oggi

vorrei leggere soltanto
non voglio vivere
sporcarmi le mani
fare il padre
né studiare le stelle
voglio legger leggere leggere
impossessarmi della cellulosa
e vibrare come l’ancia di un oboe
respirando ciò che è già stato respirato
voglio lanciami dalla rupe con un romanzo in mano
come una sinfonia di mahler
i capitoli movimenti
o un racconto breve intimista
come un pezzo per bambini di webern.
io vorrei leggere
che la mano s’è mossa
non voglio azionare i neuroni
non voglio responsabilità
né ineffabili complicazioni.
leggerò del mio funerale
ironicamente parlando
tutto bene. tutto ok.
è stato un brav’uomo
ora non c’è più.
e voglio scherzare
fare ridere. ridere.

rosa

è una rosa abrasa
un po’ emaciata
oh, rosa disseccata
a pagina 147 riposi
con tre foglioline
oh rosa spacciata
tuo è un segnalibro
che fu profumato
sei legenda oramai
di questo tomo
l’epilogo te lo dono:
ti prendo e ti riabbandono
magari rifiorissi
per un altra donna.
oh rosa delicata
oh rosa emaciata
rosa riciclata.

espiazione

non hai bisogno d’eroi
né di bandiere
né critica d’uomini
hai le palle piene
di tutte le sovrastrutture
ed i muri di gomma
l’indifferenza dei cosiddetti
piani alti. è che devi respirare
e tutti gli altri fisiologici.
e sorridi ogni tanto
quando ti lecchi le ferite
o ti fai una tisana
o fatichi nel merletto.
hai bisogno di zucchero
capita
e d’empatia disinteressata
senza esagerare.
senza strafare
sei il primo attore.
e allora disegnati
con un po’ più di cura.
ché una battaglia
non fa la guerra.

essere o (sì) essere

alzarsi ogni mattina
muoversi dietro una vetrina

l’acquario è spontaneo
un accelerato costruito
attorno a sé come un inscatolato
desiderio centellinato

i sogni sono desiderabili
segni inesplicabili.

oggi sul mezzo

oggi in mezzo alla strada
il traffico ed il bus
carico d’anime smorte
e contorti addendi
che non dan risultato.
oggi attraversavo
con imperizia e lassismo
del caso: anticipavo
il destino? applicavo
la sorte dei numeri interi
cercando una frazione:
quell’attimo che illumina
una via di grandine
un massetto di ghiaia
quel frame che luccica
e le pupille piccine
si chiudono in un tremendo
e solare alleluja.

ostinarsi

se siamo cosa sola
perché t’ostini
a contraddirmi?
vuoi dirmi che
sono imperfetto
che non vado mai a letto
quando vuoi
tu?
ed io ti precedo sempre
e per stuzzicarti
cambio il lato
del letto
mi metto di traverso
eppoi arriva nostro figlio
tutta la notte
mi tira calci.
tu arrivi tardi
coi piedi freddi.

sul pezzo

dovrei domandarle se le piaccio
se a me piace, ché pare un arredo
più che un desiderio ed una antipatia
una scoscesa impresa andarle appresso.
e che già so cosa non fare
ed al limite sognare.
ha una durezza contratta
estratta a brutto muso
la freddezza del mezzo.
l’indifferenza di un certo contenuto
che s’affanna a reclamizzare
solo una attrazione estetica.
che poi non è nemmeno un pedinamento
piuttosto un curiosare sul posto
in punta di piedi, assai educato
nulla in difetto, smielato
una sensibilità da voyeur
una live eccitazione che m’assale
come poter avvertire
un battito d’ali nel maestrale.
niente in sovrappiù, niente di personale.

sob

altro non voglio
a questo punto del foglio
illudermi e scrivere
la sete della zanzara
con la libertà del bombo
altro non chiedo
che la penombra serale
un angolo del sogno.
non chiedo e non tremo
son l’asso e la meraviglia
di me stesso. incedo
come un Cat
imperioso come un arredo.
eppure rassegnato
d’esser parte dello spiedo
m’ingegno ed ahimè concedo.

