ritornare

tornare basterebbe
pochi passi indietro
con vigili occhi
orecchie stappate
di volgo e rumore
ritornando all`erba
dei prati e alberi
basterebbe.
con la poesia non si scherza
si ride e si piange
si dimentica
e non si ricorda.
si mobilia
e si deterge
e si manca.

Conosce l’uomo

Conosce l’uomo, la sua sintassi
le pause vuote di lordura e calce.
Le parole affila con le sue pulsioni
non ama la paura ed i suoi derivati.
La semantica del potere è pressione
continua e prolungata, protratta
sino all’asfissia dei parchi verdi
e l’assoluzione degli ematomi.
C’è una soluzione catartica
che sta tra il sole e la macchina
quel cielo che è matematica
e ragione, sentimento e buon senso.
Conosce se stesso ed il mantra
della disillusione. L’illusione
è l’essere pensante, la logica.

Ogni luce

Ogni luce è contorta
l’anima una rivolta
che soffoca, sviene.
Capita nella notte
che la periferia sussurri
nelle grondaie, tra gli elementi
delle antenne ed i fiori non vedi
e gli insetti più non senti
soffoca l’ape nei diserbanti.
Ed il cemento una bara
e gli occhi d’asfalto
d’una rara puttana.

Foglie

Secche già le foglie
rantolano precipitando
senza peso sull’asfalto
come una fusione acceso.
Il giorno accecante marcia
riprende pur se offeso:
un baratro eppoi un faro.
T’attendo con Tchaikovsky
brucia come una fanfara
accarezza come filato
è tutta nostalgia
che preme nel cuore
quella vecchia serata
sotto un labile lampione:
sospirasti come un velo
od io a te -non ricordo bene
tu sei il futuro nostro

movimenti

ho il fiato corto nello smog
patina di melma, conato
mucolitico d’un sistema
asessuato. t’osservo
aggirarti preda di là
d’autostrada -muro
che la città vaporosa
e bollente taglia. qualche
bici, uno scooter ed il bus
poderoso esoscheletro
diesel saturo. disubbidisco:
dal letargo avanzo mani e piedi
ho bisogno d’aria buona
e di timido sole. e silenzio
tra movimenti di Mahler.

non sai che fartene

non sai che fartene
delle idee
nella terra desolata

ti puntano il dito
estorcono e ricavano

la loro assoluzione interiore.
le opinioni non hanno fama
hanno fame e non son dogmi:

li riceviamo
come tutto il resto
come plagi.

induzione.

eppure la terra gira intorno al sole
e la mia libertà
non è un castello di sabbia.

conosci quell’aria
al mattino
con le prime luci

e la quiete?

crepa

tra le case troppo vicine
tu non senti corpi né amici
ci si guarda dentro per odiarsi
il sole intacca l’intonaco
che crepa. arrugginisce
il cancello scrostato di vernice
esausto il passero sull’antenna.
le marsigliesi sciolte alla Dalì
il tempo passa e congela
il tempo è una lama
tu sei la preda sfinita.

stordito

il cemento escrementizio
mi taglia lo sguardo
cadono a terra i bulbi
e come uova al tegamino
arrostiscono di lordura
rotolano nelle cucine esotiche
di qualche take away.
tutto il sacro è soffocato
nella sua anima arrugginita.
la sera è pace prima della tempesta
temporale stordito
che brontola di lamiera
e gli operai sotto al ponte
pregano colla mazza
e la fiamma ossidrica
un pugno di mosche.

*

non bastano le parole
né più e né meno delle foglie
dopo la burrasca. astratte
e contorte come la vigna.
troppo linde, trasparenti
alla goccia di vino rosso
dopo la bevuta: non basta
il bicchiere a contenerti
non basta il vetro freddo
a distinguere due mondi.
la parola è un esile ponte
fra questi due diversi dentro.

