andiam alla deriva
non so per quale diatriba:
dimentico tutto, son poco nulla
per quattro faccio il volgare
m’allontano quatto quatto
dall’altare.

*

il poeta è un’esteta
senza meta
nella città eremita
tra cielo calmo
e fragor di marmitta.
una bestia rara
nella ruggia dei motori
tra lo scappamento
e l’impegno alla luce
al bene e al male
al più interessante diseguale.
un animale da cortile
un vile: il poeta sceglie la corrente
non più follia e baionette
scrive canzoni corrette senz’emozioni.
il poeta frettoloso verso la festa
che infesta con autografi
fanatismi retrogradi.
persino il poeta di partito
che fine oscena:
fuor di scena
senza un tema
se non ego.
che pena.

l’abbuffone

cresciuto con lo strutto
nel sangue, friggione
zuppa imperiale e pasta fresca.
il domenicale era pranzo
fatale -oggi il dietista
m’imporrebbe una traversata
nel deserto per sublimare
le calorie in eccesso
ed io in risposta
ingurgiterei salsa verde
e del lesso
tanto prima o poi
giungeremo al decesso.

abbaiare

niente sono
mischiato con nulla
non sono l’ago
nemmeno il piatto
della bilancia.
faccio la mia vita
entro ed esco di casa
con la schiena dritta
il mento alto
sguardo libero
di andare poco oltre
le case in fila
come pecorelle.
il pastore reclama
il gregge- 
cane non sono
ma farò finta
d’abbaiare.

il cielo è un terribile magma

il cielo è un terribile magma
un intestino di blu, grigi e bianchi
un inviluppo di nodi e tarpati
sviluppi, come nella seconda di mahler.
un gorgo di feroci passioni
e indifese quisquilie.
poi d’improvviso tutto si placa
il rumore s’azzera ed un vento superiore
eco lontano, riporta l’uniforme pastrano
si mescolano colori ed il grigio vince.
tutto ciò che s’era detto non vale più
uccelli volano nel quadro, il vicino termina
il trasloco, un cane abbaia, la luce s’accende.
la sera porterà quiete? sveglio sarò e non pioverà.

incorporeo

gl’umani quanto s’ingegnano
per lasciarlo un segno:
con forza, coll’inazione
più  spesso con ostinata discrezione.
quella del disegno d’ogni giorno
dell’amabile, dell’armare, del presunto ordine.
chi perlopiù vive nel silenzio
nel silenzio incorporeo ritorna.

quando un padre

quando un padre
ti muore di cancro
tu pensi d’essere spiccicato
fatto con lo stampo.
quando un padre muore
il figlio ne sarà l’eguale traslato
padre d’un figlio nuovo e ricordo
come una matrioska di tessuto e metafora
educatore fraterno amatore
il tempo di vivere
il tempo di trasferirsi
non essendo più carne
nemmeno stomaco marcito
alito puzzolente
ma solo previsione
come una nube di polvere
che si deposita sul mobilio
l’ombra magica che indica
di là, di là dalle fiamma
aldilà del burrone.

a volte quando arrivi

a volte quando arrivi
incespichi sui declivi
ed i rigagnoli son burroni
le apparenze spoliazioni.
eppure la magia dell’arrivo
è il giorno dell’infanzia
che ha fatto crescere di colpo
il bambino, è l’eterno
marchingegno che ci tiene
in pista, c’implora d’umanità
intimo fraterno destino.

cattocattolici

i fratelli c’insegnano
come si fa la democrazia
con flash ball e diplomazia
di segreti servizi e militari
in carriera, mentre nel bel paese
ogni moto di popolo
è squadraccia e canti di fascio
e rutto libero. bei tempi
delle rivoluzioni andate.
oggi si sciopera in ordine
dalle 17:00. del venerdì.

alberi ciechi

a tratti
si sta
negli alberi
ciechi
mani nelle radici
occhi nei boccioli.
e s’aspetta primavera
il caldo soffocante
agostano. si rotola
a capofitto
col discernimento
della cellula clonata.
del prato incolto
ma verde ed ampio.
col suono della pietra
ed i sonagli
del sempre.
la reincarnazione
dell’argilla
prima della bocca
del forno.
e la corteccia
che protegge dalla bufera.
a tratti si sta
negli alberi
ciechi.

specie speciale

tatuarsi il nulla
vuoto specialmente
così da cancellarsi
non esistere, mai fu, ei fu.
invece voglion tutti
esserci, sproloquiando.
come il codice a barre
si concede alla pistola
il digitale comanda.
si nasce urlando
poi si può silenziare
il tormento. al momento.
il gregge uccide la specie
o la potenza nella dittatura
anche democratica-
apparentemente, demoniaca.

