a te. e a me

le mie carni pronte a te distese
la tua teatrale centralità dei gesti
la mia cura a cercarti e cercarti
anche quando non sei che illuminazione
l`essere tuo corpo a corpo
quando i nostri occhi non si cercano
perché buio e sacro son tutt’uno
noi due plastici arrovellati e infiniti.

rosso di sera

fu passione
ma anteriore
come sogno
a ritroso: l’antico
furore del rosso.
hai mai raccontato
il rosso? l’abbiamo
celebrato. fai e pensa
quel che vuoi
or che raffreddato s`è
come lava per l’isola

in mezzo all’oceano.

medioevo ideale

pensavo al medioevo
come ad un’era nera
ottusa e delinquenziale
soggetta ad una mediocrità
come il polline sospeso
dal vento della storia
come se noi coll’era spaziale
fossimo arditi pensatori
mediamente colti, vivaci e sagaci
invece fu epoca originale
di sommovimento
ricca di pensiero e arte.
oggi invece, starai sul sicuro
pensando al benestante
come sconosciuto
alla biblioteca deserta
sotto casa. prevarrà la tivvù
tutti i suoi mestieranti
leggenda dei 15 minuti
di celebrità a sé stanti.

1% di disoccupazione = 40.000 morti in più all’anno

un paese brucia
nessuno ci fa caso
perché è vandalismo
perché sono stati cattivi
perché è indebitato
dovrà soffrire
espiando i peccati
il debito è un fardello
qualcuno invoca
del sano satanismo
per sconfiggere
il volgare populismo:
più la gente vota
contro i signori globalisti
più comunisti e fascisti
e clericali s’assomigliano.
eppoi c’è la nazione
il baluardo, faro
del progetto ritentato
che impone e gasa
a dieci euro l’ora
il prossimo acquirente
di una utilitaria diesel
che dovrebbe salvare l’ambiente
predatore che dopo due guerre
perse ne vuole vincere
una terza. Ritsos
piangerebbe amare lacrime
canterebbe del mito
e delle tenebre
ma poi impugnerebbe
un kalasnikov, lotterebbe
su quelle colline bruciate
in quel mare bollito
senza pompieri senza cultura
senza pietà senza stato
tutto venduto senza niente.

parentado

non amo i parenti, lo sproloquio
si versa una sorta d’ipocrisia
che poi non va più via
come una macchia sul bucato
un baco che ha dimenticato il filato.
come una bava di lumaca
che pontifica su scelte
ed esige correzione:
tu già adulto, istruito, saggio
ma t’indicano, ti porgono
il dito come fossi da aggiustare
ed invece sei libero splendi
sei soltanto da lasciar stare
come la bella conchiglia
sulla spiaggia, a mare.
per fortuna il parentado
prima del tramonto
s’è opportunamente accasato
prima ancor dell’inesplicato
dell’annebbiato, dell’inrugiadato.

pentecoste

tu mi credi qui prostrato
cosciente fra i doveri
impassibile al mistero
impossibile al diniego
ma io già son fuori
come il padre
scomparso d’un male
incurabile: nuoto
fra i pesci grossi
affamati e disumani

come lui seppe
e tacque accondiscendente
in quei lunghi 40 anni di lavoro
ora una chimera. ma si muore
lo stesso, nei modi più atroci

anche senza un’occupazione:
la generazione millenial
ne ha sicuramente sentore
e può restare il rimpianto
d’un non aver mai stretto un giunto
col grasso gocciolato sul guanto.

complottisti negazionisti nazionalisti

domani quanti saremo?
saremo tanti tanti
così tanti da non contarci
faremo lunghe file
tutti sudati
ancora più lunghe di quelle postali
o di un concerto pop
rock metal hard techno rap di merda
in fila al pozzo dell’acqua
a scannarci la faccia
pestarci i piedi
linguacce e bestemmie
per quel centimetro di umanità
che c’eravamo conquistati
con due guerre mondiali
due bombe atomiche
imperialismo
una guerra fredda
1000 Vietnam
per un solo padrone
lo stesso potere.