inverno

l’inverno è una cupa pratica
di penombre un incedere noioso
il gelo che scortica ed occhi
che piangono anche in un privato
dolore. coperte e scarpe
buttate per terra
lacci arrampicati e sfibrati
il suono del becco che scava
il gatto che miagola invano
un passero rigido già
una solitaria via e tersa
spazzata dal vento
piume che svolgono il tempo.
l’inverno è un momento
d’annichilimento e rami spioventi
come le nocche di Schiele
e quel sangue latente
che colore non dona
neppure calore.
mozziconi sfatti di piante
che spuntano dal suolo compatto
è quel verme che dorme
nella fredda terra profonda
che d’estate si rivela gioiosa
nella cicale che ossessa suona.
è un ciclo che scarnifica e risuona
una campana sorda e un lombrico
che trema. è un grigio pastrano
all’angolo -tempo immoto
un cane che si rivolge affamato.
l’inverno è questa coltre
una densa nebbia ingorda
eppoi si chiudono le porte.

ancora alle ventitré a scrivere di me

dovrei scrivere di sol cose belle
ma non posso, il passo mio
è in contrattempo. tip tap
di germogli e rami secchi
la fuliggine sul viso
nere unghie e scheggiate
tutto va bruciato e nel solco
la puntina ancora scava
e non suona più
come un tempo
alta distorsione
terza armonica che stona.
scoraggiato? no, no
depresso? nemmeno
non son solo qui
nel caseggiato a stendere
i panni -chi si mette nei miei
ride e ride e lo mantiene
quel sorriso tenue
come una palpebra che freme
un geco che geme.
si montano i giorni
si catturano le farfalle
quelle splendide di colori
e immense ali di seta
nei tempi morti.

dichiarate scaduto il contratto

dichiarate scaduto il contratto
lo sterco avanza di scatto in scatto
come il tic tac dell’orologio antico
che sbatte in faccia la saggezza dei vecchi
l’irresponsabilità dei dirigenti laureati
che posticipano i debiti. disonore agli uomini flaccidi
stucchevoli figurine di drogucce e alcool.
allora le parole possono indignare e ferire
più dell’uranio impoverito. auto mietere
giovani vittime per procura. ingrassa i polli
la guerra. gli altri ingrassino di junk food
e perseverino nel rincoglionimento globale.
marionette dell’actors studio. botte piena
e moglie ubriaca. buon anno. sicuramente.

vendensi

vendo talento vergine
sconosciuto in buono stato
in libera patria
(o almeno così dicono)
unico proprietario
mai usato.
per il contatto
s`usi il tatto:
non c`è contratto
astenersi perditempo
perché in abbondanza
non ne abbiamo mai
abbastanza. e buona
creanza.

*

a volte gli oggetti
sono la cura
a volte una prigione
eppure l’umanità
cresce nei corpi
inanimati anche.
può splendere il sole
anche accudendo
anche nella pigrizia
di spolverare un quadro
nella lettura di una pagina.
leggo dieci pagine al giorno
e paiono tante, o nulla:
l’eterna lotta
per trovare un posto
un porto sicuro
nel mondo.

gatto e topo

che cosa ci può
far stare bene almeno cinque minuti
di vittoria
al largo della gloria
e i tuoi occhi
stanchi sono la più grande dimostrazione
d’amore
quando ti incazzi
mi dici è finita
sono stanca
non posso andare avanti così
nella terra dei soprusi
abusi
cervelli flaccidi in disusi
popolo di lavoratori pochi
vecchi impoveriti
truffaldini eleganti
finanziarie
cementificazioni carcerarie.
quando ascolto musica
allora mi sento santo
ho la certezza della bellezza
anche in questa periferia
di sharia fascista comunista nazionalista
sindacalista ambientalista opportunista
inutilmente populista
inutilmente globalista
i fascisti non ci sono più
ma li vogliono vivi
i comunisti(?) con le mani nel salvadanaio sono al potere
i cattocomunisti illuminati
da antiche e fioche
lampade ad olio
bruciacchiate e sedate
ma la società è sempre solo un dovere
imbrigliati negli interessi
votanti fessi
dove s’è sbagliato
dove stiamo camminando?
radenti al sentiero
o al centro
brillamento a pochi passi
o nella nebbia segatura?
lungo la riva
dove il sale brilla
ma poi svanisce
s’insabbia come la scabbia
in superficie.
tuttavia la mistura è larga e poliglotta
c’è questa tortuosità
d’alti e bassi
sublime e terrestre:
non mi dipingerai disfattista e piangente
forse nemmeno tonitruante
pomposo esoso scabroso.
dipingimi alto sobrio
pratico equidistante
equilibrista e onnivoro
eppoi io non ho briglia.
si sbecca lo schema
a ridosso della depressione
e dell’entusiasmo.
ogni schema s’infrange
è fatto per franarsi addosso.

palcoscenico

il tempo rinsavisce lo stolto
dolorose purulente ferite risana
sciacqua la bocca di fornicanti
batteri genitori di carie e anatomie
distorte, dicotomie contorte
d’un dado biologico antropologico
che vede lungo, dopo i malanni
le distrazioni le aberrazioni
le involuzioni. le questioni
vengon meno, domande e risposte
tutto va a sfumare nel mare nostrum
come schiuma arricciata sulle onde
che si combattono per il palcoscenico.

