fantascienza

la poesia è scienza
incoerente e vana
nelle stazioni frana
tra i poveri sulle grate
vaporose in attesa di buona lena
nel medio oriente di dio
odio e guerre, nei luoghi
di lavoro dove si prevarica
si vessa si dimentica si stressa
quanto diritti sono i lavoratori.
si venne al mondo ci venne detto
una volta sola
per sentirsi
maledettamente
e soli.

(prima del contagio finale)

la cinesina piccolina
s’ha di fritto misto la bambina
m’ha stretto la mano
e con sguardo accondiscendente
m’ha steso sul letto supino
dolcemente come un bambino.
delicatamente avvolgente
ad armeggiare con le carni
penombra di dolcezza
seguendo bombature e incavi
setacciando pieghe ed insenature
canto d’opera orientale
penombra d`ombre fatate
(fasciate oggi di mascherine bianche
quarantena d`anime candide
terrore di globalizzazione)
poveri frollati in olio
per pochi euro del relax olientale
e la capacità non implobabile
di farti toccale il basso cielo
con due mani, 4 gemiti, 4 ginocchi.
per maschietti e pure per femminucce
relax orientale alla portata di tutti.

la vita pare

la vita pare a volte
un mormorio d’insetti
ubriachi -mi spiavi
tra i segmenti della veneziana
l’amore tuo si pavoneggiava
ed io intrepido t’auscultavo
senza saperne il perché, né modo.
procede con latenza ed induzione
il tiepido respiro del mondo
-mi dicevi: “non parlare
ascolta, vieni qui.
non guardarmi, con la pelle
sentimi vicina
ma non toccarmi”-
sembrava venissi
con un rimpianto
ed il guanto mi porgessi
non per scontro o duello
per effetti di quel bello.
e si prona al ghiacciato
d’atti umanistici, a volte cascata
di sole. l’emancipazione
è il dardo insanguinato
ingordo e a tentoni.

chance

la nonchalance del tempo
a non lasciarla una chance
l’odore al mattino del caffè
solitaria macchinetta
che borbotta come un polmone
intasato di nicotina
i primi sguardi
impediti dal sonno
un bacio a stampo
sulla bocca
labbra secche
fiato importante
poca salivazione:
a nulla servirà
tentare la salvazione.
alta l’astensione.

scrivente

lo scrivere è la ragione d’essere
qui ed altrove: nel silenzio
della lenta guarigione
nel giubilo del dolore asintomatico.
ogni giorno è una scalfitura di nulla
un’approssimarsi del gelo.
eppure vivi occhi esprimono
la lacca che conserva
e i monti non sono poi
così distanti, né il cielo
un acquerello di seconda mano.
si fa il piccolo fuoco
la piccola eredità e infine
il lascito. cosa rimane
non saprei dire:
posso però avvicendarmi
limando e limando
credere nell’attenuazione
dello scadimento inevitabile.
né fuoco e gelo o imperizia
possono distruggere la parola
solo forse occultarla.
per un secondo.

pancia vuota

la pancia è vuota
l`ideologia è vuota
diritti sviliti
una vita
del passato già dimenticato
i giovani son nuovi alla lotta
imbambolati dai genitori
che non guidan più trattori
trasformati
in ridondanti consumatori
depressi rabdomanti
compressi teatranti
annoiati sinistri
padroni di niente.
si crogiolano nella chimica
polvere pastiglie fumo
nell’alcool nei sogni
di una improbabile ricchezza
-dormienti
senza coda né capo.
e ci sono pure quelli bravi
che fanno lavori da schiavi.
guardo in giro
e non vedo più amici
neppure facce che comprendono
il quartiere è stremato
sembra un arbusto sradicato.
sono stato giovane anch’io
c’erano tante botteghe
sotto i portici puliti
odore di manzo parmigiano
ci si salutava in dialetto
e non l’avrei mai detto
che così poco costasse
alfine la carne all’etto.