manieristi

poesia è nostalgia di casa
è un vaso impolverato
un reliquario d’impronte
sul vestiario, una macchia
di sugo sulla camicia
un calcio al muro
il tubetto del silicone
schiacciato. è la marea
delle cose belle e brutte
senza distinzioni pregiudiziali
con una marea d’intenzioni.
è questa mano d’operaio,
impronta delle tue
già in pasto ai vermi
e liquefatte nella terra
di tutti.

senza qualcosa

c’è la trappola del colore
la tensione dei corpi sociali
che creano scontri ed attriti
per il potere degli altri
che razza di conquista
la razza e i suoi miti
le sue battaglie e la politica
perché la massa esige
a giorni alterni
ed è comandata
e dorme ora
il sonno del secolo
il sonno dei morituri
non biologico: aumenta
il numero dei senza vita.

carattere di me

immancabilmente la luce
lo sguardo riduce
come acqua che vive
riluce, ma scuoce: e allora?
verrà un buio che cuce
la sensibilità alla vita
ed il sentore di riposo
come la domenica
che io non lavoro.
è question di stelle
ma pure di radici:
ti puoi flettere al vento
ma non spostarti di casa.
nemmeno la fiamma
ha quest’esodo.

la scopa del sistema

la retorica bella sui migranti poveri coglioni come operai garzoni barboni
sballottati dal sogno sbagliato, attratti dall’idea di gente come noi
buoni e bravi per finta o i ‘tanto piacere, mi presento sono buono:
oggi farò un po’ di volontariato
domani scriverò in bacheca con la lacrimuccia-
solidale, umanitario e globale- vedi quanto sono giusto e buono?!’
gente col rolex in villette faraoniche sui colli
gente coi soldi che si sente come tutti gli altri
gente buona coi danari e padroni del discorso
e gente in appartamenti incivili sfitti e occupati
coll’intonaco scrostato e sollevato
con tutte le antenne storte cadenti
zingari sozzi che s`infilano nei bidoni
il pensionato o l’operaio che butta il salario nel gioco
l’africano che vende lusso finto lungo le vie dello shopping
l’arabo vestito di bianco, inciabattatto, con lunga sudicia barba
emulo di Bin Laden, che s’infila nelle cantine a pregare
gli strafatti nei vicoli coi pantaloni calati
le puttane che fanno bocchini dietro le siepi dell’infinita periferia
gli spacciatori neri indisturbati con gli occhi bianchi come spilli
rimpolperanno le file di un paese che scopa poco e non fa figli
che svende quelli intelligenti e laureati, uno staterello che fu allegro e semi-democratico
di raccomandati in fila nemmeno indiana, ma creativa-latina:
file al sindacato file dal caporale file al centro dell’impiego file in agenzia
questo l’idilliaco paradiso a cui andranno incontro col sorriso televisivo
non avranno nemmeno il tempo di pensarla la decantata libertà
il mercato avrà già dimenticato le nuove leve del cambiamento
con un striminzito merdoso salario, nemmeno il contratto e legge
urleranno razzisti, siete tutti razzisti schifosi, voi qui non ci volete
vaffanculo culi pallidi, dov’è la ricchezza, dov’è la felicità promessa?

accanimento terapeutico della poesia estiva

una poesia per funzionare
o per essere poesia
deve avere almeno:
un cuore
del dolore
il male
un altro cuore
ti amo
anche amore
tipo talk
e rimescoliamo
rimescoliamo
ancora
ancora
e ancora
eppoi una foto
un poco sfuocata
con della nebbia preferibilmente
tanto sentimento …assenza…
delle foto in bianco e nero
del sentimento in aggiunta
(non basta mai
come la panna)
pathos
empatia
contro questo mondo cinico
e orribile
molto peggiorato
negli ultimi tempi,
noia. che noia.
tanta noia.