*

tutto non si può fare
imparato a mie spese
con le grandi rese
mani e mente accese
nelle imprese così arrese.
e quando diranno forse
è vissuto senza aiuto
allora tutto compiuto
il momento sarà
di serrare il palcoscenico.

e c’era anche il sole

silenzio per le strade vuote oggi
chiuse finestre, pochi uomini sparsi
tra le auto in sosta a scansarsi.
di gomma gli auguri, come ciechi.
i bus scarichi si dimenavano fili
su rotaia. ed era un dì di festa:
paillettes, lustrini, sciocchi riflessi.
e c’era anche il sole alto e sodo
a farci più soli. noi già sfranti.

deceduto se n’è andato non c’è più mancato e scomparso

non parliamo mai abbastanza di morte
te ne sei accorto?
la vediamo tutti i giorni in televisione
artefatta, drammatica e finta come le tette delle vip
sovraesposta ed artistica
splatter e violentissima
tuttavia non ne parliamo mai veramente
col cuore aperto e sezionato
sul bianco e congelato
banco di lavoro dell’anatomopatologo.
i vecchi ne parlano sulle panchine sfatte dei parchi freddi
straparlano della morte degli altri
la morte non esiste
è un alto tabù in questa società che non ha tabù
che ha i diritti inutili e ridicoli
perché i fondamentali non li riesce a preservare
il sesso è più scandaloso della morte
una scopata è sacrilega
una scopata è per la vita
perché tutto verrà fatto in vitro
tutto tutto tutto
tutto per procura
a distanza
con una percentuale d’utile
come si studiano le muffe
e gli atomi
eppure tutti si muore
di cancro e crepacuore
perlopiù
(la stragrande maggioranza
per attacchi di diarrea cronica)
mentre fuori e nei bar
si parla di vacanze, lavoro e stronzate
la morte è bandita
ha già vinto la partita
eppoi è la più democratica
non ha bisogno di elettori
e di urne.
più non se ne parla
più la morte ha la strada spianata
che lo si voglia
o no.
no. vedi
ora hai voglia di fare l’amore
o scopare (è lo stesso)
d’infilarlo e ritirarlo
e ancora e ancora
col ritmo circadiano
come la marea sulla battigia
o il germoglio
che si tende al sole
cioè
forse
ti ho dato voglia di vivere.
indica il sole e dimmi.

sine qua non

non rimediare alle rime
confuta l’inedia
conditio sine qua non
del decelerare sulla strada
fermati di fronte agli androni padronali
cortili di palme e rampicanti
stupore d’un mondo in amore
incedi coi guanti
disseccano le mani
nelle prospettive distanti.
la miopia è quella cosa bastante:
tutte le cose restano
imperfette sull’attenti
e scontornate
da una deformazione
metafisica
meta agnostica
un quarto nota
un quarto ignota.
è la svolta del paesaggio:
non lo puoi avere
non lo puoi contenere.

*

sul bus schiavo del tempo
misuro lo strabiliante portento
del movimento. altro non chiedo
che una cesura -mi darà la misura
della rassegnata censura dell’uomo
d’essere soddisfatto o buono?

i moderni sognatori

i sognatori sono i peggiori
imbelletano di rosa
confetti e bacetti
persino i buchi di culo
ed infiocchettano uccelli
di medio-bassa lunghezza:
saranno i perni
dei loro concetti.
cuociono le cose
per così tanto tempo
che alla fine
nulla ha più sapore.
sono terminali
nelle loro teche di vetro
nella loro falsità ipocrita
d’ideologi aristocratici
e già battuti. sbattuti.
uccidono i popoli
che già sono un picco
di mediocrità petalosa-
sopravvivono e si suicidano
i moderni sognatori.