terra nostra

non avevo alberi o fiori
quando guardavo fuori
m’inoltravo nelle case altrui
perché vicine e non protette.
curiosavo tra tendine divani
e cucine fumanti
come fossi un intruso.
né petali né vivi colori
per un giovane uomo.
c’era tanto cemento intonaco
e bitume. mia madre
era fuggita dalla campagna
trent’anni prima: freddo
e una rara fetta di mortadella.
e non vedevo mare
ma sole onde di cose e sguardi.
non si ritorna più alla terra
se non per finire.

frazionamento

quale è la mano
che lanciò il coriandolo
chi gesticolò coi dadi
che fecero statistica
forgiando il bandolo?
chi disegnò l’umano
costante incedere?
fu tutt’oro venato
d’impurità zecchine?
o il tentativo d’azzardo
che secolarizza sudore
umore sentore?
è la stessa storia
per ognuno
quella che fa storia
a sé.

gli ultimi minuti

ho passato gli ultimi minuti
a pensarti. ieri t’ho guardata
tutto il giorno senza parlarti.
ché l’incomprensione e l’amore
non si esauriscono in uno sguardo
e non si spiegano con le parole
come il volo delle rondini
o l’edera in inverno che non muore.
così ho sfogliato il vocabolario
pagina dopo pagina e parola
dopo parola ma non sapevo
più che cercare quando
ho captato il tuo profumo
invadermi cavità e spirito
quando hai steso le tue labbra
sulle mie -stavo per dire qualcosa
ma è sfumato. qualcosa di frivolo.

il dirsi

dovevamo dirci addio
non contemplare un infinito
che ha certi confini
come inserti nel muro
piantati senza viti.
è finito infatti quel miele
e ci pucciamo ancora
dita e nervi, che non è
più piacere, né piacersi.
è finito quel che non potè
incominciare a cominciare
da quel tuo gusto perverso
di farmi diverso
io che non sono
par excellence
o meglio non sono
quel che sembro.
concludendo dunque
ad maiora semper.

non ti nomino

non ti nomino per esenzione
un poco di rammarico
un tantino di vergogna
quanto basta per non arrossire
non sbavare il colore sui kleenex.
pensare che mi son messo alla gogna
solo e chi altro. subito mi sei piaciuta
e non ci volli credere -ti scotti
nella vita anche più d`una
nello stesso lato, piacevole
dolore, plusvalore della ripetizione
masochismo poco illuminato.
è la voglia di condividersi che rende il tutto
obbligato. e non assolutorio
in seguito, quando le ripetute burrasche
via hanno portato le conchiglie
alghe, ammennicoli, inerti
ed i profumi sulle lenzuola tiepide.

Un’idea d`inchiostro

Verrà il tempo
in cui un silenzio d’oro
vale più di mille parole
e le parole saranno manto di neve
e apocalisse discreta.
Nel frattempo
non chiedere loro
oltre al suono
anche terribili contenuti
terremoti e cicloni
ciclopi e orchi.
Non chiedete alle povere cose
di costringervi al calco
né all’apparizione subitanea
alla fusione fredda.
Costringete quel silenzio
nello spazio di una virgola
nel sussulto arterioso.
La specie chiama
risponderete alla vibrazione
della zanzara tigre
al volo arzigogolato del coleottero
al tremore della talpa
nel sottosuolo
alla leggiadria della farfalla
sui corpi metallici
fredde secrezioni mentali.
La virulenza della vita
in un’idea d’inchiostro.

dettagli

i dettagli sono importanti
il viso delle persone idem
i vestiti, i grazie i prego
e la tensione d’ogni superficie
la pace dell’acqua dovunque
essa sia contenuta, ialina
ma sensibile alla temperatura
trasparente ma mutevole
come una donna. tutti dettagli
infinitesime parti per milione
ma i dettagli non sono
insignificanti, cantano
e provocano orgasmi salutari
e l’impaginazione dei giorni
da quelli scarni a quelli scaltri
da quelli immemori
a quelli memorabili:
l’infinita procreazione
dei dettagli sala l’esistente
e sfilano tutti assieme
dal primo all’ultimo
poco prima del silenzio
o della morte.

te la fai una risata?! -raccolta piccola, per deboli di stomaco

(la giornata uggiosa e malinconica esige fauci spalancate e sonore risa di popolino. il popolino infatti odia l’alterigia e schernisce i seriosi padroni della parola. la parola è viva, la parola è ancora amata! -alla faccia vostra-… con una virata finale nel grottesco, che cullerà le notti insonni.
buona lettura ai poveri e agli umili. che gli altri cuociano lenti, come la rana bollita, nel loro brodo primordiale di menzogna).