*

dicotomia dell’esistenza e suo
perpetuo basso continuo
io sono ingrato e vanaglorioso
e i miei scampoli finiranno nel brodo
maltagliati oscurati, ma ricchi di sapori.
non nominarmi invano, né disquisiscimi
come si fa per lezione: io non imparerò
ad essere privato, nemmeno tu lezione.
scaraventami gelosamente nel carnaio
delle passioni, in quei accennati sorrisi
che si fanno in amore, ma senza dichiararsi.

tenie

giocano alla fine i sogni
gnomi micidiali
accidiosi smorfiosetti
son distaccati dai rami
sulla terra magra rotolano
come bocce ferme
sono vermi inguinali
o tenie introverse
sbatacchiano ingrati
sui bui sagrati sconsacrati.
alla fine i sogni
non erano come si credette
non erano rette
né curve incipriate:
pene eran principiate
come distillate. eteree. eterne.

notarsi

ho notato
che siamo assenti
giustificati
o no
non è importante
nemmeno arrivare
dove poi?
al mare?
fare e disfare
neppure lì
si tace per esser soli
perché di tutto un po’
e dovunque
è meglio del qui.
sognata è la notte
senza stelle.

una guida

l’anno nuovo
è solo una veste che luccica
d’un vecchio lutto
allora accaldati e sudati
speriamo e attaccati
inconsapevoli all’amo
desideriamo e moriamo
per quell’acuto desiderio
incauti e frivoli ammennicoli
freddi comprendiamo
troppo tardi l’arcano.
di là da venire ancora
la luce delle stelle
la loro guida possente.

una sorta di saggezza

forgia malmenando
la malattia, si cresce
nel dolore come bonsai
dentro corteccia
rame costretta.
abbaia il buio cloroformio
stringe il cor, rammenta:
ogni passo un’ammenda.

desiderio

così tanto amerei
mi desiderassi
in un borgo medievale
per mano mi tenessi
come un regalo
un accento
o un apostrofo
tu lettera eppoi parola
appeso bucato
fresco profumato
tra antiche mura
e di fiori rampicanti
viola rossi gialli
i tuoi occhi di pietra
ed il sesso intenso
ma delicato come intonaco
sornione pastello.
dipinto mi vedrei
in tela e su muro
per gli intimi
avrei l’animo vivo
la pelle d’oca
e la fronte non sudata
vigile. quando in armonia
delle cose distinto
non parte ma tutto
e richiamarti la sera
al segno e poi al mare
un giorno forse
non troppo feroce
non troppo caldo.

goffo

—————————————-a H. M., C. L., V. C., A. S., oggi




sento dell’estate
la fine e mi cavalca
animo claudicante
piccoli baci danzanti.
penso alle stagioni
alle cadute foglie.
e non m’ingegno
né canto. mi sento
vicino a persone
che non conosco.
preme il cuore mio
come un santo.
come remote stelle
luce che sfarfalla.
capto le idee
e i loro riflessi,
chi mi conosce non sa.
ed io che di voi immagino
fremo e vibro
di vita nuova
d’un desiderio.
una visione cesellata.
è quella distanza
che mi sopravvive
ed io danzo
anche se goffo.
finché mi è dato
e sorpresa mi volge.

serio

le cicale cantano
un sogno d’estate
ecco cosa tiene
in piedi la sera
un giorno di vento
uno strato di vita
uno sull’altro
hai cercato nell’orizzonte
quell’allontanarsi
piano piano
poco prima
del disfarsi.

si sfalda

si sfalda la notte
in riflessi di birra
e una colata di whisky:
i giovani godono
i vecchi attendono
una luna intera.
le auto sfrecciano
nel colore che rimbalza
da un lato all’altro
la strada defecata.
orridi palazzi
come carceri
malati pensieri
di disfacimento lento
porterà luce il mattino
col tratto d’un pittore folle
senz’orecchio.

sala massaggi ed altre urbane amenità

la sala massaggi cinesi
offle amole a buon melcato
ad un soldo bucato
frittura di palle mosce
involtino di carne
ben arrovellato.
quando ne esci
sai di olio bruciato.
le città e i loro bigotti
burocrati corrotti
vogliono strade pulite
non vogliono carne umana
ma tutto il resto c’è
-dalla diossina
nei centri di smaltimento
umore di diesel
spray arzigogolati
traditori della patria
guerrafondai, stupratori.
si salvano apparenze
con massaggi speciali
e romantici dietro cartongesso
pure il matrimonio
già alla deriva per ovvie ragioni
scarto dell’imposta cattolica
allo stato laico.

ruggina

scrivi troppo
pochi i lettori
scrivi troppo
pochi ascoltano
la fiamma che brucia
o ossigeno che ruggina.
hai modelli
di un passato
lettore moderato
ma partecipato.
non ermetico
nemmeno dietetico.
mangi la tua confezione
di realtà.
mangi il tempo
come un vivo sa fare
nei ritagli.
scrivi troppo
rimarrà qualcosa
tra la cima
ed il campo base.
devi lavorare
per campare
e comprarti
i libri.
devi lavorare
colle parole
non sono tue
né di nessuno
e non importa.
un saluto
non scritto.