*

alle quattro là fuori
i passeri cantano ancora
un giorno come un altro.
in alto il cielo terso
in basso la terra fredda.
povero cristo che la calpesti
col laccio nel taschino
livido, disteso ora sotto
il portico, cristo biondo.
nel silenzio come altri
assopito. l’alba viene
nuova e non riscalda.
i passeri insistono sul ramo
lo sconosciuto a piedi
davanti ad una porta-
a forza di bussare
qualcuno aprirà.
le stelle scemano
in giorno, indecise.

poesia di merda

poesia di merda
il mondo è in fiamme e…
e lei parla d’amore
ricordi abnormi
o d’un fiore.
poesia inutile
poesia futile:
non fa la rivoluzione
non fa la differenza
sta lontana da tutto
dal sangue e dallo sperma
dal pugno e dalla galera
dal fetore e dal pozzo nero
poesia del cazzo
almeno servisse
a parare le flash ball
o ad impedire ad incerti apolidi
l`abbandono della terra
per un paradiso
col numero chiuso
un paradiso in saldo
un paradiso clonato
e bastardo
poesia, poesia
non annoiare
soddisfa il sangue
descrivi la rabbia
abbracciala e urla.
sei un errore
stupro
un tanto osannato aborto
nono mese di follia e macello.
sei il miliardo in più
corona di spine del figlio di dio.
stuoino che avvampa
davanti alla casa di nessuno.
preghiera del massacro
indifferenza al creato.
poesia poesia
mamma cattiva
mamma serial killer
troia sterile e femminista
da barzelletta
che tu sia benedetta
che tu sia maledetta
poesia, poesia. poesia.

*

il vicino con moglie e bimbo
ha traslocato, via silenzioso
e non loquace è sparito.
dopo dieci anni di vicinato
non mi si è neppure mai
veramente avvicinato.
nemmeno m’ha salutato.

*

fiorisce il pesco
tra mura ed il giardino.
abbastanza caldo per svegliarlo
ma ancor troppo freddo
per figliare. io stesso
da dentro, del sole
cauto testimone.

*

sono biologo
mi do al microbo
nel troppo piccolo
c’è l’infinitamente grande.

*

l’antropologo dovrebbe
spiegarci quanto siamo
civilizzati. o quanto in percentile
dovremmo di nuovo salire sui rami.
chi mi ama non mi segua.
non gli darei mai tregua.

*

passa l’aereo
mi lascia
scie chimiche
di traverso
passa il passero
volatile guano.
2 rifiuti
in un giorno solo.

*

i giorni del sole
non piove da mesi
io i panni li ho stesi
ma ho il terrore di fuori
di non veder più i fiori.

3 poesie piccole per i passanti e gli astanti

nessun editore
qualche lettore
su di una mano.
mano a mano
vengono e vanno
un pasto eppoi
di corsa alla mostra:
le vanità vanno servite fredde.

*

il lettore ti legge
è fuori dal gregge
ma non sai chi sia
è virtuale, oggi
la bramosia può
esser puramente
cerebrale. selezionato
dal solo gusto personale.