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Trilogia per una rapida erezione (tre neglette per i tempi di crisi fatte per turbare solo gli imbecilli)

.

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*

il risultato dell’amore nostro
è in forno a centottanta gradi.
grasso e burro danzano osmotici
sfrigolando, come un’arma
a doppio taglio. colesterolo
inferocito e dilatato. grasso.
un istinto basso per il culinario
ma un magnifico paesaggio.
abbiamo biosogno di un ritorno
all`umano, fatto in casa, in orario.
abbiamo necessità di terra e acqua
e d’aria pulita. spazio per odore
e sapore. assieme dolce è la salita.

paracadutismo

del doman
non v’è certezza
per questo
ho una gran strizza
il mio cor
fa le bizze
vede tutto
a stelle e strisce:
è una malattia
imperiale
giusto per un memoriale.

*

tutti ad aspettarsi un natale sereno
ma nessuno che s’occupi delle luminarie finte
e tragiche commedie del mondo fatale e fatato
t’incontrerò piena di pacchi e pacchetti vuoti
con bei nastri d’argento inossidabile ed insondabile.
i giorni belli finiranno nelle canzoncine tenere e nelle braci
che scaldano troppo un cuore rinsecchito acuto solo nelle otto ore
capitano alla maggioranza per volere delle imposte convenzioni.
non si sfugge alla pianificazione sociale, come il germoglio nella serra
e l’ascensore è sempre in avaria come nelle periferie spoglie
e cementate per noia ed incolore insapore amore per l’uomo inconsolabile
frutto di malinteso frutto disteso, caduto nella rete della forza di gravità carità.

apologia del cazzo

il cazzo vien bello duro
quando c’è l’istinto primordiale
che rende animale, ancestrale
quando c’è l’insana ossessione
che non ti libera dal male.
il cazzo si gonfia come un otre
è il cervello sempre bramato
e pulsa come un cuore in seconda:
ehi, son qua, son l’anatomia dilatata
che capitale si fa, la cartina tornasole
stella polare, cardiaca pulsione, inseminazione!
ah, che prurito tra le gambe, quale appetito
l’umano interiore pilone irrigidito.

circoli e ricircoli

gli uomini pesanti
vanno di palo in frasca
senza dei sogni nella tasca
senza l’originale esca
arginati i pensieri
distesi come cemento
su una gabbia di metallo.
gli uomini pensatori
il loro fuoco
estinto da estintori
combusto dagli allori
del passato slabbrato
e macerato. che nausea
malcelata i circoli
che si mordono la coda
si pubblicano
si ricambiano
si celebrano
s’amano
in amicizia, certo
non sarà peccato
ma un rimpasto
sa di castrato.
mio editore il bit
roteato nel server
accaldato in un angolo
del mondo sconosciuto
appartato. radicale
emancipato.

diviene alba

la senti la voce tenue del suolo
quel sibilo o vibrazione che intona
l’armonia che dal basso s’inerpica
alle altezze inusitate -sfida la luce
il suono e osmotica trascende?
lo senti il calpestio della formica
lo strisciare del verme e il fuoco
del vulcano che si fa radice
moto del cosmo? l’acqua
che filtra e corrode la roccia?
la brezza lenta che immelma
strascica nell’alone impalpabile
l’immoto sguardo dell’uomo
è un’inezia placcata
d’imperizia. eppure l’alito
è lo stesso e la natura s’alluma.
io tutto sento: diviene alba
la luce del sole che sparge vita
gocce di rugiada ai lati della strada.

tensione superficiale

ho la malcelata ambizione
di non far rumore
scomparendo
nell’apposito contenitore.
ambizione nell’inazione
senza corrompere
la gioia di un silenzio
o riempirmi di tronfia arroganza.
lascio al lettore
ogni verità e pubblicità.
sono grande abbastanza
per stare solo
in una stanza
col concerto per armonica di Villa-Lobos
che frana su di me.