 

i

i vecchi attendono il silenzio
sulle panche sfatte del parco.
i cani grondano inutilità bavosa.
erba e stronzi a raggiera.
se io fossi in voi abbandonerei
la nave prima del definitivo
affondamento.

atomi

uomini automi
lontani dal mondo
e avversari della terra
atomi opposti e lontani
scendono al mattino
dalle auto. da una scatola
ad un’altra, rassicurazione
dell’ovvio, del diritto
e dovere, delitto e rovescio:
il lavoro tiene caldi
i piedi, ma freddissime le idee.
schiavi della produzione
eserciti di carni mute
sconosciute epocali scommesse
d’anonimato conclamato.

i più deboli (non vorrai mica…)

improvvisamente con un virus
scoprono i più deboli
come non ci fossero
stati mai. i più deboli
hanno la loro voce
falsificata. la loro
aura santificata.
muoiono ora
latrati dei tiggì
e morivano prima
ma prima nelle camera anecoica
colle braccia spalancate
le parole di circostanza
del fine vita.
è cambiato il predicato?
il complemento oggetto
è sanificato dall’ipocrita?
dovremmo dimenarci 
nel terrore come aracnidi
stufati? dovremmo
prostrarci alla fantascienza
della scienza statale?
avete tolto Dio per obsolescenza
ora ne abbracciate un altro?
più carnale, meno ancestrale
capovolgimento fenomenale.

la paura

vuota è la paura
non contiene
non previene
è insatura
snatura.
i visi e le menti
scosse da paura
consegnano la guerra
dei mondi
l’incauto movimento
epilettico.
ecco la paura
nei visi divisi
tra la terrea natura
e l’immaginazione
al potere.

Mulinano

Mulinano inani roteando
in preda all’attimo trottole
s’avventano sui tempi
morti, inascoltati. Beati
uomini in cerca d’eroi
ed io smussato odo
dai quarant’anni e più
e più non accolgo, né
m’incammino ancora.
I vizi, i vizi sì, fanno vivo
sempre l’astratto:
l’ingrasso, il fumo
la gola, il colmarsi
d’amore, l’odio: attratto
dagli eccessi
del domani i decessi
ascessi di un dio minore.
Oh, quanta boria
e quanta storia ancora.

passi

pensavamo ai raggi di sole
trafitti da una tosse di vento
o percossi dagli animi bui.
capimmo gli alfabeti diversi
cercammo di compierci in merci:
era solo un sole posticcio
una luminaria senza lampada
una riscossione senza moneta.
questa lapidaria sensazione
di muratura: gli uomini
mettono i fiori dopo.

urla nel parco

le urla a mezzanotte
squarciano il cielo
nero come pece.
i giovani costretti
poi al silenzio
bramano poi una via
i giovani non sanno
della fine. neppure
dell’inizio col cordone
insanguinato. fermi
stanno come nuvole
senza il vento.

distesa

distesa sul lato
il letto stropicciato
sei un capolavoro
sotto la luna.
la tua pelle bianca
s’increspa di luce
t’accarezzo.
siamo vivi.
manca la neve.
e siamo vivi.
manca la vetta
ma siamo vivi.
noi il picco
che rarefa l’ossigeno
e dì al sole s’appressa.

nemmeno

scuotono i rami d’acero
impastati di niente
nere nuvole l’orizzonte
occultano. case calde
di sole a ferragosto
le fabbriche spente
per sempre. notte.
ci guardiamo tu ed io
un attimo. prima della cena.
imparato niente
nemmeno a recitare
osserviamo la luna
intera e alta nel cielo
attraversare il vapore
come un fine.

matura in me

matura in me
l`essenza del buio
naturale quiete
del non detto
non s`incarcera un uomo
per la sua luce
nemmeno uno vivente
nell`oscurità
non si teme la macchia
neanche il ciclo
del sole luna.
s`avvampa di tesi
si screpola di desideri
e tempo perduto:
perduro nel mio arco
scalfisco e termino.
si dovrà lenire
il dolore con liquidità
e tenacia.
si dovrà vivere
per alba e tramonto.

censura

non s’evacua né per castità
né per esibizionismo.
si spremono le meningi
alla ricerca consolatoria
delle parole in mostra:
gli assassini sanno
per questo pretendono
ed io non voglio intiepidire
alcuno che sia stato vivo
e caliente come una parte
non comune di gente.
si muore giovani
per ricominciare.

