la coppia si copia

in silenzio sto
per ascoltarti
e non dici nulla
farfugli
che è meglio o no
sembrare. e
poi dici, non dici:
non è semplice
comprendersi
anche quando ci si dice
t’amo: lontani
come il pesce
e l’amo o troppo
vicini come l’esca
e il danno.

azioni errori

il rumore digitale
una perturbazione pare
astrale, senza stelle, nelle
rientranze minime
della radiografata materia.
se ascoltato nella musica
riprodotta dal compact disc
è un glitch: è il non prevedibile
errore del campione.
ora io so per certo
che abbiamo una sola
infinita interruzione
ed avviene con la tumulazione
mentre è di tutti i giorni
un vischioso liquido
d’azioni: perciò
mi sento di poter dire
con adorabile precisione
che nati per non essere incisi
riprodotti senza buchi neri
ma fluidi negli inciampi
dei nostri drammi e malanni.

versi oggi, domani?

a caso vien voglia
di fare i difficili
facendo versi
come i poeti san
gran ammennicoli
disfarsi dei miti
pone dei limiti
prendersi quei lemmi
del Petrarca, Michelagnolo
che del sonetto
han reso stretto stretto
concentrato ed affilato
strumento.
ma il complicarsi
c’ha reso élite
d’astratti bizzarri e sai
che oggi s’ama
sole cuore amore
ed il per sempre
non ci lasceremo mai
mi ci sono perso
negli occhi tuoi
moglie e buoi
dei paesi tuoi.
nel corso del tutto
buttati e riciclati
fabbricanti ingrati
di pensieri delicati.

respira, di’ trentatré

scrivo quando son felice
ma anche quando son triste
scrivo, di cose differenti
viene il movimento al momento:
l’adrenalina sprizza, l’ormone
dell’ispirata sperata alluvione. e non esco
all’aria aperta quando son felice
a gridarlo ai quattro venti
a due, tre fetenti impotenti:
scrivo di più eppoi stando al chiuso
immalinconirmi voglio, erba
dal vento sferzata e placcata.
come la tigre son finito allo zoo
nella gabbia senza rabbia
con la scabbia del lavoro
senza pensione, col dolor dell’illusione
col sorriso, che bacia il mio viso diviso.

ci devi scrivere dell’amore, baby

l’amore è una carta straccia
un tirare di braccia
una litigata al chiaro di luna
una baggianata, una cretinata
come è banale
come è ingenuo:
mi sono innamorato di un’idea
che conosco io solo
quando resto con lei
sono solo
e lei, presumo
lo stesso.
ci rende migliori?
ci completa
anche se non siamo
mai finiti:
siamo definiti
e non sappiamo come terminare
soli. l’amore
è calibrato al millesimo di millimetro
per renderci ipovedenti
ereditari sconcertanti.
l’amore è un sole
che nella canicola
può bruciarci.
l’amore l’amore
è questo calore
abbiate pietà
per gli innamorati
sono stracci da lavanderia.
l’amore è un canto di Ella
m’è sempre piaciuto
cantare sotto la doccia.
fanatico del canto.

non credo proprio

io non sono bravo
non ho nulla da insegnare
sul piedistallo
non mi sento a mio agio.
difficilmente
mi sento a mio agio:
in silenzio
con una sinfonia di Shostakovich
una birra ghiacciata
in una mano
calma, serenità
nell’altra
sempre a distanza di sicurezza.
l’equilibrismo
del mondo conosciuto
la comprensione schiva
di quello sconosciuto.
il mare non mi interessa
le auto, lo sport.
la bellezza
mi fa sentire
qualcosa di più.
credo nella fantastica
eccitazione dello
stile
della fantasia al potere.
non credo in una missione.
credo nell’abitudine
nella forza dell`acqua
sulla pietra.
sento
che abbiamo l’obbligo
di non essere
troppo tristi
dispersi
e sconosciuti.