*

i cervelli all’inferno
i cuori in paradiso
quando si troverà
distinzione fra i due
in verità cosa sola

mani e piedi
invischiati nel magma
e punte di diamante
nell’etere del perdono
assoluto e vibrante.

sapiens distopico
sapiens non eroico
carico di merda
irrazionale e morte.

*

qui oggi nessuno e fuori nebbia
strano far parte della società
ma così in superficie, di fretta.
sol col nome sulla buchetta.

epilessia giovanile

il frastuono epilettico dei bimbi
l’estrema vitalità dell’improvvisato
perché non è tutto avvistato, celere
nemmeno troppo combinato, statico
austero. è l’impossibilità di non crescere
a mietere le prime vittime.
quando poi vien la sera e stanchi prostrati
pensiamo a quei versi già lontani
tentiamo nella famiglia
una remissione dei peccati
con tutte le note, le postille ai lati:
vengon i nostri dubbi, errori, timori
si chiama vita anche a posteriori
vita chiama vita anche nei giorni minori.

carne di cane

tutto questa fatica
per non sembrare animali
e campare
con un magro sussidio.
fai il bravo
non c’è nessuna rivoluzione
stai buono sul divano.
eppoi è un freddo cane
fuori solo spacciatori
e carne di cane.

sapidità di classe

ho corretto le parole
col silenzio
sono stato in fabbrica
per capire la mancanza
di musica e le orecchie stanche
hanno chiesto pietà.
allora capirai
cosa significano otto ore al giorno
tutti i giorni
che dio mette in terra
per drenare una qualsiasi fede
disse mio padre-
miope e con le mani
tagliate dal freddo.
ci si dimentica dei fiori
e della luce del sole
in cambio del pane
e di un contorno
che sa di poco.

tentacoli

le patate frullano sobbollendo
sulla cucina un poco sporca
fradicia di condensa e schizzi
(ho cucinato pensando a te
sino ad un attimo fa
mi sono persino bruciato
i peli del braccio destro
sui fornelli roventi
una prova per stomaci forti
una prova per uomini duri).
il buio ha raccolto
tutte le sue forze
e s’è steso sul povero quartiere:
le luci dei pochi negozi
ancora aperti tentano
d’infrangere il muro del pianto.
dicono che i ruoli sono mutati
che l’uomo può piangere
lacrime di coccodrillo
non è più scandaloso
non è più un tabù. l’uomo
è un poco effeminato.
la donna s’è virilizzata
forte e senza pietà
ha strappato la gonna
caricati i pantaloni
diseredato il passato. dicono.
dicono che la donna
può lavorare sino a svenirne
tornando alle nove dieci di sera
con la sigaretta in bocca
e la faccia un po’ triste
mentre altri dormono sul divano
e non la sentono arrivare.
la famiglia è un concetto variabile
e seno delle peggiori sconcezze
e violenze. dicono tutto questo
ossessivamente. lo ripetono
con forza all’unisono.
come braccati dai lupi
ci si rivolge ad una luna cieca.
dicono che un uomo e una donna
non possono più stare insieme
dopo una scopata. meglio soli
a casa facendo shopping on line.
nel frattempo qualcuno
da qualche parte
è comunque felice
o in una sua accettabile approssimazione:
ogni quindici minuti
guarda fuori dalla finestra
aspetta una chiave lenta
girare nella toppa
alcuni rumori semplici
riempiono una giornata
di sole.