coraggio

si legge così poco e male
per natale una smorta
cucitura di parole svendute.
a pasqua il rimasuglio
un trastullare tranquillo
di confermata libertà.
un rinverdimento
del ravvedimento
del solito mercato
dei nomi che contano
e scontano l’eternità
di gomma e sacralità d’antan.
e non vien solo la metà
neanche un quarto
senza scarto. tutto immobile
come un impolverato soprammobile.

col covid

le troie col covid
non raggiungono
l’orgasmo. il distacco
è il contratto
la videochiamata
il ricatto. spostarsi
una eventuale chimera
d’untore. l’impostura
è la nuova iattura:
relegati nei propri casi
per endemica profilassi.
l’amor da macellaio
una anafilassi.

lungo lungo giorno

si fanno incontri
che sono scontri
ci si dimentica poi
come dente scheggiato
tutto insabbiato
sipario calato
andato per un minuto
andato per un quinquennio
non so neppure chi io sono
nel lungo lungo giorno
sera pomeriggio dì
io non son più qui e tu?
non son dove andrai e che farai
ciò che sarai
sarai anche per quel destino
che tutto digerisce
come crasso intestino.

Carlo

Carlo c’ha fatto il callo:
un lavorio seriale
mai fantasioso
perlopiù affannoso:
ripetere stancamente
per un’era geologica
la fuffa post ideologica.
Carlo è un sopravvissuto
è un perfetto anacoluto.

diverso

son diverso
m’attengo al terso
all’emancipato roteare
dei lombi appesi all’alto.
dal basso al ventre
dall’a all’otre. oltre
le maniche calve
i calzetti scalzati
i vetri rotti. beote
le orde assassineranno
il buon senso. sesso
d’angeli, represso.

Paolo

Paolo piange miseria
ha riconosciuto il mercato
ha bussato alla porta
come la Quinta del Bee.
Pandemia l’ha prosciugato.
Manca un anno al ritiro
forzato. Non è interiore
né vacanza -fine vita
fine pena mai. Anno eremita.
Alla soglia della pensione
resta davanti alla televisione
un poco in apprensione.

strategico

siamo l’utile posseduto
e l’angolo acuto
che svergina il tempo
e chi ne ha aspetti ancora:
viene il momento del lamento
e l’organo nella sua paccottiglia
tentenna e origlia: vademecum
strategico ed illogico. ciniglia
un tessuto illuso e liso
per davvero penso al cielo
alle sue rughe d’impressionisti
al quello strafalcione
della falce di luna.

un compromesso

sveglio ogni mattina
col cazzo dritto come un palo
sveglio per mestiere
sveglio per maniera
l’incetta di conseguenze
satira delle coscienze.
mi trovo bene
con le catene
voglia di illusioni
diamo il meglio coi sogni
e io la notte prima sogno
sol che non ricordo cosa
ho sognato. smemorato
debole, futile schiavo
profondamente immorale
men che meno astrale.
pezzo di carne
fetta lessa di fesa
in balia dell’energia
in balia di se stesso
senza nesso. compresso.
un compromesso.

non è

non è poesia questo mal di testa
che mi spezza
non è poesia né la merda d’artista
né questa merda di cane
sotto la mia suola vietnamita
otto ore di lavoro chiuso nella fabbrichetta
la mia disfatta nervosa
impietosa deriva di carne
e lo spirito defecato
non lo è dire sì al padrone
sì sì sì
perché hai paura di finire male
con una casa di cartone sotto al ponte
di cemento armato che scricchiola e geme
acque nere reflue topi e psicopatici -no
non è poesia questo fottuto caldo
che s’incolla alla pelle
come bitume liquido
o una spray rancido
per pelli delicate
non lo è il mio dito medio
tra il giardinetto e le scalee mobili
l’asilo nido vecchio e scorticato
c’è stato benigni lo sapevi?
un’era e mezzo fa
e la coop per i vecchi del quartiere
crepato e stanco
col negro che pretende l’elemosina
la zingara che maledice il prossimo
suo come se stessa
non è poesia
non è poesia
questo lancinante grido d’aiuto.