se non ci fosse l’amore

ci siamo lasciati male
urlando l’uno contro l’altra
perché siamo molto diversi
ma già lo sapevamo
fummo consapevoli delle discrepanze, degli scogli
ma lasciammo che le cose
andassero per il loro verso
rotolassero: è il bello delle scommesse.
poi è passato sornione il pomeriggio estivo
i pochi sono tornati dal lavoro sottofondo di cicale
con le macchine piene d’aria fredda
nell’appartamento vicino martellavano con insistenza
come se un nuovo inquilino stesse per arrivare
a minuti, a secondi, ora: la pacchia è finita.
poi alle diciotto circa
ha suonato il medico della mutua
sembrava un burbero boscaiolo con camicia a scacchi
gilet da pescatore, la faccia da stupido burocrate
tre autografi, il suo lasciapassare e via, buonasera.
quando sei tornata martellavano ancora
il cielo era buio o quasi
io avevo già mangiato i resti del pranzo
e non avevo dimenticato
di mettere sul tavolo
un piatto, un bicchiere, un pezzo di pane francese
prosciutto e melone, tovagliolo. una bottiglia
di pignoletto ghiacciata.
e le mie scuse. subito dopo le tue come dessert.

sangue

sento il bisogno di sangue, l’odore dei globuli
è nell’aria assieme allo smog, all’amianto
alle onde del wi-fi, alle scie chimiche, ai diserbanti
inesplicabile e potente
la gente non vede l’ora d’impiccare
il proprio capro espiatorio
più velocemente possibile
senza domande senza risposte
non c’è ragione a tutto quest’odio
eppure c’è, è cera tangibile, olio
è nelle fabbriche -le ultime-
negli uffici dei colletti bianchi inamidati
nelle mascelle dei dirigenti
nella santificazione dei capi di industria
una sete di sangue primordiale
da scimmie appena appena carnivore
con clava, canini e incisivi affilati
il popolo social vuole ogni giorno
carne della propria carne
eppoi azzannerà se stesso
nell’ultimo mostruoso impeto dei benestanti
lontano anni luce dal potere dei padri.

tuono lontano

avverto il tuono lontano
qui c’è un superbo sole che acceca
e ci sono le cicale
immancabili.
la luce ha invaso ogni interstizio
ma il rombo lontano
s’avvicina
come l’intingolo versato sul tavolo
lungo la pendenza
cade gocciolando
sui miei pantaloni non nuovi.
non importa
se le macchie persisteranno
anche alla possente centrifuga:
il colore
su una tinta unita
è sempre splendido e regale.

devo conoscere la tua anima per dipingerti

il barista riscalda
cornetti industriali
alle 6 del mattino
c’è già odore di pasta dolce
aria densa di crema
il nero dorme sulla panca
il bianco rovista nel cassonetto
il pakistano ha perso le braghe
il cinese puzza di fritto e vuole gli occhi diversi
il rumeno chiede l’elemosina e una sigaretta
la ragazza con le treccine
appena scesa dal bus
con tutti i preservativi fa l’occhiolino
il transessuale chiude l’auto
col trucco sbavato
il mattino è un catino ammaccato
dolce e annoiato
credo d’averti visto
ieri con le solite asprezze
principiante inizio gioioso di giornata
l’intontimento del sogno
che non è più buono
ma c’è il dolce
dello zucchero
e un caffè così così
basterà a svegliarmi.

non s’insegna il potere

non s’insegna il potere
a chi potere non ha avuto mai
a chi ha sognato coi piedi interrati
e tutti i giorni paiono uguali
malleabili al profitto minimo
senza ampi margini. inimmaginabile
la libertà vagheggiata, le pulsioni
della linea che divide et impera.
impensabile la destinazione buona
i sentimenti facili, la busta paga
dei lavori intellettuali
e una eventuale umile riscossa
anche senza bandiera rossa.