casa di riposo

i vecchi stan tutti assieme
a distanza di sicurezza
l’infermiere di colore ci tiene.
ognuno ha una cosa da non fare
giusto giusto: pensare, ricordare
dimenticare, immalinconirsi. i vecchi
leggono degli stupidi giornali di gossip
farsi gli affari degli altri
permette di dimenticarsi le proprie
di sventure. giocano a rubamazzo, scopa
briscola, tresette. una vecchia
chiama la mamma ogni minuto una volta.
la mamma non verrà: già da tempo
è polvere. i vecchi l’han dimenticata
la gioventù e purtroppo
anche per i loro cari,
costretti nel luogo della lunga morte
han dimenticato la vita.
la vita non è sempre bella.
la vecchiaia ha questo da insegnarci.

quanto odio

oggi non son vivo
sono piuma.
la brezza mi porterà lontano
soltanto se vorrò
questa carezza non pagata
che ci dichiara pensanti.
e forse amati. con le pattine
le presine: un tegame caldo
ha in sè i suoi danni,
un pavimento in parquè
la sua maledizione splendida.

giovinezza giovinezza

il suo sguardo piccolo
è gioco. il suo ciuccio
grazia. i suoi ricci
capricci, non vizi.
così si va avanti
si cresce con lentezza
grazia, una dose
d’ingratitudine.
quanto basta
per sentirsi maggiori
e maggiorati
indipendenti e
ancora comandati:
restano i genitali
cambiano i genitori
ci son gli stati
altri padroni.

libretto rosso

a volte voglio esser
poeta di govoni, ciliegi
foglie d’erba, musicale
ingegno, eterno dialogare:
l’infinito, il mare.
altre, se capita, sporco,
cattivo, arrabbiato
grafico frammentario
poco incipriato, meno ancor
legato: sincopi, dirupi
scivoli, pochi ammennicoli.
dualità eterna
nel tutti esser nessuno.

serenità

nell’oscurità quanta luce s’infrange
come sudore segni rilascia
sulla leggera pelle, fina. quando termina
l’immane sforzo per la tranquillità?
dove conquisto la serenità
a chi in eredità lasciarla? questioni
si sommano in nebbia
non basterà la sicurezza della distanza
per salvarti dall’impatto violento.

Elektra

invasata donna, forsennata che danza
la morte. folle termina dissonante
l’amore pensante, estrema
vendetta ed assoluta
come. sappiate che
alla fine tutto via si porta
nel remoto buio dell’oblio
il colore selvaggio anche
degli squarciati ottoni
la selvaggia atonalità
l’urlato apolide strepitio
cigolante cromatismo,

silenzioso gorgo. nero.

non finito vagheggiare

nel distacco mi compiaccio
credo e son soddisfatto
che tutto sia eterno blù .
vedo rosso quando soffro
dal nero trafilato
e se rido giallo, viola, azzurro
di toni tutto un defilar .
eppoi tutti si fondono
mi confondono, ridacchiano
come finito il temporale
i merli: tutti qui saperli
ridanciani mi dovevan
cospargere di terriccio
ed in compagnia del riccio
radicare e alterarmi
di bocciuoli e rami.

cocciniglie

quante volte avrai chiuso gli occhi
non immaginato nemmeno.
per un’offesa sbarrati
una delusione, della palpebra
improvviso tremore. le tue giuste difese
avrai come il mare: maree, pesci pulitori.
è un equilibrio precario, ma pur sempre.
come tra le cocciniglie
e la pianta che le ospita.

io e te te ed io

gl`inganni conosci bene
come le mie tasche buche.
da quei buchi escono
tanto in tanto carezze
opinioni opinabili.
permane quell’irrisolto
quegli sbalzi come
il carro vecchio
sulla sterrata.

trapasso

tutto il dolore non abbraccio
pur sapendo di salpare sempre
sulle rapide che ad impetuose
e tortuose virate costringono.
che mare monstrum l’ammaraggio un dì
dal liquido al gassoso, come lo shock
proseguendo per una via spesso
cervellotica, ostile, dolorosa:
uno cronico doveroso spasso
prima del regolare trapasso.

vecchiaia

sempre stato vecchio
anche con le glabre membra
la stupidità sbarazzina
della fanciullezza. e anche
se ampiamente passata
è quella candida brezza
affermo con imperio
la mia educazione d’autodidatta
al senile: dedizione
non macabra alla serenità
alla sicurezza del maturo
all’imperituro dedicarsi
privo di sgambetti e dietrologie.
giovinezza m’hai bastonato
quando frivola e generosa
potevi essere, vecchiaia
m’hai reso padrone di me stesso
sicuro quanto basta.