io sono qui

odio l’estate
e mi odio
perché non so abbracciarla
e baciarla con le labbra morbide
la lingua voluttuosa e le parole carine.
le parole dolci io le so
è che faccio fatica a pronunciarle
saprei vomitarle
spezzarle e bruciarle
come nelle notti agostane
quando tutto prende fuoco
e le bestemmie
costano sudore e fatica.

vi han detto

vi han detto di fare i buoni
non si sgarra a mezzogiorno
col sole sulle pietre
e l’odore dei cassonetti putridi
le sonore cicale in amore
che hanno scambiato la città
per il paradiso
e quell’angolo terso di cielo
un universo in meno
per pensatori e scalatori
di guglie, sconsacrate chiese.
sento i rumori dei tir a mezzanotte
ed il feroce scambio di battute
tra un africano come carbone
e lo slavo che raccoglie le cartacce
coi guanti lisi e anneriti.
appena un pacco ho ricevuto
una cosa che non mi serve
l’appoggerò impolverata.
sono come una domenica rotta
d’agosto o un telecomando
che non cambia canale.
sto cercando le parole
per non sembrare morto.
chi muore sa di non poter
più parlarsi. né rumore.

albeggi

risa fragorose
nel giardino di notte
chi sei? sei esile
e tenue come il buio
di fiume. l’erba accarezzi
sei viva. le tue cosce
nude. i pantaloncini
appena ti trattengono.
sei sudata di rugiada
albeggi sotto la luna
nel tepore lontano
dell’asfalto cresci
e come un fiore.

furente calore

c’è il furente calore del sole
nelle cose emancipate dall’uomo
-questo è il silenzio che s’inoltra
nel vivere quieto della periferia
d’estate. non c’è altro colore
se non accaldate gote.

fottetevi burocrati e macellai

le strade sono un deserto
di calore. l’asfalto
un albume stracotto.
persone sfrecciano
incuranti con le facce oscurate:
lo chiede lo stato
è una marchetta prima
dello sfratto. li guardo
quei visi sfasciati
divertito e stupefatto. io
anarchico prestatore d’opera:
ingrato per il padrone
vessato per l’ordinamento
sono carne da macello
simulacro di diritti
che non servono a un cazzo
ma che fanno arcobaleno.
tutti i colori sono realmente scolorati.
giochi invertiti
per organi che furono caldi
tutte le idee inutili
e le stampe propaganda
di democratici furiosi
e tu che m’osservi dietro
alle tende scolorite dal sole violento
protetto dal vibrante condizionatore
ne sei testimone incolore.
intanto il Quinto di Ludovico van
alla radio
mi rende vivo
come non sono stato mai.
Rondò. Allegro.

prepararsi al da farsi

prepararsi alla consolazione delle cose
infliggersi sulla pelle il peccato originale
fu detto e stradetto che la consolazione
è una frugale colazione: al mattino le cose
s`articolano e sfuggono agli occhi di vetro.
c`era stato detto che potevamo moltiplicarci
per sfuggirci in eterno. la cabala è moglie e marito
figlio e figlia. si spezza il capello per iconoclastia
per carestia di idee e segnali terreni. ero nato
per rubare rose e non per serrare bulloni. sì.

reclusione

a volte la sera il sangue non sale
alla testa e un nuvolo di vespe
decima e respinge il buon senso.
tracima di putredine il sonno
e non si dorme se non per inerzia.
cascano dal cielo perle nere
bigiotteria del tempo sterile
ed il sogno è mite ed assente
come di tutto il senso: lavoro
e casa, casa e lavoro, autorevole niente.

futuribile

l’identità non sta nell’oggetto
ma nell’inavvertibile
in quel di futuribile
celebrato dallo sguardo
intelletto. si consumano
consumando, nella costante
vuota finzione. fittizio
divenne il tuo nome
l’apparenza costate condanna
all’effimero. nuotarono
nel possesso compulsivo
non s’accorsero d’annegare
anonimi sconfitti
onanisti della lotta
dei capricci.

strada

la strada è cieca
non assorbe
rintana il calore
del cenacolo.
la strada
sola anch’essa
non più curata:
erbacce, pattume
e insolenti, vandali.
è fredda estranea
migrante, trasparente:
attraverso nulla vedi
non senti e non credi.
la strada fu sasso
oggi è led, lampione
luce ghiacciata
una manciata
d’insapori.

sorriso

ho timore di sembrare
ridicolo
con le mani in testa
penso alla novità
delle unghie nuove
le taglierò con l’affanno
della noia e l’avvento
del breve termine:
scalfisce la notte
il tentativo. e mento
col mio sorriso buono.