dubbio sistematico

naturalmente scrivere
la rabbia incanala parzialmente
esplicita rende come rosolia, morbillo
al contrario di queste tuttavia cura non c’è:
è il dolore che non contratta
maltratta, si stende vicino
e scolpisce, che la carne debole
l’anima non esiste ed i ciarlatani
si scoprono nani che capita
raccolgano frutti: ingenuità
ellissi, eclissi… di luna, però
che la luce è della scienza
gaia, come la ragionevolezza
col dubbio sistematico.

la storia che pare

la storia
è una striscia di coca sul tavolo
una linea di polvere per terra
un unguento per capelli usurati
un elastico che riporta allo zero
un tedio lunghissimo e pesissimo
la diatriba fra classi subalterne
uno sfiancamento senza vittoria
un secondo classificato sempre
un concorso di bellezza per cani
ammaestrati, narrato da infingardi:
chi ha lo zuccherino e fa l’acchiolino
è il vero padrone dominatore
starà dietro le quinte quatto quatto
con le partite già vinte nel piatto.

luglio ti vorrò bene

le cicale sono dappertutto
le persone no
le cicale cantano
le persone stanno in silenzio
aspettano l’autobus
a capo chino
immerse nello smartphone
i vestiti leggeri
quasi vivaci
ragazze con l’intimo risicato
i grandi e bei culi
labbra di sole rosso carnoso
occhi furbetti e sbarazzini
gesti leggeri
quasi accennati
il trambusto della via maestra
traffico, tra poche ore
il caldo sarà così intenso
che i cavalletti degli scooter
lasceranno una testimonianza
sulla strada bollente
il bitume è la nostra storia
i graffiti di una cultura
che si compiace
e si dispiace
e si distrae:
tutto il benessere
sta nel paniere
dell’istituto nazionale di statistica.

sognatori

spacciatori nord africani
con vestiti sporchi logori
le vie del centro storico
allevano come biscie
incantano i serpenti
strambi ipovedenti
gli occhi strabuzzano
pieni di foruncoli
facce strafatte
bocche sfatte
corrono su e giù
l’eterno giorno sa di solvente
il sole benzina rovente
la notte in una latrina
pantaloni bagnati
maniche attorcigliate
vorrebbero scappare
restano inebetiti
tronchi di cono dove sono.

viso diviso viso decisivo?

non si scrive poesia
se non ci si mette
la faccia o come qualcuno
il corpo del poeta
e la sessualità sua
i necrologi, il pulsare
problematico, ormoni
complicanze e mercato
dell’emozione usato
è l’illusione nostra
(come non considerarlo
romantico Mendelssohn
perché solare e gaio)
esibita come mestruo
al contrario io la faccia
non la desidero: ho già
così tante maschere
che io voglio sol leggere
possederle mie la parole
per l’attimo del battito
crema amara di caffè
vibrato d’abete rosso.

libertà di a(r)marsi

obbligato alla libertà
non so più che pensare:
ogni giorno è uno sforzo
ogni giorno cercando
d’appartarsi con la morale
pomiciando con gli influencer
fantasticando di reddito.
posso venire con facilità
davanti allo schermo del pc
votare e scandalizzarmi.
trovando le parole adatte
per l’ennesimo massacro
ma a me non frega nulla
però farò finta di niente
perché starò con la gente
con gli occhi bagnati
le mani alzate eticamente.
hai tutto quello che vuoi
ma desidererai ancora.

rassegnata

rasserenata sol ora
appari che rassegnata
non sei, guerriera
nell’intemperia
con gli occhi decisi
come certi gambi recisi
più per bellezza
che biologica sensatezza.
decifrando l’affronto
della vita a posteriori
esser si può vincitori

(metabolizzandolo).