sovraincisi

maturiamo nelle dovuta asperità
nel sogno di bambino cristallizzato
nei giochi fatui di un mostrarsi discreto.
continuiamo col passo della gazzella
con gli occhi dolci e le gambe lunghe
i sogni fradici imbalsamati e il tenue riflesso.
c’accontentiamo del mostrarsi carnivori
ed invece siamo onnivori compiacenti
e lussuriosi sino alla furbizia dei canti sovraincisi
per una casetta di marzapane. le fiabe
cantano dei migliori. ed io ho l’ugola spezzettata
in tanti rivoli d’oceano o nei peggiori torrenti
comunque rivoli d’insperata vitalità.

porta via

sei latenza già
nel corso del tempo
una carezza inezia
un fulmine a sereno
un’istantanea non promessa
incauta coerenza
già sfitta già fronzola
nel tronco della corale
esistenza. ed impotenza
nella scienza del popolare
come non speciale
inopportuna rettile resilienza
interferenza
nell’energia che si porta via
inesausta inesatta la vita vinta
svitata avvinta.
latenza già
un impulso
polvere sottile
cane da guardia del particolare
minimo ritardo
un’inadempienza
un picco picco
valore massimo minimo
lenza del prossimo incedere.
minuto secondo parte per milione
nanotecnologico
bit resistente
in un flusso deflusso concusso
farai i conti con forze sconosciute
t’imbriglieranno per non brillare.

*

terrore del silenzio
c’è sempre musica
nello spazio aereo
mi parla Albinoni
con la lingua antica
Mozart ride
Mahler si lamenta
Shostakovich latra
e mi deprime
Puccini m’incanta
e vibra la pelle
ma il silenzio no
pure le foglie morte
paion vive nel rumore
attaccate ancora
al ramo di linfa.
l’assenza di suono
pare un tuono inspiegabile
una tumulazione
un moto di nulla
che capovolge niente.
pensi e ripensi
a dov’è l’errore
quando si compie.
la musica voglio
non saprei che farmene
di una pausa con corona
voglio l’aria vibrante
significante
il sapore dell’ancia
saliva che goccia.
sarebbe come morire
senza il rumore del mare
o il canto del vento-
è l’eremitaggio della terra
che scava le note
e le sprofonda.

miraggio come all’arrembaggio

ridicoli i pericoli
della vita non spesa
è questa marea tesa
il metallo intagliato
dalla fresa
una magnifica intesa
ciò che vuole
il lavorio nostro
sulla terra. la terra
non è nostra
è solo un passaggio
o un solo miraggio
ostaggio della fantasia.

*

il sole alto imprendibile
i raggi caldi, fresca brezza.
mi dimentico di me
delle parole: è il silenzio
traspira dovunque.
ed io sono chiunque
che osserva e passa.
mi salverà la memoria
alla fine della storia.
oppure no, non importa
ché sono senza scorta.

*

cucini addosso
con amorevole cura
un ruolo consono
fallo largo morbido
con i contorni sbiaditi
accarezzami il ventre
mi lancerò tra i leoni
gli squali i ragni viscidi
le corna e gli zoccoli
farò la mia parte
la mia parte è tutto
svegliarsi al mattino
intrecciare i lacci
strigere fra le dita
la tazzina del caffè.

la coltre di stelle

la coltre di stelle
del cielo scuro notturno
si ribalta -mostra
la sua assenza.
mancanza non di mezzi
ma d’interi: gli uomini
non sanno contare
nemmeno un canto alla luna.
è così terracquea
la postura della bipede
creatura senza satellite.
e i serpenti del giudizio finale
in scacco tengono
popoli e idee
come maggioritaria utopia.
lapidaria scienza
ma imperfetta.

ti piace?

la crisi in dieci anni
ha fatto dei gran danni
malanni all’operaio
perduto il salario
malanni al padrone
svuotato il capannone
delocalizzato nel meridione
del mondo globalizzato
tanto tanto amato
tanto tanto celebrato
oh, che bella l’economia
non paga mai dazio
gli speculatori son sempre
i nostri uomini migliori
i competenti gli indecenti
mentre giochiamo ai diritti
derelitti d`uomini minori.

