Newton

sono caduto dal centesimo piano
ho la testa ammaccata
vorrei svanire e poi risorgere
dalla cenere della città barbara
e bruciata. ho tanti sogni nel cassetto
ma così poca voglia d`apparire
eterno. così poca voglia d`essere
una folata di vento tra angoli
di cemento spaccato
tra il negozio bangla
e la parrucchiera cinese
che fa anche massaggi romantici
unghie lucide e curate. un mulinello
che non contempla l`eterno.
una biella senza pistone.
un esploratore dei pozzi neri.
il post senza pre.

CO2

mi compiaccio del rumore temporaneo
dell`aeroplano planante e mi dispiaccio
spiaggiato sul divano del silenzio prefestivo
subito dopo. accorcio i secondi come gocce
d`acqua sula pietra ma io non sono ardesia
sono un piatto di tortelli con la panna
una felpa scolorita dalla candeggina
ed un cumulo di desideri eccitati e sfranti.
era tanto che non mi scavavo dentro
per non trovare che poco o niente
e come un pesce che si ciba di reti
plastica e lattine sono satollo:
la natura è oramai un mondo costruito
con l`arroganza e l`indifferenza.
eppure il silenzio è d`oro
ed il passero mi dice
che uno più uno dà due.

alcuni

alcuni poeti
s`innamorano della strada
cantano col sudicio
e vengono col nero:
solo un amore a pagamento
dà tanto vigore nell’atto
del foglio scritto penetrato.
alcuni poeti sono operai
che la notte non dormono
per paura di non viversi abbastanza
rimescolando acqua sporca
col dito di oro e canditi.
alcuni hanno amori terrestri
ma le idee elevano la luce
non solo ad abbaglio.
amate i poeti
perchè loro non lo fanno
e paiono alberi morti
in fondo al prato
dove c`è il muro alto
del mondo.

spazzati

in un lampo son diventato birra
colo libero sulla tavola imbandita
e medito infantilmente col Bacco
sul da farsi per non sfasciarsi
nell’azione subitanea ed incastrata
nella circonvenzione d’incapace:
ci vogliono tutti uguali d`argilla
così alla prima guerra saremo spazzati via
dai nuovi luminari della democrazia
da nuovi e sempre più vecchi eletti
sempre meno cittadini significanti.
eppure secoli di storie sono liquidati
sotto ai ponti. eppure si muovono
per non apparire defunti. e lo sguardo
si fa più esente perchè il cristallino
si fa obsolescente: s`opacizza
per età e malattia. e così
che visione calando
pare di divertirsi di più
con qualche diottria in meno
comprendersi nella foschia
che minaccia e corregge.
istiga e seduce.

abbasso il patriarcato

ogni sera preparo la cena
le donne non cucinano più
come una volta. le donne
sono diventate uomini senza gonna
ogni sera preparo la cena
e a volte non ce la faccio
mi viene la nausea come in barca
giocando a scacchi: pensare ogni giorno
è un lavoro noioso come può esserlo
solo un lavoro mentre chiacchieri solo
con lo schermo del pc acceso dalle otto
che non va mai in standby.
metto insieme gli ingredienti
che finiranno tra i denti
con un misto di sadismo
ed interventismo: viva il grasso
abbasso il patriarcato!

miracolo

la giumenta di tutti i cuori
messi in fila al mattatoio
io credo ad ogni miracolo dato
ma la scatola del sangue geme
rafforza le pene e i vicoli ciechi
dicevo che la giumenta saprebbe
come tirar fuori dalle spine
dalle turpi ramificazioni
dalle quintalate di volgari
esercitazioni sotto banco
se sapesse il significato
di una mattina con l´epocale
avvenimento incontrastato
ora legale ora solare ora astrale
di una giornata zoppa
una notte deviata
di certe luci prima della sera
di silenzi condominiali
del crepitio delle lamiere
a mezzogiorno ed il gatto miagola
e poi piscia con eleganza
su una strada asciutta.

paura?