*

scrivi per diletto
non per esser letto.
ti va di traverso
l’istituzionalità:
dà quella sensazione
di sazietà.

ascolta la grande musica

non si ascolta la grande musica
nei bar, nei parcheggi è un sottofondo
un brusio insignificante, amorfo
i visi sono spenti perché
i cervelli
sono spenti da tempo
è più freddo
anche l`inverno è gelido
gelido come i ghiaccioli montani
la grande musica dimenticata
nel paese di Gesualdo, Corelli
Frescobaldi, Monteverdi. chi si dimentica
il proprio passato non è mai esistito
di volta in volta sarà qualcosa d`altro
qualcosa d`impreciso, d’indefinito

decideranno altri.

ehi, amico

hai mai osservato
la gente che esce dalla metropolitana?
sono tutti incazzati
facce scure drammaticamente
segnate dalla vita infame
e il perché è presto detto:
il mutuo, le tasse, la separazione e il lavoro.
poi viene la mamma o il papà ammalati
(ma se sono abbastanza vecchi
si infilano in uno ospizio
con qualche stronzo di dottor menghele
ed il problemone è risolto)
le rate dell’auto ed il cazzo che non si rizza
(la figa di legno non ha nemmeno questo problema
è così abituata a mentire).
hai mai osservato la gente
che esce dalla metropolitana di giorno?
meglio ancora quella che esce la sera
dopo 8 o 10 ore di schiavitù
in qualche ufficio superfluo
a bollare carta igienica
o in qualche fabbricuccia
intestata a un cinese
che ha chiaramente mire espansionistiche globali.
che visi nevrastenici. e pensare
che cento anni fa
saremmo stati in qualche casolare
in mezzo alla campagna coltivata e malarica
ad osservarci con le stelle tra di noi
stanchi morti
ma rispettosi.
e tutta la compassione cristiana del caso.

alla finestra

indicazioni
per le tue
emozioni
non ci sono
vai a destra
vai a sinistra
mi vien male
alla testa
e tu sei lesta
a rigirarti
rigirarti
rigirarti
come un dado
che mette
a soqquadro.
anche chi vince
la partita.

progettazione

i progetti lungo il viaggio
nascono e muoiono, così.
eppoi i viaggi: ci copriamo
le spalle coi progetti, li amiamo
li salutiamo, come taluni amici.
e sfumano, come alcune amicizie
o il rossore della zanzara
che ha appena poppato:
quel sangue scomparso
è andato a far altra prole.

alle giornate mondiali

quante palle ci raccontano
dall’alto basso i giornali
del loro capitale inumano
venduto e spacciato
per oro colato.

la stampa accarezza
il pelo del padrone
illusione dei cervelli apatici
l’equilibrio, la completezza
il pallore del vero.

unica evasione
instillare il dubbio
ad ogni proficua occasione
come corrosione.

c’organizzano, ci stipano felici
in fila per due col resto di nulla
in una nuova battaglia
con la serale medaglia
tutti in piazza, tutti in piazza!

ed intanto vi fottono il cervello
con la mazza
come al tiro al piattello.

faccio di carta un bel rotondo pallone
me ne libero beato con lo sciacquone
non farò la fine del pesce coll’amo
sarò cervello pensante che amo.

marzo

marzo è il vicino
scende le scale
si porta via il cagnolino
l’ucraina con lui
poliziotto dell’equilibrio
sennò girello.
è un sole timido
aggrappato all’ora solare.
un odore di brace
di romeni che non vanno al mare.
quando ti stringo a me
è marzo. pazzerello
per diletto. marzo
ci sarà tutto il tempo
marzo promessa
io ti prometto
che non dubiterò.
vedo la gemma
nell’ansia del ramo
farsi fiore.

vieni qui che ti spiego…

se vuoi scrivere
scrivi
e non rompere i coglioni
a nessuno
osserva il sole
dietro un bel paio d’occhiali
e scrivi
guarda le nuvole in movimento
tieni alto il mento
non frignare
incendia l’ossigeno
col comburente
della tua carne
strafottitene dei corretti
ammanta di poesia i reietti
gli scontrosi
gli irosi
i pulciosi
gli invidiosi
i tediosi
non piangerti addosso
lacrime di coccodrillo
che tanto fanno
poeta con sciarpa e pipa.

che tu sia furente, selvaggio e terribile.

musica delle parole

aulico non sono
e m’affascina
la difficile perfetta
incastonata parola.

e musicale s’impegna
in armonia, canto:
passione musicale
che di moda non passa

e se anche c’è
l’antipoesia, il caos,
i poeti scaltri
e tronfi, la banalità

la semplicità vuota
ed esibita dei vati, la poesia
sopravvive, s’inerpica
scala, cinge la perfezione

irradia, silenziosa monda. affonda.