a tratti

a tratti
credersi immortale
per essere immorale
attardato di giudizio
mai sconfitto e mai preda
la società dei consumi consuma
ed annette di prepo
esserci per esserci così molli
arrendevoli come polli d’allevamento
ho dimenticato la rivolta
anche se dentro il mio sole
non ha satelliti
è il big bang della mia volontà
di ferro e carbonio
in percentuale da valutare, certo.
incastonati siamo
nel precipizio del lusso
degli altri.

angoli

tutta la bruttezza
lo squallido, il povero
attorno, cemento sfregiato
ferro battuto e sbattuto
lerciume dei cittadini
pattume dei desideri
repressione nei piccoli
orrori della periferia
l’accaduto, lo sperduto
il dimenticato, tutta la flessuosa
gradazione del grigio
dal topo all’intonaco
imbevuto di piscio
pittato di brutti murales
testimone minore
degli angoli imperfetti
crudi e bui. tutti i segreti
impilati negli angoli
e noi terrestri in fila indiana
maleducati ignoranti
in cerca come formiche.

le parole belle, i visi brutti e l’eterna fiaba

ti vorranno
far credere
d’esser morali
giusti, etici, paritetici
e fratelli.
che i colori
son tutti
non diversi
immersi negli universi.

ti farà un dono
quell’uomo buono falsario
feroce come il tuono:
della sua illusione
macellaia visione.
poveri dentro

con l’esaltata ragione
anche nel furor
del vento violento
storia che non dimora
in alcuna fanatica

parola esatta.

quale senso

l’inquietudine ritmata della cicala
la mia cara amica nell’estate odiata
non spaventa l’acqua che bolle
e fa corolle telluriche nella pentola.
la pasta è la beatitudine nell’indagine
un punto fermo prima d’ogni presunta
apocalisse e di lì a venire ogni diritto.
i poveri mangiano poco ma bene
o forse il padrone non troverà l’asino
legato: il totem del proletariato.

lenitivo

il tempo lenitivo
un contrattempo
che viaggia su altri
ignari barbari binari.
i secondi che bari
rotondi come ruote
circolano nell’atmosfera
come cosa strana e vera
soltanto una vaporiera:
sulla maiolica il vapore
svapora lascia un segno
a chi torna sul luogo del delitto
coll’alito ed il vizio: la verità.

*

l’esplosione sonora
della cicala sfrontata
belata di sogni sgonfi
tragitti brevi ed infinite
mute abbandonate
in ogni parete. fuori
è tutto il dentro
al quale anelare
e il temporale buio
è il metro di paragone
spessore, fra male
ed incamminarsi.

*

il tuo manifestarsi placido
come il pane in forno
la tua delicatezza affranta di panna.
in un nano secondo ho compreso
la pasta di cui sei fatta
e tiepida e soffice e ladra
di sole. quando la guerra
si fa sotto le coperte
e la mattina seguente
tra bollette e appuntamenti
per la dichiarazione dei redditi
l’asilo e un qualunque puntiglio.
poi la pace non dichiarata
tra cena e l’acquasanta
del sentimento: intingi
le mani tue con le mie
pennelli del quadro mutuo.
e tutti i dipinti si completano
con l’ispirazione e l’inspirazione
d’armonia consonante.

bestiale domenica

a cosa s’aggiunge quest’indole
solitaria? a questa mancanza di saluto.
e si somma ad una terra distratta
calda, solitaria, silenziosa
cicaleccio frastornante
tolti i rombi soli delle moto
direzione battigia.
realtà non amano i bagnanti
si rincorrono
nelle vacanze dovute.
indigenti e più si ritroveranno
negli stessi luoghi
a che pro? s’inganna il tempo
in ogni possibile modo
nelle ricerche senza scopo.
ossimoro dell’effimero.