e non sarà paura
se il mostro lo terrai sotto
una nebbia d`amore
e una fetta di cervello.
chissà quante feste andate male
avrai saltato con la corda
ma ricorda i piccoli segnali:
quelli che come fantasmi
muovono tende e sedie
in case di porcellana
scricchiolanti. esigi
un contratto non troppo
rigido: clausole strette ai polsi
hanno rovinato anche i geni.
non opporti alla corrente
non alla gioia e non al dolore:
sarà una strana marea
che ti accarezza i fianchi
ti strappa i capelli
(già pochi)
un colpo al cerchio
uno alla botte.

regalo

d`estate ho regalato gli occhi
all`acqua o ad una sua idea umida
dipinta su un quadro iperrealista
in inverno invece ho chiuso i pori
come fossi un budello da riempire
di grasso e carne davanti a cervelli
affamati di proteine e poco umorismo.
oggi mi dichiaro impotente per gli altri
e li lascio smaltirsi tra i marciapiedi
e le torre gemelle che furono. oggi
mi accontento dell`assenza di sudore
dell`aria vispa che surfa su un mare
di diesel e fumi di saldatura.
per questo ho mantenuto un´andatura
no stress per una vita piana senza attrito.
non precipitare di nuovo dalle palpebre
per un`abbaglio.

non per vezzo

io so che la gente odia intensamente
che non ama con la stessa forza
tutto disprezza dalla testa ai piedi
dalla a alla zeta dall`alfa all`omega
fino alle stelle supergiganti
che lanciano messaggi di luce
dall`infinita postura del nulla.
il miracolo sarebbe la conversione
di un qualsiasi livore in linfa
scorrevole come melassa
che diviene rhum agricolo.
oppure in una luce non fioca
che raggranella l´elica del dna
e formula la regola di una gioia.
vorrei perdermi in quei sensi
obliqui d`ubriaco. non per vezzo:
per esercizio di stile.
per momentanea lucidità.

ho piantato una rosa

un altra fabbrica mi ha trovato
e di me ha fatto un sol boccone
io questi non li conosco mica
però d`ora in poi saranno la mia famiglia
li vedrò al mattino con i visi gonfi
e le occhiaie e la sera sgonfi come palloncini.
ora sono le 9 e non sono ancora sveglio
avrei qualcosa da fare di meglio:
allungare i secondi in versi
e tollerare la pasta scotta.

non faccio la differenziata

la strada bagnata
è lo scroscio piovano
di un mondo al tramonto
che va sempre più piano:
ossa dinoccolate sembrano
esperte elucubrazioni
di filosofi sociologi e paleontologi
tutti assieme appassionatamente
a farti la festa appena uscito
dalla fabbrichetta
con gli occhi ammansiti
dal tempo buttato.
ed io che sono scheletro
ma pure grasso coi nervi
e qualche muscolo di formaggio
mi metto di traverso
non faccio la differenziata
sulle strisce non attraverso.

indifeso

questa sera lasca e sfibrata
è arrivato prima il postino di te
nel buio impiallacciato di led
il rombo grave dei motori a combustione
coi libri di poesia ben imballati e la luce calante
del vespro della città esaltata. sei stata tutto il dì
lontana dalla tana a legar l`asino docile dove vuole
il padrone. a vender l´illusione che prima o poi
si potrà smettere di comprare. di desiderare.
e lì se avessi avuto un drone
avrei voluto esplorare una campagna
o una spiaggia mite dove far il padre
senza il fiato corto. coi muscoli ben allacciati
al cervello e lo spaccio di una felicità
dietro l´angolo ottuso. abuso di gioia
è stato il mio indifeso delinquere.

consapevolmente

consapevole dei rapporti di forza
cresco in un nido periferico
di cemento brutale
coi pozzi artesiani di Jameson
lontano dagli occhi di sangue
dai predatori televisivi
dai grandi imbonitori
dalla massa che canta e balla
a qualche metro dall`iceberg.
ho visto casalinghe di Voghera
urlare dai balconi coi visi deformi
di kapò e lontani parenti
farsi silenzio anche nella morte.
contiamo giusto il tempo
di un lampo all’alba
nel cielo blasfemo di una preghiera
prima dei brontolii dello stomaco
prima della sveglia tumefatta
da un qualsiasi brutto lavoro.
le auto si sprecano al tramonto
mentre urliamo le nostre identità
un attimo prima d’essere digitalizzati
e sfaldarci nel jitter terminale.