bimbi per l’eternità

per il bimbo
l’oggetto va stretto
non è mai quello
che è -tutto un gioco
in aggiunta al materiale.
nel frattempo
urla forte il genitore
ma è sol genitale
che prova il mondo
a memoria

sono

sono sfumato
in una cortina lacrimogena
d’indifferenza.
ho acchiappato la lenza
degli affari interni:
nasci studia lavora e muori
e negli scampoli divertiti
ed è più devi
che puoi:
il raffinato edonista
ti piscia sulla testa.
operaio morto di fame
stendi la catena di comando
avvolgitela al collo
rammenta i tuoi stracci
la tua bandiera è una gruviera
la tua farsa una pena.
è più facile che un cammello
passi per la cruna d’un ago
che un ricco entri
nel regno del fiele.
averlo saputo prima.

ora che il silenzio

ora che il silenzio prende la città
rombante la sera, ora che il cielo
è buio lesto, misterioso eroso.
augurarsi una dolcezza simile
le foglie ricadute testimoniano:
astuto tempo: mai si palesa
con eccessiva lena.

la conoscenza

mi conosco al 90%
10% restante è nuvola
destinazione incerta. mi conosco
all’80%, l’altro 20% è nuvola
destinazione incerta e bestia.
no no, mi conosco al 70%
sicuro dell’immagine
vivida e viva allo specchio
30% nuvola destinazione
incerta, bestia e sorda demoniaca
violenza del pugno, sangue
rosso come eclissi di luna.
ogni volta che so qualcosa
di me insorgono i sogni belli
l’illusione dell’uomo moderno
si sfalda come i suoi monumenti
le vecchie mura, i ponti, le chiese:
ci s’immagina solidi, impettiti
come la sequoia e nella realtà
siamo umido afflato, gas
di scarico. poltiglia

alla marea sono scoglio

la mia voce solitaria
schiava dei programmi tv
dei programmi elettorali
dal coro straziato della città
asfaltata dall’altruismo
dal cieco solidale
e da altri cancri insicuri
e maldestri creati ad hoc
per farci paginate servili
e untuose, la mia voce
solitaria non è mai stata
così sola nell’era
della chiacchiera estrema.
la mia estraneità contorta
e spuntata, i miei legami
al polipo dalle mille ventose.
non mi sento solo
è che non ho ascoltatori.
e non ne voglio. alla marea
sono scoglio.

catapultato

catapultato in un mondo alieno
questo del lavoro
delle otto ore
che divengono dodici
farsi succhiare il tempo
e morire poi in un ospedale.
la parabola capitale
dell’animale intelligente potenziale
sono semplice e conosco persone semplici
quasi elementari: mangiare e scopare.
i totem della società in capitale.

cielo intero

allampa il cielo intero
come film in bianco
e nero. torcia cupa
che infiamma e sforza
i rami nella tormenta
tuona in bordone.
scroscia la pioggia
gorgoglia nelle fogne
nelle grondaie, eppoi
il ghiaccio s’infrange
sulle auto: rimbalza
e crocchia, striscia
e rotola. è una notte
che non si dorme
una notte invadente
che si spegne poi
lentamente nell’umido
incalzante bagliore.

radiare

quant`amore prostrato
meccanismi da oliare
sarà soliloquio o corale?
non so proprio, vedo
cielo e terra ancora in abbraccio
come in collaborazione

per quanto?
il tempo sì, lenisce
ma pur separa
e quest`umore di terra
potrà forse esser torpore
o richiesta d`onore novello

per ancora radiare.

 

sofferto

hai sofferto e non ne hai fatto
concerto -voce solitaria che
ha fatto a meno d’aria. avanza
quella prua, continua imperterrita
assieme alla sua poppa. rompe
il ghiaccio e non si dispera.
qualche lacrima, sì opportuna
sì in economia: si getti l’àncora
ancora ed ancora. che sia

ripartendo dal via.

il tempo stempia

il tempo s’è spento in un attimo
due giorni due di leggerezza
ed improvvisazione
asportazione ed inazione
si son consumati
smunti avviluppati
in attimo di ciglia.
dei secondi la meraviglia
in marcia (rumore di soldatini
di piombo a strapiombo
sul mare) per non arrivare
da nessuna parte in particolare.
l’accidia di giornata
assai grigia, un quadro
che non si fa cerchio.
il buco senza la ciambella.
sacco senza gatto.