*

stralunato e distratto giorno di lavoro
con le carni addormentate, il cervello spento-
un operaio non ha bisogno del cervello, è un orpello-
deve essere solo capace di consumarsi lentamente e donarsi e sacrificarsi
comprando nel poco tempo libero cose che non servono, gode il padrone
il capitalismo non è la democrazia decantata dai media servili e ossessivi
democrazia non è libertà, ora come ora dittatura o democrazia non cambierebbe nulla
le pezze al culo ancora avremo, illusi di buoni sentimenti, tolleranza, gratitudine, beatitudine
umorismo involontario, come il lavoro rende liberi e poveri in canna. però andremo in vacanza.

*

il canto della cicala
è tutto il giorno
e io non chiamo
e io non voglio.
ho fatto uno sformato
pur nel caldo
il forno arroventato
e avventato son
io stesso: come la cicala
canto e canto
senza quiete.

mi protendo

gira il ventilatore
velocità tre
il soffitto fermo
sera tiepida
pareti immobili
della casa dei sogni
sei carne della mia
ti conosco da quando sei nato
ma in due corpi distanti
e fatti di sé
precisi, contenuti e indipendenti
può crearsi
un ponte di capillari e nervi?
fra due alberi
le radici o le fronde
si potranno abbracciare?
si stringerebbero mai
nel quieto difetto
nella placida affermazione?
nella temperata
calibrata ascensione?
nel sangue e nella comprensione.
mi protendo
come il frutto del ramo
tu mi dovrai accogliere
ed io mutuo.
anche tu frutterai
anche se ora
non sai. o non sembri.

sornione

quel calore che della terra è pallore
vittoriose cicale insistenti maledette
arrampicatrici di tronchi ed esili rami
tutto il creato vibra al vostro canto.
d’altro lato il prezzo salato dell’amore
è anche questo perdersi nel tempo
vibrare d’aria calda col cielo terso.

magliette rosse

gli operai muoiono
nei cantieri
schiacciati e bruciati
si muore nel contratto
di pochi giorni
si muore per pochi spiccioli
si muore più e più volte:
senza tutele
perché politici e sindacati
sono le più grandi puttane
col tempo limitato
dalla produzione
dal cottimo
si muore per approssimazione
di fretta
si muore col salario
di un povero coglione
e la famiglia senza pensione
sola coll’assenza
e il dolore.

sotterraneo amore

sempre diseguale il fior
dell’amore: a volte è crisantemo
quando non è sentimento forte
già nello sfinimento estremo
capita la margherita
quando si recita confusi
si scelgono i refusi,
oppure la rosa, quando amore
è principale attore
e non semplice
eccitazione d’onore.
capita il bocciolo
d’un fiore che fu
o ancora una rosa
ma blu, come
fondo del mare
dove cielo si specchia
il senso d’appartenersi
ma non appropriarsi:
che desidera il cuore?
non vuole! non vuole.

presa della Bastiglia

i dottori creano attesa
d’una fortunosa ripresa
dicono vedrai vedrai
che l’ingestione della nuova
pastiglia sarà come la presa
della Bastiglia. tuttavia l’illusione
è miraggio, quella cosa
che tiene saldo al laccio, sbaraglio
come il filo del palloncino d’elio
di questa bislacca puttanazza
esistenza anonima sperequata.

*

vicino il tramonto
l’alba lontana
tu vieni con occhi
io vengo col cuore
ci troveremo
a metà strada
con desideri
e parole?
amenità varie
senso, storie?
tutti i viaggi
contengono memorie
che sian tortuosi o lineari
siam nati bene o male
per trovarci
siam nati bene o male
per provarci.

l’intelligenza

che gran rumore
fa l’intelligenza
fa più rumore
della baionetta
dell’azione militare
sulla folla, dello stupro
del folle, del serial killer
che morde, del dittatore
delle folle. eppure
l’intelligenza non allieta
è spietata, quindi ingrata:
perché è anche dietro
il male, lo dirige
perfino lo nobilita
gli dà quell’ossatura
che data non ha,
ma è anch’essa
dura, aspra natura.