anarchico collegiale

ho voglia di scoreggiare
d’essere maleducato
vagabondare e bestemmiando
di far l’amore sull’albero
d’essere bonodo
forte impugnare una banana
deflorare a modo
la vita agra
e mi manca d’eruttare
nell’anarchica litania
urlarla nell’alto dei monti
trasferirmi in nuovi mondi
al più presto
innamorato pesto
lesto millantatore
prode oratore
per gli atlantisti puristi
faccio uh uh uh
chi fa da sé
fa per tre
tre per tre
otto virgola
nove periodico
alé.

affamati

qualcuno avrà da ridire
sul mio pessimistico divenire
vedo il bicchiere mezzo vuoto
in questa società efficiente
ad oltranza sono un alieno
direbbero populista
i prodi condottieri
della gran fiera
ma manca la folla, il popolo
direbbero complottista
ma non c’è nemmeno una pista
non c’è un davanti
nemmeno dietro -si fluttua
come una piuma o una cruna
uno smontato albume:
è la realtà che reclama
vuole una partecipazione
senza fama.

vissuto

ci si ricorda improvvisi
anche a novembre d’aver vissuto.
forse con le mani avanti
ché gli occhi non bastano.
e le batoste nei primi freddi
intensi déjà-vu. la moria
delle zanzare, poco prima
assetate così d’estate.

siamo preparati?

i culi mi son sempre piaciuti
ma non quelli che parlano
usano un linguaggio edulcorato
retorico e competente
arroganti e saccenti
per irretire masse fesse
pecore in mandrie nelle fabbriche
negli uffici, casalinghe
scansafatiche, incantatori di serpenti
paraculi e streghe.
passo nottate
a decifrare il futuro a pensare
le misure della bara che abbiamo
pianificato -che forse c’hanno preparato:
prega consuma crepa e a dio
chi crede più. io tu e nessuno
una bella cena, una lavatrice
i reggiseni le mie mutande
sul floscio appendipanni
un altro splendido giorno
di sortilegi di minzioni
malocchi e apparizioni
è in arrivo sul binario
della spompa littorina.
siamo preparati?

scaltra poesia

scaltra poesia
dimentica il passato
senza strafare
ma non liberarci dal penale
che tu sia benedetta
benedetto il verso tuo
il tuo dimesso aspetto
con diritto di decesso
pochi versi come accette
un coltello affilato
le sue belle fette
esangue poesia moderna
con occhi lucidi dovrai animarci
intingi il pennello
nel vaso dell’ironico
nel lavello del bello
nella raccolta dell’umido
prego te poesia
lascia le tue ali
al miglior offerente
offendi il cretino
solletica il rabbino
farnetica a vanvera
ti siamo grati
non farci mai piangere
col viso d’adulto cinico
e sbiancato dalla candeggina
te ne saremo infinitamente
grati per sempre tuo
diversificatore gentile
e violento -come un tango
lento.

al poeta retorico (esorcizzato dalla cronaca)

il poeta retorico
è un vago archetipo
del moderno incantatore
ermetico e diuretico
defenestrato sobillatore
il poeta che si svena
sa che val la pena
armeggiare sapientemente
la pena e l’indignazione
farà finta di non sapere
quanto buono è
il formaggio con le pere
quanta fatica si fa
ad allontanarsi dal potere
distaccandosi dalle alte sfere
(du’ palle
la disciplina di partito)
strangolerà la verità
che vera non sta
in un ego equiparabile
all’aldilà: che s’odi
il poeta retorico
che l’orecchie si tappino
fatalmente
finalmente
esasperate dal cattedratico
umanesimo enfatico.

correre

non nato per correre
un’indole sarcastica
persino anarchica
centoventi chilogrammi di peso
per uno e novanta spediti
verso il cielo
forma fisica lasca
sorpreso dalla natura
per definizione selvaggia
da fruir con debita distanza
ed attenzione. i codici odierni
esigono un aspetto
anche più intenso del bello
un`attività fisica efferata
da corridor nella savana
aspetto sempre gioioso
nel gioco invidioso dei desideri
della gran folla solitaria.
sol che qui i predatori
non sono leoni
men che meno da tastiera:
alla sera nel buio del letto
penserai ancora da scampato
-distinto
giacca e cravatta, yacht-
al famelico squalo.