arriva il treno

ho intenzione
di scalare la montagna
arrivato sul cucuzzolo
buttare giù le chiavi
per il paradiso
che può attendere.
ho i calzini bucati
e la tempra del guerriero.
a tratti, come interpunzione
ma delicata e fragile
come argilla. attacco
le stelle al cielo
tutto in valigia
come partendo in stazione
niente fazzoletti
né fumo di caldaia
né propaganda
arriva il treno.

la rana bollita

staccheranno i bambini dalle madri
le madri dalla maternità
il sesso sarà un gioco del dottore
ad oltranza: consumo di godi e caccia.
tutto indistinto come una tradizione estinta
la famiglia sarà cancellata dal mondo
innaturale grimaldello patriarcale.
la società sfrondata da obblighi e verità
la società una struttura da tenere insieme
in una costante tensione e va usato
il pugno in guanto di velluto.
non serve la guerra o la coercizione:
si collabori sin da piccoli con gli insegnamenti
intelligenti ed i libri purgati e digeriti
tutti uguali come nei regimi sempre avversati
dai nuovi invisibili padroni
vogliono il nostro bene
vogliono noi.
noi dormiremo senza creare problemi
placheremo volontariamente
il nostro bisogno di libertà
perché privati della volontà.

terrestre

i peccati sono come i gelati:
uno tira l’altro. ero col prete
in seduta spiritica: mi diceva
che dovevo recitare l’infinito.
ma non la finiva di praticarsi
nell’indifferenza del senso di colpa.
la pasta scuoce dopo dieci minuti
io li ho contati uno sì e uno no.
la pancia vuota non porta consiglio
e nemmeno un fiocco vermiglio.
l’amore può essere una coccola
a tratti. la mia anima a gocce
cade dal parapetto ed il capezzolo
si inturgidisce. troppe rime nuocciono
alla salute ed al componimento.
alza la musica: non sentirò
il rumore prepotente della terra.

termine della notte

nelle sere d’albume e cariche pare di citronella
ricordi di un’estate scampata al ricordo e all’usura
penso, rasserenato dal barlume intimo e indifeso
della televisione, ripenso ed assento a me stesso
come un allievo col suo maestro e tendo: pochi merli
indaffarati alla vita, stempiati dal freddo e comunque vitali
io corro con loro verso la tarda sera e m’annebbio
come un solitario spoglio platano al lato della strada
dopo l’ora di punta, colosso e armamento del mondo
corteccia vaia, scrostata. il mio costrutto solitario
alle otto di sera, quando stanco e non protetto
tutto è sotteso al silenzio, al particolare, all’inezia
ronzio che spana e grippa al termine della notte.

voracemente aggrappati

divoriamo più risorse del preventivato
ingloberemo nel nero vuoto
anche il nostro privato
la nostra esistenza in forse
con le nostre visioni corte
poca fantasia molta famelicità
terminiamo il viaggio
senza un cenno di felicità
amara tonnara di verità.

abbraccio

ho preso le tue mani tra le mie
e m’è sembrato di sentire la neve
cadere sul tetto. stasera
è freddo abbastanza penso
anche per tenerti stretta
in un solo abbraccio.

destinazione

la benedizione del tuo sorriso
il mio incedere a rovescio
per lo screzio. porterò con me
testimanianza del vagare mio
cura il tempo le maldicenze
anche le perversioni screma
quelle più insidiose, dell’eterno
che cancella furia e paura.
i passi sono falsi, capita
ma il tempo ne farà piazza pulita
come una stanza spolverata
al nuovo proprietario senza diario.

schiene dritte

le schiene dritte
si perdono
in un sorriso lieve
che svanisce
come zucchero velo
tra corridoi
di professione
otto ore di stipendio
e nessuno che guardi gli occhi tuoi
per comprensione
più sensuale apparire
come l’andare ed il venire
d’un ernia ombelicale
che ricorda
che sei nato
un tempo
in un luogo:
pare più interessante
il fu
perchè non è più.