uccelli balzelli

schiaccia la beccaccia
il becco suo virato all’aria
piegato all’insù a cercare.
e il merlo a sbandierarlo
vanitoso come pavone
il suo tarlo: vermi, esseri
inermi, giocatori dello scacchiere
anch’essi, alla base. il piccione
provvisorio ondeggiante
senz’arte ne parte
imbambolato fisso
errante, deambulante:
non lombrichi
dall’uomo ma pane
per l’uomo a far ringhiera
prima che sia notte
nella calda sera.

donne rosa

il sesso debole
è troppo debole
ma è più sensibile
e crea, più dell’uomo:
così quest’anno
romanzi scritti da donne
con protagoniste donne
film in versione rosa
(maschilisti porci stupratori
i produttori, registi, maschi sfruttatori)
notti in rosa
denunce rosa
e tanta tanta poesia
ricca di sentimenti
scritta da donne per donne
femmine col pugno alzato
come in quel ’68
alle olimpiadi dei diritti civili.
numeri di telefono rosa
quote rosa
c’è rosa e rosa.
forse è ora di cambiarlo
il rosa colore: le donne
non son più femmine.

liberamente io

quando scrivo
quello che mi pare
mi sento libero
ma dura poco-
è come quando ti lavi i denti
e al mattino ti svegli
uomo nuovo e solito stronzo
come se niente fosse
pronto per la nuova colazione
la democratica sperimentazione:
gli sguardi indicano cosa sei
e uno specchio economico
appeso come un capolavoro
è l’etica nel dopolavoro.
abusiamo del tempo
e il tempo ci mastica
come gomma
senza coscienza
di classe: io
liberamente.

amatevi, ma senza sesso e senza figli

ti compiaci
dell’orrore del mondo
ne partecipi via social
con magliette, proclami
appartenenze a preti
vip, santoni e padroni.
ti compiaci d’empatia
col dolore sacro del mondo
ma abiti in un paese
più o meno civile
con l’acqua calda, scuole
e perfino televisione
internet e pensione.
sei bello caldo
t’infervori e alzi la voce
con gattini, petizioni
firme e mobilitazioni
usi colori dimenticati
fino a poco prima
sei vivo, gli altri
lo debbono sapere
lo sapranno dal pallino verde
sul tuo faccino, bravo cittadino.

poveri sognatori

ci spreme il mercato
ci schiaccia, ci sviene:
son passate anni a decine
dai tumori dei minatori,
dai malanni, le dodici ore
il lavoro minorile
lo sfruttamento
il maltrattamento
l’inquinamento
tutto ritorna vergine
ancestrale, con la new economy:
salari bassi, turni sfiancanti
sindacati assenti asserviti ai potenti
obesi di dollari
ti pagano poco
tasse ridicole
la politica ha perso il primato
è sempre lo stesso gioco
un massacro.
le nuove tecnologie
per chi è povero
son vecchie malattie.

una vita semplice

una vita semplice
è attendere la fine
con dedizione
e finta celata
preparazione.
un allungo discreto
rispettoso dell’altro.
o forse no.
la carne non vale
un soldo bucato
il rispetto è merce
e tutti son troie
dedite al merchandising:
nelle fabbriche
di più negli uffici
e giù, fino in fondo
nei cimiteri i becchini
sudati, con escavatori
a fare il grosso.
una vita semplice
senza lamentarsi
nemmeno se ti schiacciano
sotto suole di nera gomma
tenere bassa la testa
facendo il democratico
liberale liberista atlantista.

siate

siate veri
siate seri
siate severi
coi vostri figli
perché non s’avveri
quel vuoto immoto
open space errabondo
che soffoca il mondo
globalizzato. la democrazia
è la fantasia che culla
i buoni pensieri
dei popoli noti.

velenoso ma operoso

i padroni vincono sempre
ora i nostri migliori
mediocri penne e fancazzisti
danno loro pure ragione
sono accondiscendenti e buoni
o si sentono tali
ma son sempre semplici animali.
lasciateli sbrodolare di diritti
e accoglienza: il padrone
fa la scienza, accoglie tutti
li guarda da lontano
senza più palazzo e arte
come fece un tempo illuminato
li osserva come in una teca
demiurgo del reddito suo infinito.