*

s’incammina nel buio solitario
l’uomo ferito sino all’alba
carico come un lume.
nelle tenebre è confuso
e circondato d’anime scure.
se vi sarà possibilità d’un mattino
scenderà nel burrone
per vedere come son fatte
le tenebre, assaporando il veleno
d’un giorno ritorto e contorto
come un serpente. viene
poi la luce senza un rumore
come un cucciolo guidato
da una madre. l’uomo
sarà colpevole di quell’apparire
le forme geometriche e puntute
il pascolo dei meandri
il ticchettio delle ossa sulle ossa.
le estensioni delle lotte continue
battere sul ferro, battere sul ferro.
battere sul ferro.

il dietro le quinte

il vecchio col girello alla fine è finito
in uno ospizio. quasi tremila euro
al mese e sta benissimo
servito e riverito come un pascià
un principino un re -così m’hanno detto
ed io ci credo oppure no e andrà
bene in ogni caso. l’ultima volta
che lo vidi era stanco e preoccupato
non riusciva già più a camminare
non era più indipendente
e se in società non sei più indipendente
sei un peso grande come una colpa.
la donna che l`aiutava era straniera
per due o tre ore al giorno puliva la casa
gli cucinava il pranzo e la cena
lucidava il pavimento e spolverava
era da tempo malata di cancro
ed è morta un mese dopo
con i figli -tornata a casa.
il vecchio teneva sempre il riscaldamento a palla
ventiquattro gradi costanti anche a dicembre.
un uomo medio un uomo mite
con una pensioncina sotto i mille.
se avesse saputo che l’avrebbero trattato così bene
ci sarebbe andato di sua volontà -molto molto prima
c’è andato d’inverno quando le foglie sono appena cadute
i pochi parenti ora sereni -quasi sollevati
persino contenti. il vecchio non si è mai sposato
ha sempre vissuto da solo.
aveva comprato casa subito
perchè s`era innamorato del parco lì vicino
oche anatre tartarughe
quattro passi col cane
il laghetto con le carpe.
ora ha la sua camera singola
decine di diligenti infermiere.
nessuno vuol più i vecchi a casa
loro invece lo tratteranno bene
a tremila euro al mese.

nascono le poesie

nascono le piccole poesie
sotto i piedi -interstizi
zittiti dalla buona educazione
nascono sotto i coppi
nelle candide nuvole
delle rondini primaverili
sotto i ciottoli e sampietrini
piccole poesie di seme
alcune sul piatto dirette
germogli che si scatenano
in bocche affamate e disattese
nascono per farci contenti
per renderci onnipotenti
geniali latenti
per tenerci lontano dal mondo
per l’ultimo intimo affondo.

castello di fiato

si morde il labbro
come a soffrire

non si soffre mai abbastanza
pare, ti osservo da fuori

i tuoi cenni gli accenni
il tuo impulso caldo

se ho esagerato
l’ho fatto per rimanere

con la memoria non si scherza
è un attimo volatilizzarsi

e non si può ricominciarsi a piacere
non si è fatti mica per restare

mischio i ricordi
lo faccio da anarchico

che vive nell’entropia generale
illusi pensano che tutto sia rimediabile

io so che siamo marinai senza bussola
è amaro, è reale, è animale

trovate altri sinonimi
datemeli e ve li conservo

quando vorrete ridere ancora
pensando da frivoli alle sciocchezze

bisogna ridere e ridere assai
non c’è alcun dubbio

è un passatempo costruttivo
anche se si monta nell’aria

un vero poderoso castel di fiato

che poi va via con un respiro.

i miei cari

e se mancassi sarebbe
da smargiassi? o da incauti
fruitori del mercato nero?
assonnato non do per scontato
neppure d`esser amato:
sparirei per davvero
non si sa mai.

le terre rare

le terre rare
colonizzano mente
e modi. si sale
per necessità -lingua
comune. per età
per congestione delle vie
e naturale bagno.
ci sono uomini
che curano le piante
altri che ingeriscono
la pillola -vacillano.
alcuni bramano e posseggono
altri confluiscono
altri che subentrano
semplicemente-
a mente e a spanne.
col sole in faccia
si va a curare il mondo:
si vada a cercar vanto
s’esiga
ma con la discrezione
del guanto.

equilibrium

l’equilibrio è ad un bivio
un quartetto di più
che va stretto
vado a letto
e stringo forte
il bilanciamento
sul mento:
sul momento
ci vincerà? alcuno
che venga serio
a pontificare
con faccia scura
libri endecasillabi
sonetti di menti
che han scartato
cielo mare terra
il nero il blu
l’equilibrio è ad un bivio
sacramento ce s’inerpica
in via sdrucciolevole
malevole le voci
scartatele.