come spesso accade

il mio cucciolo mi dorme a fianco
schiena a schiena
cuore a cuore, stesso alito
era un grillo
sino ad un momento fa
e ora lo sento
polmoni lenti e regolari
sprofondato nel mondo sognante
serenamente posseduto da morfeo
in posizione fetale
come ancora in pancia

anche se lì io non arrivo
non posso proteggerlo
la mente può esser divertente
o tremendamente pericolosa
un mostro con coda e artigli
in quel pugno di neuroni
in formazione costante
ci sono tutti i giochi del giorno
tutte le parole sentite
tutte le spinte
gli atti di sopraffazione
sgambetti, urla, graffi e pugnetti
ma anche tutta la bontà umana

il latte coi biscotti, la cioccolata,
il contatto, gli occhi dolci, carezze
parole stralciate, copiate, storpiate.
tutto mescolato
per neofiti di vita
un corso accelerato.
anche nei sogni più cupi
salvarlo dal lupo cattivo.
un padre può questo.
e altro.

*

come si nota il grigio
nelle buie giornate
quando uno spiraglio
semplice del sole potente
pare un segno divino
come si nota.
e si vede il mondo
che fatica, stride, ulula
urla e mugghia.
rotola la pietra
su un catrame d’ossa.
quell’attimo di sole
sorriso di cielo
impara ad amarlo.

noi e gli altri

non sappiamo l’uno dell’altro
facciamo i salti mortali
per non svelarci il sipario.
siamo al sicuro perché sicari
costretti nell’acquario:
facciamo un inventario
e vediamo quanti sanno
degli altri, quanti sapranno
creare dei genuini legami
senz’essere eroici, ma normali.

profanarono i corpi

schiantarono i corpi
come rasati canneti
e la terra rossa
odorò di principio
come un parto
di fine come
smembramento.
i colori si fecero tinta nera
l’umanità migrò
ma l’accolse nessuno:
non c’erano soldi
non c’era scambio
non si poté decifrare
il disegno
né barattare odio
con altro.
fu abbastanza
tracimò ed il silenzio
parve eloquio celeste, oblio.

cosa fu amarsi

l’amore è un pezzo di culo al sole
neanche la briga delle telefonata
ed i fiori sull’inferriata, messaggeri.
è logoro il tempo del delicato
si va al sodo, come i macellai
col quarto di bue. si rizzano i peli
antenne di romanticismo eppoi il resto
certamente maschio a venire
carne nervi ossa nel deperire.
ora è prima eiaculazione
poi mai ti sposerò, ti rivedrò
se non per corrispondenza
incoscienza della solitaria dipendenza.
nemmeno il messaggio delizioso
nell’androne di casa, dolce amore
una filatelia compulsiva dispersiva
ed il coito a disarmare disamorando
il mondo. boia, come diventammo inerti.

renovatio

vorrei scriverti di tutto il cielo
ma sono già annoiato e stanco.
vorrei concederti il beneficio
del dubbio e farti una trasfusione
delle mie passioni. vorrei soffonderti
nella luce brumosa della notte lieve.
vorrei ammalarti dei miei apici
picco picco di segnali impulsivi.
amerei tutte le tue consonanti
una dietro l’altra come vagoni
di un treno alta velocità e le tue vocali
suoni dolci e cantabile di monteverdi.
ma l’impossibile è anche impensabile.
e tutto viene giù semplice semplice
come un suono gutturale, insensato.
stanco e annoiato. scusami tanto
per il tempo incalcolabile gettato.

accumunati dall’assenza di un contraltare

gli operai non ci sono più
sono in via di estinzione
hanno imparato la lezione
del più forte e anche se Marx
ha fatto sermone, la parabola
è finita in produzione.
i pochi la mattina li vedi
colla loro utilitaria
e se stanno male il dottore
darà tre giorni di fermo
e dirà in realtà lei sarebbe già pronto.
l’ammalato fa scandalo
anche nel 2019 -non si ferma
il meccanismo, non si strappa
l’anello dal naso. io ti dico
son qui, atteso, ma per caso.