sì, basta che funzioni

alla mia età
(non atavica, ma letargica)
diventa sempre più difficile
l’incontro scontro colle granitiche verità
del presunto sesso debole.
però non è più
un violento frontale
è tutt’educato, formale:
in fegato se ne guadagna assai.
io sono maschio
per biologia, per peluria
ironico, possibilista
relativista e aperto
ma non abbastanza, pare.
tuttavia conosco
il portentoso potere curativo
del tempo
anche nella dialettica più accesa:
gli anni passano
le guerre
i terrorismi
le capsule dentali
ma quelle convinzioni tranchant
stanno lì granitiche
come l’iceberg
del Titanic
e si sa come
è andata a finire.

senso

vecchia la abat-jour
anche se in fondo
gli oggetti son tutti
nuovi anche
se
consunti e lisi
perchè li ha posseduti qualcuno
li ha amati, lo hanno confortato e non inpensierito
e questi pantaloni
queste scarpe
il giradischi
l’auto.
quando un uomo
muore
sembra
che non resti molto:
gli sguardi attoniti
dei parenti
dei conti da pagare, dei conti correnti postali
convenevoli come coriandoli.
un passato d’arie di Puccini
Editori Riuniti, tutte le opere di Marx e Engels.
ma non c’è traccia della fatica
del dolore:
questo pacco senza mittente
è indirizzato
direttamente
ai sopravvissuti.

il silenzio della domenica

della domenica il silenzio
non amo. perché la zappa
non so più impugnare,
le piante curare ed amare.
nemmeno do un senso più
alle beccacce, ai cardellini,
abbandonati govoni
ed al mio respiro, pure silenzioso:
da dentro viene
il sottofondo inquieto
al quale non m’arrendo.
perché dimenticato
è un passato di fatica
di callose mani, sacrificio.
non torna più lacrima
goccia di sudore
pelle bruciata dal sole
da un passato non amato
un futuro celato.

trascorre il tempo vuoto

trascorre il tempo ed è vuoto
come l’olmo traforato dal verme
così insolitamente inerme
il pensiero della presenza assente:
esserci per la fine dei tempi
l’infame orologio biologico
non per i libri ed i giornali
svanendo da sogni, ricordi.
l’illusione di perorare ed inseguire
il meritarsi eterno. e non c’è
che un po’ d’inchiostro
per appartenersi ed attenuare
tutta la perdita, l’assenza.
essenza del passato, vanità del futuro.

palinodia

tutto questo calore
è ingiusto come un oceano
nel mare. e l’attesa.
l’attesa strugge
di malinconia e cicale.

amor di giugno

quanto ardenti son
i sentimenti tuoi
che i colori scolorano
i rumori s’acquietano.
ed il rovente giorno
di giugno, si raffresca.
quanto gaudenti ed ardenti
i sonagli del tuo amor
di giugno.

misura misurata

apparentemente tutto giusto
della misura misurata al millesimo
è l’apparenza della scienza.
fatto per deperirsi la carne
pure il pensiero è merce
scade come formaggio
sulla scansia del mercato.
giusto il pensiero positivo
allarmato perché baciato
dalla scaltra illusione del creato.
eppure c’è il caso, il dado rotola
il mondo si spopola e c’è la natura
maligna, distruttiva dell’umano
alieno a se stesso, ogni passo.

tentazioni d’assoluto

la verità si carica come una molla
d’orologio, tuttavia senza indicarti
né ora né minuto, neppure ciò che è sbagliato
ciò che è giusto. è la condanna
del verificarsi incerto: un passo dopo l’altro
un giorno ai piedi dell’altro
non c’è fortuna
molto silenzio
e paura. nell’aria.
e resta quel cenno
nel solitario passero.

deperisce il vero

ora la luce non so più controllare
non so nè del riflesso nè della fonte.
tutto un bagliore che troppo schiarisce
ed impedisce ciò che non deperisce.
ma io la verità la so: è che tutto muore
anche nel chiarore del mese più lucente.