calda coperta

adesso siam soli
tra la parete stinta
ed il tepore lasco
della caldaia
brontola e sibila.
volevo sentirti mia
e caricarti di sole.
vedere le stelle
in altra occasione
calcolare l’attrazione
fra due astri in collisione.
sei semplice ed io pure
ammesso e non concesso
scavalchiamo la luce
e ne siam parte in amore
costruiamo mura
perché in fondo
ci piace ed illudiamo
i fatti perché in fondo
ci mantecano di parole.
e adesso siam soli
tra le quattro mura
viene il freddo mattino
calda la tua coperta
vero il tuo viso.

naturale ritrosia tua

naturale ritrosia tua
al colore, tu vedi infatti
in nero e bianco, neppure
basta uno squarcio di sole
una fetta di luna. non basta
un sorso di vino, un bacio
al mattino. poi carburi
le stelle scendono e ti viene
quell’accento: un radioso
sapore di vita, condiviso.

lacci sfilacci

le rivoluzioni si facevano
coi manganelli ora si fanno
principalmente nei cervelli.
si vincon le battaglie
fra mercati e mercato
son terre di confine battute
e ribattute di spot e pregiudizi.
son lande progressiste
assist ai diritti spiaggiati
ai dividente serpeggiati.
ora si studia per non sapere.
ed i lacci si stringono
sempre più sui deboli.
e non di cuore.

scontra

si scontra la vita
con chi le s’affida
diatriba -perpetua sfida
fatta di sfitti traslochi
trabocchi fiotti
di nero umor
amar se stessi
è sempre molto noioso
odioso per il parterre
di donne uomini
che come satelliti
attorno ruotano antropici
come nel rodeo ai tropici
un Giulietta e Romeo
senza sentimento.

oggi andiamo a pescare? e domani?

nuotano a svista
son branchi spinati
eviscerati banchetti
d’istituzioni padrone
progressisti a spanne
-di capitale timorate.
son vuote come cialde:
tu metti i gusti
poi a reti unificate
loro sparano a salve.

cazzare la randa

c’era forse una macchia a farti distratta
come un’aureola che ti faceva santa
a darti di macchia nella strada secondaria.
una mutua incoscienza a farsi teoria
una scienza inesatta a farsi costanza.
ti credi di nicchia una sola speranza
un cazzare la randa e vedersi precisa.
vieni tutti i giorni con gli occhi di un’altra
non rinculi la stretta e non affami la tratta.
mi verrai incostante come un acquazzone la sera
un turbinio d’acqua, un gorgo che macchia:
mi tratterrai tra le braccia con un fuoco che brilla.
la notte è un’impostura e tu sarai la cura.

pastrano

la solitudine è un pastrano complesso
ti coglie alla gola quando senti le risa
quando al mattino ti vesti di mondo
scarti i falli e inventi una resa.
quando gioisci e ti credi infinito
quando hai completato un quadro
e t’accingi di paesaggio. conosci
il male dentro quando il mare fuori
non può più entrare e farsi almeno
nostalgia e piangere del tuo sangue
davanti allo specchio recitando la litania.
la solitudine è un’area sconosciuta
una piega delusa da un ghiaccio di fede.

traverso

c’era l’estate a dirti eterno
poi caddero foglie e forza
sferza di vita l’entusiasmo.
a posteriori sentirai la fatica
del ripetersi e crogiolarsi
nelle cesoie spuntate
dell’abitudine. schiavi
dei ritmi della pesca:
abboccavi a tutti
gli asterischi -il senso
maestro del testo
non ti sorregge
che nei colpi di tosse
di traverso. l’avverso.

luce conduce

dove mi conduce
questa luce
che lucida
si pavoneggia
come del re
la reggia
dove conduce
la traslucida illusione
tatuata nel silenzio
che s’accetta
con un accetta affilata
la spensierata ansietà
immaginata e traslata
tra una spesa e vanità
e vastità di paesaggio
contaminato e minato.

nello sposta poveri sabato pomeriggio

ci carica come bestiame il bus
serpeggia per le trafficate vie
il numero ventisette a metà
taglia il centro di Bologna-
imbellettato e lucidato
(tra poco le elezioni)
ma sempre sozzo e malandato-
come un seghetto non affilato
cinesi pachistani bengalesi
marocchini tunisini romeni
imbarcati -li senti che s’odiano
e non può essere altrimenti
tutti poveri allo stesso modo
in un monolocale senza terrazza
a seicento euro al mese
poi il riscaldamento e le bollette
il condominio e l’ascensore
l’invisibile amministratore.
lavori del cazzo e miserevoli
un po’ qui un po’ là
nessun contratto e caporalato
cottimo e zitto sennò a casina.
l’odio risolverà i contrasti.
o noi o loro. l’odio almeno
ci rende umani vagamente.
l’odio ci fa vivi.
l’odio ci rende liberi.

