Minimalismo di classe

Cicaleccio mantra senza note
inodori vuote pulsioni estive
mi chiami, non rispondo. A casa
col bucato… No, libero
dal comando, tempo al tempo,
rido e sorrido e manco.

Provo con le parole

Provo con le parole
ad andare oltre il muro
piantando chiodi lunghi
che i vicini non sentono
non ascolterebbero
hanno i media accesi
le placche nel cervello.
Il regime ha le tasche piene
di leader e ribelli
coi campanelli
ed il popolo gronda indifferenza
si stacca dalla terra come un missile
spuntato. Catene per i volenterosi.
Tento con le parole
di sentirmi parte della radice
e faccio capolino nel ramo.
Vedi quel bocciolo sparuto?

A penna

Aspettando, riposato come uno stelo
accanto a me la cicala ed un sogno,
mi ritraggo non solo per canicola.
Che pace nei respiri non trattenuti.

La mia bilancia

Ho messo sul piatto della bilancia
quello che mi rende felice e nell’altro piatto
ciò che mi rende infelice:
la primavera assolata
la sinfonia numero 15 di Shostakovich, la marmellata di fichi,
lei, il sarcasmo, le orme degli uccelli sul terreno,
mi rendono felice.
Ebbene, tutto questo si mantiene terribilmente
in equilibrio coll’altro piatto, ogni giorno
che passa ha la stessa incantata ambiguità
non è né terribile né unico
perché il funambolo ne ha fatto un mestiere
dell’equilibrio
perché tutti i giorni si ripresenta
il miracolo dell’anomalia intatta
mistura di pece e candido
dimenticanza e centro.
Ed allora il felice
complementare al triste
e naturalmente viceversa
appare come un poderoso terrapieno
così ho pensato con la bilancia in mano
e quando l’ho finalmente posata nella sua realtà
è balzata agli occhi anche la mia realtà con la sua
innegabile semplice semplicità.

Ecco ancora lo stile della primavera

C’è luce, sole per l’eternità
in casa e fuori, come vita tra le mani
ed i pensieri, luce che acceca e rinnega
il ghiaccio ed i silenzi degli abeti…
Oh, ecco a cosa serve tutto questo gesticolare
questi versi assopiti sotto l’humus:
servono a non dimenticarci delle rivincita vitale
del seme germogliato e oltre…
di quei sogni che si fanno in vita
per non sembrare tutti uguali, altrimenti muti.

Altra via nella luce e nel buio

Non mi pesano oggi le mani
sto qui vicino alla finestra
con Mussorgsky ed i suoi quadri
un andirivieni di gazze e un pettirosso
più curioso di una donna, ho pensato
con delicatezza, ad immagini di vita e serenità
come fosse un presente dorato e tutto il resto
senza bruciature, bisturi, seghe:
ho sbeffeggiato la gravità,
ho fatto finta di niente,
come se avessi dormito
sonni beati, senza frange scorrette
intoppi sfavorevoli, fraintendimenti.
Come se tutto fosse irreale e posticcio.
Come succhiare la crema del gelato
fermandosi alla cialda, preservando
la dolcezza per sempre
appoggiando poi la cialda
sul legno più caldo.
Come non fossi mai nato, né gli altri
morti e sepolti. La favola dolceamara
del far parte del gioco. Ancora ed ali.
Le mie mani
oggi non mi pesano
e le tue?

Lordo cenone

Intero appare
infine infranto
all’avanzante luce
scabra della distanza
affranto.
Già occhiali
m’allungano
come lordo cenone
e più, aria e
pulviscolo, persuadono:
giocator sì
ma con lavorio imponderabile
meccanica avvocatura
scrocchio d’ingranaggi-
in taluni
estrema unzione-
mai sazio, nero post.

piagnucolio

cade vita negli occhi lucidi
scioglie come lievito
di modo che poi, come pulce d’acqua
scivola e regge, possa
riattivarsi, pasta madre,
quando è passione, canto. per questo
tante lacrime versate, a fiumi.

*

Bimbo mio ho la mano
sul tuo cuore
giovane e bollente
il tuo respiro avverto
quando deglutisci
e prender sonno vuoi
giochi con la peluria
del mio braccio
poderoso ti cinge.
Tuo padre ti vuole
un infinito bene
e tu t’addormenti.
Dolcemente.