patate dolci

il merlo al tramonto
fa la guerra al gatto.
il gatto è salito sull’auto
ed ha lasciato impronte
di terra come messaggi
su una busta. il postino
è in pensione. il mittente
non chiaro. il felino
ora è fermo -testa immobile
guarda qualcosa e sente tutto.
io ho freddo e sono pigro.
il cielo è rosa come una soap.
i vicini sono tutti a casa.
la cucina è tiepida:
stasera arrosto di vitello
e patate dolci.

capezzoli

che cos’è la nuova poesia
è una poesia mai sentita
che deve far piazza pulita
di gozzano saba montale
ungaretti quasimodo sereni
e dell’intimismo più retrivo
del particolareggiato caseggiato
pianta toponomastica del mondo-
fai fatica coll’intimismo
a dirmi quant’è bello
l’infinito. chiedo a tutti
i poeti e non poeti di scolpire
distici non folkloristici.
anzi vi chiedo di non scrivere
più. remare nel silenzio
così stop al sentimento
e a tutte le immagini retrò.
il sole è alto quanto basta.
i fiori sono estinti di mare.
il grasso cola e le crepe
invadono la mente. ne hai una
proprio adesso tra un orecchio
e l’altro. parla di quel mare.
quando andasti a nuotare.
gli ombrelloni di luce
morivano lontani
come capezzoli nel freddo.
io so quel che faccio.

interruptus

il mio coito è interruptus
sono grandi labbra lontane
mando giù le ultime ore
del giorno e canto solitario
una nota distopica. è malandata
la pompa del sangue. segue
il sangue caramellato.
è dolce come un gelato.
tutte le storie illuminate
hanno un lieto fine.
mi vedo gelataio. un poco
di questo, un poco di quello.
stasera brodino e a letto.
presto presto.

sudando godendo

sudare per altri
non è mai stata
una gioia, nemmeno
educazione alla disciplina
della professione:

il tempo
liberato dalla felicità
è accozzaglia
di perturbazioni

senza precipitazioni
innegabile conio e sempronio
del guadagnarsi il pane.

la parola

nell’intaglio della parola
c’è un bagaglio a mano
c’è tutta l’aria che vola
la centrifuga che arrotola
la mano che intrepida
segue quella nuvola
si srotola nell’incedere
più o meno a vanvera
come tagliarla
l’oblunga zazzera
nell’aria della parola
che si dà
come una prima donna
seconda e terza
alfa e omega la parola
quanta aria vuota
ci sforziamo
di far uscire
senza davvero intervenire.

stellato

io i libri li comprerei tutti
anche quelli che non voglio
leggere, che odio, che macero
nel calderone degli ostaggi.
tenerli vicino alle pelle
è una benedizione di bene.
e l’odore compassionevole
della cellulosa ci rende senzienti
ed umani quanto basta
per non degradarci nel fiele
come quando si guardano
le persone camminare
dalla finestra -formiche
che seguono un ordine superiore
ma non si vuole partecipare
facendo maschere obliterate
lasciando pizzini d’indifferenza.
e non è la ricetta di un cuoco
stellato, nemmeno uno stacco
di melensa cecità: è calda coperta
che fa la pelle d’oca sul dorso.
uno schizzo d’impulso elettrico
che fa i pollici opponibili
anche negli urli sfranti di guerra.

pallone aerostatico

sacre parole
d’alcune ho terrore
quando devi aprir il cuore
non c’è onore.
è la vita non si compiace
ma si compie loquace.
è il salir del sole
a dar le ore
non i corpi che si librano
a propri suoni, pietre.
a chi mi dice invece
apriti e trascendi
io rispondo scendi finalmente
scivola dal cielo
torna a terra
sei stato pallone aerostatico
ora compi tutti gli errori
di cui siamo splendidamente
ingenuamente adornati.