è un gioco

ti pensi unico ma dipiù sei caduco
e sbadigli col tuo piglio enfatico
se ti colgo a rigirar il dito nella piaga:
si spiega il tuo orgoglio letterario
prende piede chissà qual strana piega.

Le quattro poesie su Lisbona

Le quattro poesie su Lisbona (giugno 2019)

ripropongo (dopo tutti questi morti che non camminano) e per la prima volta nel blog riunite, queste quattro impressioni su Lisbona, perché effettivamente corpo unico e particolarmente sentito
.

(sette giornate di sole con un vento costante e freddo dal mare, tagliente come una lama lucente ed affilata… noi c’aspettavamo l’estate ed una malinconica parte di fado)

.
.
.

*
a praça do comércio
si vede l’oceano
sferzato dal vento gelido
sotto l’arco di trionfo
pietra bianca
come marmo di carrara.
c’è un zigano
con la faccia dipinta
di bianco e un giovane
con la barba ed una gamba
deforme -sembra un sacco
di patate, un zampone
di maiale gigante.
l’oceano è una lama
seghettata d’azzurro
e ha visto grandi esploratori
veleggiare ai confini.
oggi il mondo è così piccolo.
oggi il mondo è tanto banale.

*

LISBOA II

nella pancia della città congelata
oceano d’olio indifferente
sobbolle la metro ed il palazzo
trema, controllato terremoto
vibra il letto, il mobile fa tic stac cic.
qui nella via celata ai turisti
fronteggiano i poveri cristi
come possono la notte-
uno coll’amico s’incazza
di mezzo c’è una donna
(come sempre parrebbe)
per qualche ora calma piatta
una sirena, un clacson, una blatta
poi suona la campana otto volte
la colazione è servita.
la mattina s’ingrossano incattiviti
come un fiume in piena
coi sacchetti della spesa
i diperati soli derelitti.
la gente dormiva e sognava
ma ora ci si sveglia
incominciata è di nuovo una pena.

*

CASTELLO MORESCO

saliti sul colle alberato
del castello di são jorge
bagnati avevamo il fiatone
da giù non sembrava
una sudata missione.
la curiosità era tutta
per strette vie cinte
d’appartamenti piccini
scalette impervie, maioliche
e lustrini per la festa
di santo antonio
ovunque pastellerie
e ristorantini -l’odore
forte delle sardinhas grigliate
sposate al sale grosso
l’aroma delicato del baccalhau
morbido e polposo, patate
dolci. a metà strada
la fame era già tanta
la cima ferma attendeva
ma un vin tinto no.
il turista capitolava.

*

LISBONA

c’è freddo a lisbona
non si sente il fado
solo musica americana
la vecchia vestita di bianco
vive nel sottotetto
un’antenna storta, un comignolo ammaccato
2 fili tirati di lindo profumato bucato
il vento gelido è una lama d’acciaio
temperato -taglia le carni
giunge alle ossa
e al posto del midollo
ci mette il ghiaccio.
fa così freddo a lisbona
non si sente il fado.

i morti III

penso alla morte come ad un sordo reliquiario
con mille scale che portano al centro d’una vita
come uno specchio che si specchia intero
e poi in mille frammenti -scaglie di cielo che fu sereno.
ho conosciuto i morti dopo una vita di sorrisi
e le entrate giuste sul luminoso palcoscenico.
penso alla morte come ad un infinito cielo nero
senza nuvole senza piogge e senza neve d’inverno:
si precipita a peso nel cavernoso gorgo nero
ci s’amalgama solidali alla polvere del terreno.

i morti II

ho visto le facce dei morti
con i loro occhi storti
rigide mani come rami secchi
vene varicose come delta di fiumi
che non sfogano in mare
ho visto i morti rigidi
come tronchi madidi sulla spiaggia
dopo la mareggiata
ho visto gl’occhi
non più vivi:
io sono vivo e so che morirò
col sorriso o col diluvio
che dilaga e depura.
eppoi bruna quiete.