Ferocemente vitale

Son inciampato diverse volte
predicavo nel vento
arrivavo dopo, con scarto.
Diritto come un fuso
un treno a tutta velocità
un missile sul terreno.
Arrivavo all’obiettivo
a tutta potenza
col trapano nello stomaco
ma felice -dicevo
o la va o la spacca
e deve per forza
andare alla grande.
M’accorgevo poi tardi
del degrado – facevo
della coppia una copia
del solitario. Capita
all’impulsivo, a chi si butta
avanti tutta! L’utopista
della vita interventista.

Al figlio

Sei una scimmietta
schizzata e vorticosa
scorrazzi in sala
e nella tua cameretta
in bagno, in tutti gli spazi.
Non mi senti
non mi dai mai retta.
A volte alzo la voce
a volte sbuffo
sembro stufo
sono un padre
sono in pace.

Ehi

Ehi dolce amore
hai il trucco che cola
ne assaggio un po’
ce l’ho in gola
come la parola.
Dai miei sogni scansati
onnipresente sei
di liberarmi ho tentato
catalessi come in estasi
sotto l’acquazzone
sul creato.

Relapso e pertinace

——————————-Occorre che la gente impari a non collaborare, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha.

Luciano Bianciardi
.
.
.
.

Ricordo
la gran rottura di palle
della messa
e del racimolare peccati
gravi possibilmente
bugie onanismo bestemmia
per il colloquio tutto contrito
nella tetra cabina elettorale
col prete
ricordo i miei compagnucci seri
nell’umida eco della chiesa
vestiti bene bene
bravi bravi
coi genitori orgogliosi a fianco
come nelle belle occasioni
ricordo la speranza
che tutto finisse al più presto
volevo andarmene fuori
a giocare a correre
a gridare la religione è l’oppio dei popoli!
Ribellatevi e cominciate
a pensare con la vostra testa
pecoroni!
È tutta una presa per i fondelli!
Se siete buoni nella vita di tutti i giorni
non avete bisogno
di abbracciarvi ad una sovrastruttura
arcaica e bigotta.
Vedo che col tempo
le cose non sono affatto migliorate
al posto della religione
disarticolata e masticata
da nuovi illuminati vertici
ve ne sono altre
che prendono il posto dello spazio vuoto
come fa la luce del sole.
La minaccia del significante nulla
crea mostri
e i mostri si fanno pilotare
coi fili
come feroci marionette.

La farsa della sostanza

Volevano il pianeta pulito
ma col libero mercato
si sentivano immolati
ma avevano alle loro spalle
i politici tutti, gli stati.
La chiamano riconversione
industriale -la desiderano ancora
coloro che son già ricchi
e sfondati. Un profano
direbbe far finocchi
coi culi d’altri-
la storia è piena
di questi dettati.
Il cane guaisce, latra
sbotta, si morde la coda
tira e morde la corda
ancora ed ancora
strappa impazza salta
è il grande show del capitale
crederai di fargli male
in realtà gli darai
altro carburante per bruciare.

Diretto di cronaca

Sì, il calore della stufa
il cibo a profusione
ad agosto la vacanzina
la promozione nel lavoro
di testa che occupa
che invade ogni via
ogni piazza, ogni interstizio.
Lo stipendietto, l’educazione
il sacrificio del tempo.
Non si sputa nel piatto
dove si mangia. Né
si critica, a che pro?
Quale alternativa?
Il tentativo oramai passato
del livellare, d’equiparare.
Tutti uguali, tutti poveri
tutti dignitosi
il tallone di ferro
della burocrazia, lo stato
che si fa inferno, la mattanza
della rieducazione, i campi.
La follia del potere
il sangue che gronda
senza senso. Senza senso.
Il dolore. Non siamo
mai stati così distanti
da un qualsiasi dolore.
Penso sia un bene.
Nessuna lotta
per la sopravvivenza.
Nessuno stacco
dalla ripresa dall’alto.
Nessun tumulto
né increspatura.
Una linea diritta.
Niente di niente.
Nulla. Hai fame e mangi
Hai freddo e ti scaldi.
Basta pagare.

