mortalità

mio padre nell’urna nera sul mobile in alto, la guardo
sono persino felice, scoppierei a piangere
(lui mi leggeva, non parlava).
stiamo assieme ancora con la musica
un buon libro, l’intelligenza del silenzio:
come continuasse lo scambio.

semplicità

cerca la semplicità
fanne tesoro.
la semplicità
non puoi comprimerla
né dissimularla.
non la prendi per il culo
non la tratti col fondotinta.
cercala in casa, sotto il lavello,
nella dispensa, sotto il tappeto.
arrampicati sul tetto, poi scendi
è forse nel prato, tra i fili d’erba
in un bicchier d’acqua
o nel dentifricio, la sera
tra i denti.
sappi che una volta trovata
non te ne accorgerai:
inconsapevole eroe di carta
farai parte del sospiro
tutt’attorno, un’unica luce.
cerca la felicità
fanne tesoro.

viso terso

c’è il tuo sorriso
nel cielo. alcune nuvole
coprono i denti.
quelli che m’hanno
portato via
tanto sangue.

recordare

se non v’è più istinto è perché stesi un velo d’incognite
secretai desiderio, fisiologiche. è stato ciò
che si dimenticò tra i bisbigli della storia
perduta memoria. forse è stato sbaglio.
e tentato tentativo, certo. abbaglio.

riconsegne

al picco segue la radura-
la spianata brillante
mediocre linea grigia
piatta razza incolore.
alla luce l’ombra della notte
eppoi di nuovo. all’ingiuria
la benevola rassegnazione.
così si può sopportare
a gonfie vele, vivere.
e se stessi, morire.

pensierino morboso

nota a margine: barlumi baluginanti
fra migranti e astanti, siam stati
bastando, non ingombranti
nostalgia d’esser passati
decisivi non più, sfilacciati
bearsi d’ineffabili presenti
rassegnati, così siam assai
inefficienti, parenti ripetenti
dei già apparsi immortalati
assenti.

delicato tornito

mi ricami un sorriso di carta da forno
e mi chiedi se mi ritrovo nel delicato piegarsi di labbra
tenere, ma io ti ascolto -non ti guardo
perché oramai, cosa sola, non posso rivedermi
se non allo specchio del nostro io.

questa poesia senza titolo

notte. solamente da solo e
la musica di dimitri shostakovich
tra il pensiero ed il cielo stellato
fra il toast ed il prosciutto cotto
(tenero filante spuntino di mezzanotte).
sarebbe tutto più difficile senza le sue note grottesche
la sua schizofrenia eccitante. così studio, memorizzo
ogni nota ed anche il silenzio nero tra
e l’acida ironia del brutale delirio.
la magia ripropone se stessa così come la bellezza
si rende evidente, tangibile
all’incapace, al politicante.
anche all’agnostico infreddolito,
al dittatore, al capitano d’industria
all’operaio stretto nella catena di montaggio.
ed anche ciò che è spuntato e malato
inumano contro natura, è reso vivo
vibrante di luce.

baciare la rima

il portento
stando sotto vento
cadere lento.
perché
tempo al tempo
attendere
non lascia scampo.

parentesi nella nebbia

armonia sincera
non ossidata ancora,
miele di cuor giovane.
la sera già nel mattino
presagio di quiete, adagio
cantabile -desiderio
malleabile, serenità
desiderabile. nello slancio
praticabile.

apparendo scomponendo

vedi, ecco… non sono quel che appaio
(quel senso di benessere cucinando
facendo la lavatrice e via discorrendo
appago); dentro di me c’è qualcos’altro
vieni qui, te lo spiego a parole sulla carta
la carta è finita? che sia benedetta:
la fine ha in serbo ancora delle sorprese.

esserino affamato

caro riccio notturno nell’ore piccole
giunge il brusio asciutto del piatto sgombro
di lumache ed affini molli, ancora vuoto.
s’io credo ad un ladro maldestro
nella notte nera sprofondo,
rammento allora che sei tu esserino
affamato e puntuto, il pasto brami
al secco. sorrido – ti trovo incarognito
digiuno, maldestro, stremato dentro
un secchio, arrotolato. riccio
ti sei proprio cacciato
in un bell’impiccio.

tutta la carica del mondo

tutta la carica del mondo
addosso cade
come fredda acqua piovana
furente tagliente tramontana.
scivolato sulla bella carta muta
l’inchiostro nero
schiude nell’impressione
come quel liquido, intemperie
calda. è verso sincero.