a charles (questa è mia, ed è dedicata a te)

————————————-Los Angeles, 9 marzo 1994
.
henry hai lasciato il fiore
ora i critici svuotati
non faranno più storie
o ti seguiranno in bagno
a defecare
come se nulla fosse
col tuo libro in mano.
sono ancora tutti dei fighetti
senza palle
non vanno nel retro a fare a botte.
boxare è l’ultimo dei problemi
tutti in piedi ad applaudire.
tutti ad incensare
tutti o nessuno
ma va bene lo stesso
sei il tubetto di dentifricio in bagno
ora vado, mi sciacquo le palle
e mi faccio un bel sorriso
allo specchio.
tu dietro mi dai una pacca
sulla spalla.

amorevolmente

vivere assieme ad una donna
può essere una deflagrazione maschia
un impulso, un montato albume
oppure un’estenuante guerra in trincea.
posizione dopo deposizione
le macerie salgono al livello del mare
(scheletri ridenti nell’armadio)
oppure petali rinvigoriscono
colorano la storia e nuovi boccioli:
tutta la serra fiorita.
ma l’humus svanisce
non sempre gli stami
s’impollinano.
tuttavia l’azzardo è la puntata
e nel gioco che si fa duro
crolla come burro il muro.

*

mi stanco di tutto
mi stanco del riso
mi stanco del pianto.
sono l’eremo della collina
la sfida bianca del silenzio.
arriva il sonno e mi sveglio
col sorriso. sarò quello di prima
col valore aggiunto dell’anarchica rima.

3 poesie neoliberiste

*

il danaro non esiste
è l’invenzione perversa
d’una mente diversa
che dà valore
anche alla parte avversa
è carta straccia
una promessa di ricchezza
già debito congenito
sterco del demonio
che la creatura d’ossa e carne
trattiene come seme
senza radice
come nuvola
senza pioggia.

*

quale sarà la giusta condotta
consapevole non ne sono
colpevole tuttavia: trovate
la maniera nella miniera
di posture ed atteggiamenti
in questi inflessibili tempi:
tanti col tetto sulla testa
cibo nel frigo, termosifoni
tiepidi, scelta nessuna.

*

la città spoglia di risa è malata
la festa appena terminata
il filare d’auto è da venire
torna il lavoro con l’alienazione
della ripetizione. si sta d’inverno
come d’estate senza calore.

*

si è nascosta la poesia
dietro le ciminiere
della fabbrica vecchia
i muri scrostati
i ponti dissacrati.
il cemento non chiama
degenera. un’altra
notte cupa riempie
il silenzio d’altro:
un lago d’aceto
ch’accerchia.
la zuffa dei gatti
e il gufo testimone
che soffre, sul ramo.
arriverà mattino.

mortalmente tuo

arriva la morte
di nessuno ha gli occhi
non ha viso
non ha corpo
non ha mandato
non ha risvolto
è il maltolto.
non c’è salvacondotto
t’abbraccia
non ti lascia
è la più gran bagascia:
quando sarai cancellato
qualcun’altro
avrà la stessa pia illusione:
lasciare al mondo
almeno una sorta d’emozione.

impararsi

impara ad occupare il tempo
scrivi nei declivi, monta nelle aspre
pendenze, devia e mulina
striscia, inciampa, avvampa.
impara a non occuparti del tempo
minuti che gocciano affranti
nelle otto ore del lavoro
son attimi di fluorescenza al termine
quando la gola si chiude
ed il cervello mansionato
decresce. occupati di te
e dei cuori fatui
che ti circondano.
solo rispondi all`odio
con la radice ed il fiore
se puoi, violentando il diritto
dello spazio. diritto alla decrescita
che sia felice. il tempo per inciso
l`ha inventato l`uomo. impara
a dimenticarlo. impara il silenzio
tra le due note accentate.

eppoi disimpara e ricomincia.

tre poesie per il sole (se vuole)

scualo*

si tengono per mano
i bimbi, giocano
e si spingono.
perlopiù educati
inclusivi, come piace.
il pesce grosso
poi mangerà il piccolo
parleranno di democrazia
ogni cinque minuti.
la bocca sarà riempita
d’empatia. ma se
il mutuo abbraccio
è istintivo, innato.
se lo scualo
non avrà necessità
di conquista. doloroso

il sole splendente.