Beati i primi

Oggi sono andato al lavoro
tutti eran seri seri
sfrecciavano muti nel corridoio
avevano una funzione
come le formiche nel formicaio
ho recitato la parte dell’uomo retto
mi han chiesto cose
io ho detto sì sì sì.
Ho faticato e non poco
per trovare un senso
eppoi ho pensato al piatto di pasta
alla tavola imbandita
alla caldaia a metano
alla tassa sui rifiuti.
Gli uomini di buona volontà
erediteranno la terra
nel frattempo che si trovi
un salario dignitoso
per gli ultimi.

*

Distillerei gocce
del tuo profumo
se fosse importante
se fossi in grado
di prevedere
e oltre i dossi, le frenate.
È tutto molto complesso
è tutto molto semplice:
il calore, l’abbraccio
lo scatenarsi del caso
affetto dopo affetto.
Ti rendi concentrato
per un obiettivo
e quest’obiettivo
come un’ancora
t’incaglia all’intro.
Te lo dico perché
casualmente ho il tuo numero
e te lo volevo dire.
Vis-à-vis.

vita eroica ironica

l`ironia se l’è portata via l`idolatria
l`ironia se l’è portata via l`ipocrisia
l`ironia se l’è portata via
chi non ce l’aveva
l’ironia è bene farsela amica
non scuoce non s’ammoscia
coltivate l’ironia
sulla sopraffazione
l’unica azione
che non andrà sui giornali
né in televisione
l’ironia è sempre in discussione
anche un’istantanea
momentanea delusione.

La mia poesia

La mia poesia
è la mia mano sicura
che trema
e la piuma che svolazza insicura
lo stagno fuso che ribolle
l`ingranaggio che grippa
la pressa che impone e sfianca
la tranciatrice che mozza
la fusione che dissangua.
Il tornio che modella ed urge
di lubrificante. Il peso del piombo
della rovinosa caduta.
Ho creduto sempre
che il visibile
fosse qualcosa di superficiale.
Un impasto di sì e di ma. Forse.
Insondabile la polpa
che cresce come un tumore
ai lati del credente
e delle manierate sciocche
e risapute
teorie sul mal di viversi.
E quando vien sera
incomincio a guardarmi
scivolato dal mattino
con le mani nelle macchine
la secca gola
di polvere ed inquinanti.
Quelle macchine
che non ci amano
quelle macchine
che ci parlano nel sonno.
Quelle macchine
che cancellano i sogni
ed altri ne inventano.
La mia poesia son quelle mani di calli
le dita schiacciate
il tempo di casa
la pace.

Il rumore della pioggia

Il rumore della pioggia
a volte
è una legge che annienta.
Il suono vuoto delle lamiere.
La sabbia del dopo
sui vetri.
La notte vigile
corrompe i cristalli di sole.
E non c’è collante
che tenga.
Ti sciogli nel niente
polvere silente.

Tutto diverso, tutto uguale

Tutto diverso, tutto uguale
quante cose cambiano e quante volte
perché tutto sia come prima. Fissità.
Estremità della foglia secca in punta.
Ostinatamente si siede davanti
al giardino ed il suo sguardo
si spinge nell’orto fiorito-
fiori candidi di patata
rampicanti di cocomero.
Lucido alloro, minuterie aromatiche.
La mattina è solo al principio.
Non è lo stesso per il vecchio:
le sue lenti così spesse
gli hanno alienato il mondo.
E pure il mondo
non si ricorderà di lui.
È stato protagonista, ora vuole
i comprimari.

Camaleonte

Siam multipli
di noi stessi
quante volte
non so dirlo.
Mi capita di viverti
mondo
con le parole d’altri.
Come fossi scalzo
eppoi dotato.
E m’areno nell’ombra
dei tuoni e m’inzuppo
di pioggia. Rivivo
nei secoli passati
e nel volgere del futuro
visionario.
Scalo montagne
che non vorrei mai
ed ingolfo.
Ridente e cupo.
come una banderuola
suono e stono, camaleonte.

*

Il cielo spento.
Ho tra le mani
il tuo odore.
Stanotte abbracciati.
Ti sistemo
sul punto più
alto. Scivoliamo
assieme al sole
forse. Domani.

*

Spariti gli uccelli
imminente autunno.
Ti ho dato alla luce
mille volte
foglia scolorata
arancione.
Ed il muschio
sul cornicione.

