adesso il sole muore presto
è sabato e l’operaio si riposa
cinque giorni di una vita di posa
come mettersi la parrucca e recitare
far finta di nulla a livello ormonale.
alle cinque scende il buio come olio esausto.
io sono l’operaio che per un piatto di pane
prima del mese ha terminato i pochi risparmi
concessi. io sono il disoccupato potenziale
ho le mani sporche e alla sera
quando il tempo è solo mio
prego scrivendo qualche poesia
un po’ malata. un po’ crepuscolare.
poesia depotenziata dal meccanico reale.
Tag: sole
il sole
alto il sole e lucente
la mattina un po’ stanca
io resto in stanza: non turbo
quest’armonia ed il cielo pulito
alita aerei lontani. silenzio.
un poco di sole
va bene e le nuvole
ed il pensiero di te.
ho tempo per sperare
uno per sorridere.
ho perso ma ho mani
forti. i calli testimoniano.
tutto perdona la luce.
il sole
oggi invece il sole regna
palla accecante che deflagra
il cielo azzurro come un’arma
abituati all’affitto ad un lavoro insulso
otto ore comandate come le feste
tra parenti serpenti e ipocrisia a fette
diserbante delle civiltà in libera caduta.
ci sono differenti opzioni: accendere un mutuo
e morirne oppure restarsene fermi
immobili e impassibili come santoni
sotto la pioggia e le irrorazioni atmosferiche
credendo che tutto è determinato
che tutto avviene per colpa di.
ora tornerà il tramonto ed il suo silenzio
inetto. e ci sarà l’aurora di nuovo
come un altro libro da consultare
per non restare indietro a belare
e scodinzolando farsi cavia.
Quando guardo il sole
Sono triste quando guardo il sole
note bemolli in minore
scaricano frutti e albe insalubri
non esplodono popcorn sonori
ma sale l’asta dell’olio
il motore grippa. Sono lieto
che il sole mostri le sue devozioni
al mattino, ma tutto prosegue
esangue e ballerino. Non s’aggiusta
ma cede la nobiltà d’animo.
E allora sono triste per congiunzione
astrale e metonimia: intemperanze
del tempo e l’assoluta scientificità
della statistica sorda. Auguri
auguri a tutti. Figli e maschi.
si scaldano al sole
i demoni si scaldano al sole
succhiano il sangue ai bambini
innocenti ingenui costrutti
della società in calore.
s’odono le urla dei piccoli corpi
lontani anni luce dai salotti buoni
i padroni distruggono i corpi
per una sete d’abnorme eternità
nemmeno la vanità
nemmeno la derisione del debole
lima quei bastardi canini:
sul fiume a raccogliere i relitti
ci metteremo per sentirci meno inutili
più buoni di quel che siamo.
sole
stravolge l’animo
per sottrazione il sabato
l’ingombra di spazi liberi
acqua cheta, immaginazione
libera finalmente, approvazione
il giorno dei rombi in azione
civili e aeronautici, notte
prestata ai fumi etilici
popolo schiavo gozzovigliante.
tanta voglia di ridere
nasconde una profonda
infelicità? quando mi porgo
le domande migliori arriva poi
il sole, entra dalla finestra
nessuno l’ha chiamato
e non è neppure questione
di buone maniere, io voglio
quel sole, con tutto me stesso.
piango di sole
piango di sole
e lavoro
periferia sferzata dal capitale
dallo sgobbo giornaliero
dall’idea di civiltà che c`assale
ogni fine settimana
in fila verso il mare.
e i contratti telefonici
la privacy ambita, ma esibita
il coito interrotto dei sindacati
tutto profitto case sfitte
anche la lingua
con le parole svuotate e maltrattate
circondate e tradite.
guarda che sole splendente, è primavera
non ci sono più i padroni
autoritari d’una volta
e nemmeno il lavoro
non so, forse c’è un collegamento
ma non ne sono sicuro.