*

folla

domenicali silenzi
ci furono operai
oggi venditori di fumo
nei centri. i ruoli
mutano nel progresso.
non è sempre male
anche se un mutuo
è come una indigestione
nella notte un sudore
che goccia. voleva
reincarnarsi nella piuma
volare via tra la folla
che fa shopping.

*

giorni sgonfiati

giorni sgonfiati
come camere d’aria al sole
l’aria è leggera
ma l’aria ha
la sua massa-
il tono astruso io
d’un contuso:
che vengo
all’appuntamento
col tono di chi
crede di sapersi.

tre poesie ottimiste

«Io credo che l’Inferno e il Paradiso siano la stessa cosa: l’anima appartiene al Paradiso, e il corpo all’Inferno.»

-The House That Jack Built-

*

strapazzato

il passato è trapassato
chissà se qualcheduno
l’ha ritrovato ai piedi
di una auto, d’un motorino
di una carcassa del tempo bello
che fu, perché così
non è sempre stato:
c’erano fiori ordinati
strade pulite, raziocinio
nel disordine, i muri puliti
non scritte d’egitto
il lordume non stava sotto
i tappeti, s’era tutti più discreti
poca vanità nel giocarsi
la partita, più lealtà gioiosa.
alla malora ci s’arriva alla buon’ora
senza capo né coda.

*

la sera non c’è tempo

la sera non c’è tempo
per l’umanità che durante
il giorno è rotolata via
col lavoro, col capitale
che rende male
per chi se n’è accorto
come del bimbo la fantasia:
i grandi fan giochi da grandi
forse ciò li rende piccoli piccoli
superflui ammennicoli.

*

silenzio e rumore

tanto forte ho desiderato
che è sgorgato il sangue
non pensavo a tanti litri
di passione. oggi il sole
è re, la regina è gelida aria
che idee seziona, giunti son
di nuvole grigi battaglioni,
non si posano gli uccelli
dal rombo della moto
derubati: un rumore solitario
non è vita. ad esistere così s`impara:
una patina d` impercettibile silenzio
poi improvvisamente un suono.

evoluzione umana

c’erano questi giovani urlatori
e scalmanati che ora paiono mai nati
belle bandiere, pugno alzato

che han presto dimenticato
il lavoro, l’incanto
lo sfavillio dello stare accanto
a chi ha poco, chi ha bisogno

chi infilza arte ed artigli 

nella proprietà di nessuno-

quattro muri un mutuo.
ragazzi che siete stati
è stato un bel sogno
ora dalle vostre altezze
castigate promesse
possibilismi e arzigogolati
sofismi: abbiamo perso, perso

c`e` pure andata di traverso
anzi, no: voi avete vinto
onore e gloria ai nuovi

razziatori.

le mie mani tue

mi piace pensare a te
in piedi, con gli attrezzi
forte e mansueto.
espressione buona.
si scala in solitaria
poi si fa gruppo
e soli si muore.
è l`avvento della sera
che compiace e termina
il sacrificio. anche
l`indifferenza del merlo
accarezza e raffredda
entusiasmi. i miasmi
della carne che sfalda.
mi piace pensare a te
con i miei occhi nei tuoi
le mie mani tue.

non dormo

non dormo
e se non dormo penso
e se penso non sono più io
son spacciato
nervo devitalizzato.
ho crisi d’astinenza
di pieno e variopinta
schizofrenia di giovane
e produzione seriale.
mi prude la pelle
e gratto come un gatto
attento attorno
a non apparire disattento.
non dormo
e non so cos’è il fumo.
non riempio la bocca
di vuote parole.
mi sfascio le mani
tirando le pellicine.
si spengono gli accenti
le sincopi del lavoro
del credo dell’etico.
ho bisogno d’un bagno
uno per non grattarmi
due per togliermi di dosso
l’odore del vuoto.
silenzio. si tace sulla brace.