mister like

a caccia di like
i solitari nelle camere
della città nella notte
che oscura e depotenzia
belle vetrine poca scienza
o troppa come dir si voglia
che la lingua c`invoglia.
guardano i modelli
sulle pagine e nei canali
osservano quei corpi
modellati dalla fatica
di non faticare
e dai chirurghi
e si sentono merde
sbellicati residuati
iniziano a rosicare
a mordersi le labbra
a sentirsi perduti
spompati demineralizzati
e stanchi a venti
o quaranta. appena
allattati son avviluppati
da strani peccati.
la mattina
si svegliano
e non sanno che farsene
di un caffè freddo.

sabato pomeriggio

rimbalzano uomini e donne
come boli di caucciù
fra portici e sciocchi negozi
la scena è nel sabato della piena
pomeriggio di massa ad oltranza:
pecore che migrano belanti
tra desiderio
ed un oggetto non serio
tra raggiungimento del pieno
ed il riavvolgimento del lazzo
che tien lo schiavo
non troppo gioioso ed esausto
neppure troppo abbacchiato
cronico insoddisfatto:
bramano e la chiamano
libertà di mercato.

la colla

non ci sono uomini grandi
ci sono grandi idee e nani.
la malattia del mondo
è la sovraesposizione
non la saggezza: eppoi
a questa ci si arriva errando
e sbagliando. tanti errori
in buona fede, sbecciature
fessurazioni, crepe.
e tanta colla per non rimetterci
le unghie delle dita.

ricordare

plumbeo cielo senz’astri
lo smog è respiro
l’auto sempre in tiro
i colori delle carrozzerie
in una giornata non romantica
ma priva di fatica
né fisica né mentale
per quel che vale
per quel che ottiene
il popolo spopolato
messo a lato
asfaltato.

*

schiumano ai bordi
le interferenze
tu mi chiedi
d’esser tuo porto
un’ancora al cuore
che di questi tempi
ondeggia come una vela
fra frivole onde
d’assottigliata carne.
mi domandi tante
di quelle cose.
ci fossero abbastanza
parole. ci fossero
abbastanza rose.
non me ne volere.
io m’addoloro
d’ogni sguardo
che tra noi
non ha un incontro.
un abbandono.
e ci troviamo ancora
tra noi -ancora è tanto
da vedere. da tenere.

dimenticarsi

sperimentiamo tutti i giorni
una mancanza e senza aver firmato
l’apposito modulo al consenso.
tanto rumore per strada
schiamazzi e strambi versi
per non venirne a capo
nell’intimità, come dispersi.
agevola molto dimenticarsi
starsene sotto tanti strati
camminare sul marciapiedi
distrarsi.

aria secca, cielo terso

e l’aria è secca e fredda
sembrava ira, invece fu
ed il cielo è terso, vuoto
come l’universo
il sole è forte
ci son le idee mie
contorte, ma il sole
è potente, rasserena
impressiona, disseta:
viene nel silenzio della sera
un senso persino innaturale
qualche cosa che mi faccia
rinsavendo e volendo, normale
come necessita il reale.

ti tengono per i coglioni

ci sono bagliori la sera
fari intrecciati
nei filtri antiparticolato
sirene folli che stracciano
i rossi e cantilene arabe
dagli scantinati.
quei quartieri io
non li riconosco
e non vedo alcun fascino.
è aumentata l’angoscia
in questa pressione dall’alto
mani e piedi schiacciati
tra curry e ragù
un ragù bastardo
dove prevale il rosso
fucilato dallo sforzo
dall’imbarbarimento.
ti tengono per i coglioni
e tu stai lì immobile
ammutolito
ad ascoltare musica merdosa.

stralunato

ti riconosco tra mille
lungo via Indipendenza
sabato pomeriggio
sole pieno e giornata lucida.
ci sono i cani e i palloncini
colorati. ma io non li vedo
faccio finta d’essere distinto-
alcuni mi guardano il viso
come fossi un divo.
hanno sbagliato persona
non sono una persona che conta
ma che spesso è contato.
e pensare che io vorrei
solo sparire eppoi
raggiungerti
prenderti la mano
cingerti con l’altra.