i morti

i morti esigono silenziosi
tutta una vita per marcire
in un posto dimenticato
tutta una vita da vivi
per contraddire il vento:
quieta e pura l’assenza
depura chi ha dismesso il respiro
gli occhi non vedono ad un tratto
non si rammentano allora
né gioie né dolori
né colori né odori
né sapori né clamori.
tutto vero tutto nero.
i morti sono silenziosi.

parole

a volte le parole cercano un suono
ed io alla sera sento solo ventole
rumori digitali stampanti. pare
un ascetico sobrio maestrale.
poco umano il furore digitale:
zero uno zero uno e zero uno…
sol coi numeri per sempre
non puoi stare. l’abbraccio
caldo vien a mancare.

carne prima poi incoscienza

son scosceso
come disceso
ma mai trasceso
forse perchè son terreno
terribile d’umano
irreprensibile, no
non è vero: sono flebile
flessibile
come arrendevole
è carne prima del pensiero.

incolumi

lo deride per la lunghezza del pene
lei non sa che l`amore deve durare
oltre il letto sfatto e tutto il bene
che si vogliono i soli corpi
poi s`inizia a pensare all`affitto
all`auto, al lavoro, al cimitero
tutto il sentimento scende dalle lenzuola
precipita in cantina, defluisce nel pozzo nero
e tanti saluti a tutti gli uccelli
grossi lunghi medi piccoli.
i due piccioncini non sanno che l`amore
si sgonfia al caldo d`agosto
e riempie i croissant di crema
alla mattina verso le cinque
e tinge d`azzurro le pareti di casa
prima del terremoto, del terrore
dell`uniforme incolore.

ombre

sto nella buia stanza
con le mani sulla faccia
do la caccia alle ombre
che non si muovono:
è lì è lì non tarda
e non prima: penombra
par viva. sguardo
mio lontano, mai fermo.
tutto si muove in eterno.

*

imperitura fronda di bene
non incagliarti al fondo
nella malvagia malta
dell’orgoglio maschio.
non straziarti d’inedia
non vulcanizzarti di superbia
incantami e baciami
e trasportami di là dal fiume
porgimi la tua mano bianca
tenue fiammella, fortuna.
elevami e allevami esuberante
e giusto. come un ramo
al di fuori delle spine.

*

dimmi chi sono
io dirò la mia bugia
ci svegliamo sugli specchi
ma lo spirito è vanesio
l`intelligenza un faro acceso
diligente compitino
radente alla superficie stai
per non mancare mai.
con le parole cosa ci fai?
cosa covi in quella
scatola cranica?
è l’alcova dei dubbi
l’antro della memoria.
il budello dei sogni.

coracón

se non ci fosse stato il mio collega
avrei fatto la figura della strega
che le mani muove frenetiche ed ascetiche
senza colpo ferire e perire
d’infamia senza lode perché queste cose
son erose e irose per gl’altri
ci vuol pazienza nel lavoro
et ora si tenta una comunione
nella liberazione dell’ispirazione
spirata ed orlata di dovere
e competenza -una sonnolenta
lenza per i deboli di corazón
come moi. bah.

dovevamo morire giovani

dovevamo morire giovani
senza scaldarci coi turni
infernali e tempo libero
sfinito -mani lerce e non il mito
ma gli amori e i figli come tanti.
avremmo dovuto
fare i conti coll`impossibile
senso della misura
salari asfittici da precario
il tempo depredato nell’armadio
un sogno armonico scordato
come strumento dimenticato.
dovevamo morire giovani
per non ansimare nel peso
dovevamo morire giovani
senza l`astio già mortuario
dei più giovani
o la loro peggior indifferenza-
non esiste eterno né solidale
ma l`indifferente odio di nuovi.

posso la regia

la posologia della nostalgia
un poco stantia dei corsi
ricorsi esborsi rimborsi
il ricamato strabiliante
dell’umano interessamento
nel portento e nel deshabillé
off course excuse moi
je ne suis pas Catherine Deneuve
sono trino e vino
insomma alticcio sorgo ed insorgo
dopo una serata nell’alto dei cieli
precipito spiritato
assemblato a doversi
principiare nuovamente.

fiaschi non divini

il sangue mio
rappreso non sarà peso
pesato saprà
farsi arreso
come offeso dal tempo
che lasco diluisce.
il sangue
testimonianza temporanea
del filo del rasoio:
debole la carne
fortuito lo spirito
che non ricambia
la finita indole delle membra
tutto in termine sembra
lo è, finisce tutto
non nella leggenda
nella legenda
a far fischi per fiaschi.