le parole non finiscono?

le parole finiscono un giorno
tra i vespri ed il plenilunio
e poi rinascono tra il lucernario
ed il vespasiano incontrollate
beate come sogni armi accette
suffragette. eteree come incertezze
empatiche come vipere e estranee
come donne lunatiche.
i veri giorni oscuri
sono i puntini intermedi
tra un lemma e un dilemma:
è punto esclamativo o interrogativo?
è scarno o grasso? è buono o cattivo?
le parole dovrebbero finire
se il giorno è un senso
che non puoi afferrare
con mano prosciugata.
oppure quando il cielo è terso
e l´ingollato sorso d’acqua
va di traverso.

il silenzio delle strade
bollenti fine luglio 2023
non c’è anima né riva.
fluttuo in nome di me
tra marciapiedi stretti
d’erbacce e pattume.
la periferia è una somma
di cose già viste ed altre
che non si pronunciano.
tu sei a lavoro. aspetto.
il magma delle cicale.
l’odore del calore.
tutti assieme. in attesa.
una resa? no. non pare.
tu sei nella spesa. ed in altre
mille cose che non so dire.
le parole non fanno prole.

le dolci parole

le dolci parole
son scolo e morte.
chi l’ha deciso?
nessuno eppure
la consunzione imita
l’esistente e la biologia.
scarno su un letto
un corpo grida vendetta.
e nasce e muore
continuamente
la mia voglia
ed il torpore.
s’osserva
si tiene il punto
sino alla fine.

Provo con le parole

Provo con le parole
ad andare oltre il muro
piantando chiodi lunghi
che i vicini non sentono
non ascolterebbero
hanno i media accesi
le placche nel cervello.
Il regime ha le tasche piene
di leader e ribelli
coi campanelli
ed il popolo gronda indifferenza
si stacca dalla terra come un missile
spuntato. Catene per i volenterosi.
Tento con le parole
di sentirmi parte della radice
e faccio capolino nel ramo.
Vedi quel bocciolo sparuto?

le parole belle, i visi brutti e l’eterna fiaba

ti vorranno
far credere
d’esser morali
giusti, etici, paritetici
e fratelli.
che i colori
son tutti
non diversi
immersi negli universi.

ti farà un dono
quell’uomo buono falsario
feroce come il tuono:
della sua illusione
macellaia visione.
poveri dentro

con l’esaltata ragione
anche nel furor
del vento violento
storia che non dimora
in alcuna fanatica

parola esatta.

le parole dei poeti

armar le parole
che i lemmi van levigati
ritmati, appuntiti, torniti
come di battaglia detriti
nella guerra perenne
dell’occupazione
dei social nuova alienazione.
farsi incudine resiliente
d’un diabolico martello
che il dilemma
è sempre quello:
comprendersi farsi
a lato, come substrato
d’humus che fa cinguettio
della fantasia al potere.
della casta dover
dei poeti, imbonitori poveri
bistrattati o in cosche
riuniti come poteri
finti, esauriti:
si senton miti poderosi
geni, pluridecorati
élite di guaste colture.

e son umani.

immortali a parole

anticipando il male

abbiamo dell’impotenza vera

fatto il verso

nella stretta sarà

maledetto anche il resto.

una sera stuzzicando le parole

sono ferme foglie stasera

non un sussulto. magra

consolazione il fremito

della clorofilla nel carcere

del traffico aereo e nel basso

bordone d’automobili. già

scomparsi i passeri

piccioni monotoni.

e i vicini? quelli non servono

vecchi, malandati

(la notte lo sento mille volte

dal letto

chiamare la moglie -malattia

sonno, sordità). è

così che si finisce spesso

da dove si era cominciati.

apparendo scomponendo

vedi, ecco… non sono quel che appaio
(quel senso di benessere cucinando
facendo la lavatrice e via discorrendo
appago); dentro di me c’è qualcos’altro
vieni qui, te lo spiego a parole sulla carta
la carta è finita? che sia benedetta:
la fine ha in serbo ancora delle sorprese.

parole e corpi

fiancheggiano il mare le parole
la natura tutta; animali, monti, frutta.
come i corpi non sono comiche,
son diatoniche. vilipesi i sensi
con mani e piedi, cromatismi forti;
che gli occhi non serbano rancore
ad un un qualsiasi amore.
fetente malattia del credente.