18 non sono haiku

*
sale in pentola
sale in zucca
la sapidità oggi è reato.

*
il servo di nessuno
si dedica all’aria allo spazio
io non son mai sazio.

*
voglio scrivere ciò che voglio
la libertà non si scuce
io rammendo ogni buco.

*
dicevano il jazz è morto
poi col sax è risorto
con Kamasi ha rilasciato il porto.

*
mi fascia la panciera
assai mi prude la pancia
mi finirei con una lancia.

*
il gufo dà occupato
come lui insistente
mi ripeto: ho riagganciato.

*
l’allusione al popolo
l’illusione di contare
i numeri parlano chiaro.

*
temporale violento
foglie dappertutto
la mia furia pure sparsa.

*
l’indiano sbaglia civico
la pizza si raffredda
mi mette inappetenza.

*
ernia ombelicale
mi metto a passeggiare
mi segue la luna.

*
ammesso e non concesso
io esco lo stesso
sfiorano le parole.

*
vecchia noiosa la vicina
trascorsa è la mattina
l’ape sempre in cerca d’acqua.

*
appeso il bucato stremato
il filo rigido come metallo
pizzicato dal plastico ciappetto.

*
passo il tempo
stupro haiku
mi cade la penna.

*
penso a volte alla pensione
allora vedo Dante in purgatorio
la commedia va a cominciare.

*
il vicino mi porta la fattura
la strada ora è rammendata
tutto il tempo senza acqua.

*
l’acqua non esce
la strada è sbrindellata
la bolletta arriva lo stesso.

*
indossiamo una maglia rossa
intasiamo di gattini i server:
il nulla oltre l’arcobaleno.

languore

soddisfazione
parametro abusato
che non s’è
ancor centrato:
s’alza l’asticella
ogni fase novella
l’uomo è catturato
nell’ulteriore stagione:
si campa perciò
d’insoddisfazione
torpore e tremore.
a scuola si va
tutti i giorni
privi di storni
come quando
s’indossavano
nei parco giochi
i pantaloni corti.

a spasso coi tempi

contenti d’aver casa
satura d’accidenti
frigoriferi tripla a
frullatori lavatrici digitali

padelle anti aderenti
computer, smart tv
oggetti intelligenti
per uomini cretini
ancor bambini.

*

nessun movimento
vento artificiale
suda di malinconia.

*

il lago dei germani e cigni
piccolo parco innaturale
coscienze salve in periferia.

*

blatte in cucina
d’estate se la passeggiano
io con ramazza pronta.

*

i vicini lo sono troppo
spiano tra le veneziane
appese le mie mutande.

*

abituato a non patire
stagioni si susseguono
come carrozze d’un treno.

*

stanco morto
vado a letto finalmente
per ritrovarmi vivo e sveglio.

futuribile

torniamo alle due guerre
col tumultuoso cielo
le trincee, i gas nervini
il patriottismo le grandi scelte.
manca così tanto un filo
quel fluido stimolante e nuovo
e pur vero che il sangue
fluiva a frotte, i confini
cancellati e finti, i corpi
incarcerati truffati e vinti.
ma quale vitalità i Papini
i Balla i Soffici!

catastrofe

il mondo
alla mercé di politicastri
impiastri e poetastri
va alla guerra
gli manca una rotella?

se la sghignazzano
uccelli mammiferi
cari estinti degli istinti
primordiali: si ritorna
alla ruota, alla pietra, alla clava
attraverso il fuoco, dell’atomo
la lava. l’uomo
non ha capito mai ‘na fava.