i robot ci faranno le scarpe
la politica muore
sotto al peso della pecunia
i sindacati elargiscono
servizi indotti
da un potere kafkiano
la merce ha vinto sull’umanità
perché non c’è più umanità
che grande ruota la storia
milioni di persone
ci osservano affamate
e vogliono assomigliarci
ma non sanno
pretendono l’illusione
vogliono perdere la libertà
ogni giorno:
otto ore di gioie e soddisfazioni
ogni santo dì
messo sulla terra
dal nostro grande creatore
per far arricchire
un uomo, il timoniere.
la civiltà
domanda
ma nessuno risponde
il capitale pretende
la vita se ne va
pian piano
senza disturbare.
creste di sole
il cielo al crepuscolo
è rossa cresta di sole
tra enormità tuberose
d’acqueo vapore e una riva, filtra.
che arriva sulla riva?
arriva, d’un bel sogno, inizio e fine
canta la fantasia ad oltranza
alle volte colora.
l’iniziativa della natura
è così alta.
donna vestita di sole
una vita intera per comprendere
sole e lavoro
al lavoro, sole fuori
mite primavera,
sghignazzano fior di giovani.
guardando la vita a metà
son vivo: dovere,
spero prima del piacere.
insolenza del sole
non è andata come doveva
perché il mattino ha virato al grigio
i vicini hanno deciso di svegliarmi,
sveglia a mia insaputa
perché gli uccelli hanno mancato
all’appuntamento col pane raffermo in giardino.
la colazione frettolosa anche nel giorno di festa
l’occhio stretto del pugile
che verrà massacrato usato abusato.
mai, non va mai come si vorrebbe
o è un’illusione che ci scalda il cuore
eppure non va ugualmente
e dai, dai dai dai
l’insistenza porta i suoi frutti
cocciutaggine d’un fiore
all’inseguimento del sole.
e auguri, auguri, auguri.
confessione acidula
parliamo di dio
ma non lo siamo
parliamo di serpenti, mele, costole,
ma siamo primati
divinizzanti il sole.
quanta ipocrisia
nell’esser nati
per farne cultura.
diversi i giochi
passaggio a goccia
s’asciuga l’umido non tace più il sole
arriva la primavera? così pare ed è
naturalmente, imbrigliata vitalità
nel cuore di goccia. s’appare allora
più chiari, quasi ialini, ch’ io
possa allacciarti come nodo
finalmente e non al pettine.
ma non farmi innervosire, ti prego.
opposti complementari, beatitudini
la tua necessità d’eternità
ammirevole.
peccato sia finita
anch’essa:
così esercitiamo
nello sfinimento
sotto al sole del campo di grano,
un rovo.
felicità tra le righe
sotto pressione
non c’è mai nessun volo ampio,
la carrellata è più un
piano sequenza incriccato
(la caduta lenta
è promessa, più fatto
che tendenza).
tra il più ed il meno
c’è il necessario
ed allora devi accorgerti del sole:
guarda su
guarda su
incipria gli astri
falli ancor più belli.
domanda al sole, mangia la carota
domando al sole
di tornar padrone
gli orizzonti belli
degli eroi
le case e le città
dietro noi,
sostituir l’inganno
del capitale barbaro
coi bei visi
sorrisi degli offesi
dei poveri indifesi
che siam così diversi noi dai padroni
nemmeno di un’illusione
depositari sfrattati di un’allusione,
emaciati e venduti
spremuti e contusi
perchè se non abbiam cervello
almeno abbiamo i coglioni.
e se nemmeno quelli ci sono
allora certamente
continuiamo così:
come batteri
diffusa polvere
cipria, levrieri,
mobilio spoglio
d’imperatori stranieri.
sotto la calce del sole
al di là della trincea
arriva altra deriva
mia soltanto
famelica digressione
sfavorevole commissione.
lontani aiuti
negate maestranze:
univoca direzione
sola azione
proteso alito:
panni stesi sotto la calce del sole.
al di là
altro steccato
s’installa,
nel lietofine irreperibile
orizzonte concreto
screzio nell’esserci,
immancabilmente fallibile.