femministe

per fortuna non sei femminista
e non t’attacchi alle liane
di un albero che ci vuole estinti
per fortuna che sei donna
senza malintesi e trucchi vilipesi
tra sguardi d’orchi che ci vogliono
separati in monolocali periferici
e gastroenterici. ci vorrebbero
bignami per ogni passo
per ogni colpo di pennello
ma la vita è una sequela impazzita
di brutte canzoni d’amore
e vasi di coccio sbeccati.

il poeta parla al vuoto

parla ai vivi il poeta
ai fiori al gatto ed al topo al saldatore
all’incudine ed un tempo al martello
al passero e alla somma delle scommesse
alle corse dei cavalli e al padrone di casa
che ogni stramaledetto 10 del mese
vuole troppa fresca. il poeta non si scompone
nemmeno quando non ha troppo ragione
il poeta lunatico o no parla ai vivi
che a volte sembrano già morti
coi loro suv e le puttane nei pied-à-terre
coi loro sogni nel cassetto che sono diventati
i loro cassetti con l’antitarme. non so
se sono più silenziosi i vivi o i morti
i vivi decelerati contro il guardrail delle vite
da cartolina o i morti alle diciassette
mentre finisce il turno infernale.
il poeta sfiora la morte periodicamente
come una voce di soprano
dopo quarant’anni di carriera
con l’ugola devastata da Puccini
e Wagner ogni sabato sera alla Scala.
la morte ha il suo fascino terminale
ma deve accadere quando i fiori
e gli steli sono già fuori dalle orbite
e la vita continua anche dopo
aver fatto il bucato e stretto le chiappe
nell’ultimo tornante in fondo
dove il sole si prende una vacanza
e s`impugna il senso come logora bandiera.

ri svegliati

ci siamo svegliati tardi
con l`acqua alla gola
ed i polsi tagliati da latitanti:
tutto il tempo trascorso
nel soccorso di figuranti
alcuni diventati alberi
con tronchi possenti
radici che tolgono il respiro
da gran che sono decisive
incisive nelle terre sconosciute
insalubri e paludose.
ogni tentativo è gioia
allunaggio nelle terre rare
che intingono il pennello
in un frammento d`eterno.

fui

fui bambino sotto questo sole
genuino e benedetto dopo
la cupezza oleosa di marzo
giorni di scrosci a rallentatore
d´umido salmodiare di nubi.
rinato ogni primavera e rinato
per dubbio e il dito rigiro
nella piaga come un vivente
qualsiasi ed inquieto: non voglio
certezze malmenate con accette
non credo più alla verità soffiata
fragile come il vetro d`artigiano
dai guardiani dell´impero.
sono battello che ondeggia
sulla superficie di metallo
sono libero nelle altezze
e nel basso ventre dei giorni.
non venitemi a raccontare
che non sono niente.

tollerante

tollero il tempo che passa
e lui non m’osserva neanche
alito felpato che delimita
e offende. eppure la strada
consola anche e ritarda
nei suoi tornanti e inviluppi
storna e difende l’attenzione
al dettaglio e l`accento
dell`iniziativa: quanto colore
sulla ruggine e fantasmi
che sgambettano. è che
non è facile il respiro in corsa
ed il gozzo s`impenna
non solo per parola.

l`esatto momento

non vedo bellezza
fuori alla finestra
vedo muri umidi
ed il gatto malconcio
di lotta e periferia
ma anche in fiore
l`albicocco
i boccioli vitali
sulla corteccia aspra
arrampicati
tegole di case occupate.
anche inerpicato
e come la pupa fisso:
il bruco osserva
e si ciba. vola
farfalla di grazia
sulle fabbriche dismesse.