*

Bagnato l’asfalto
non gli occhi
timidi nel cambiamento.
Esterrefatti che il sole
sia scomparso.
Settembre
non è l’autunno
pensato.

*

Il gatto quatto quatto
sotto l’auto.
Il motore caldo.
La lana sparsa
delle foglie
stropicciate.
Scolorano
se non c’è il sole.
Tempo bagnato
dammi ragione.
Ne ho bisogno.

*

Alle otto del mattino
ci siamo abbracciati.
Il piccolino a lato
come scocciato.
Un secondo dopo
da capo: tra di noi
come a separarci.
Come un lavoro
qualunque.

stazioni e mete

la mia saliva
fu apoteosi dello schizzo fallico
e lubrificante soliloquio
di compenetrazione.
nei casi migliori dopo i vent’anni
tardivamente uomo di mondo
e giocatore d’assalto.
la mia corteccia è stata
sempre sgamata:
avevo scorci di luce
nelle tasche rammendate
e pure scucite
e gioia a campione
quella già usata
per umili dalle origini incerte.
i latenti scontentano il cliente
il cliente vuole farneticazione
e visionarietà sempre
anche quando i dolori annebbiano
e la gloria sfugge.
succede poi che si matura a sufficienza
per annientare una buona percentuale
di dubbio
e ballo meccanico in circolo
come animale allevato
o folle di paese.

*

lo sgomento dei tetti ardenti
dopo le venti
il calore dell’anticiclone africano
li ha resi lame assetate di sangue
spruzzano benzina i nuovi abitanti
venuti da lontano senz’arte né parte
non comprenderanno il mercato
la società liberista
ha una lista della spesa:
manodopera a costi esigui
multicolori per schiavi ardimentosi.

evoluzione

sei carne da cannone
non avrai più un impiego
ma starai incollato al televisore
o ad uno smartphone
sarei felice di sorridere
come un’ombra assente
ai nuovi mostri buoni
che sapranno dirti cosa vorresti sentire
che ti faranno fare ciò che dovrai fare.
se sarai solo ti daranno un figlio
o un fegato nuovi fa lo stesso
basterà pagare il giusto
basterà assentire e non replicare
l’assenza di una opposizione credibile
l’assenza di una critica
come in quelle società del ‘900
le spregevoli assurde dittature avversate.
ma tu sarai dalla parte giusta
tu sarai democratico
non avrai più nulla da imparare
l’evoluzione compiuta
la storia finita.

*

I sussulti e le grida
trafilate nelle notti estive
gli abitanti manichei
sforzano il mondo al riso
alla caciara, la gara
a chi ce l’ha più lungo
è la socialità manichea
esibita come una bibita
fredda tra le mani.
Ma senza profondi
significati né slanci
neurali. Latrati e grugni.
Spero nei primi freddi
fra chi la parola
solo al saluto fugace
e chi vorrebbe tradurti
il mondo con tutte
le possibili sil-la-be.
Eppoi dormire beati
e svegliarsi sobri e saturi
ma senza fronzoli barocchi.
Se stessi e basta. Bastarsi.
Senza dolore. Un po’ di torpore.

*

elemosini la bellezza
col tuo sguardo ingenuo
fra il lavoro ed il tempo libero
poco, lontano dalla macchina.
la tronfia pressa che agonizza.
dissero del migliore dei mondi
possibili. fu quello dove sfumasti
incredulo, nel gocciolio della grondaia.

*

Hanno messo il Cristo
in croce per così poco
noi abbiamo un arco
ed alcune frecce
poi l`oblio. Ci interessiamo
del piccolo in vita
tanto piccolo da vedersi bene
ad un`occhiata fragile.
Ogni giorno vedo il sole
in levare. La tensione
degli astri sono mani tangibili.
Spettri filiformi e melopee.

Ore lunghe

Ce ne stavamo infiniti spaparanzati
sui muretti e le panche
a parlar di niente
le ragazzine ancora ingenue
con le gonnelline sobrie e lunghe
pudicizia non ancora svenduta
per un’illusione di libertà
col sole alto e l’ombra della pazienza
delle ore placide
dei campi lunghi
c’erano le risa sguaiate e i genitori al lavoro
tornavano alle cinque e mezza
e tu avevi già vissuto
tutto quelli che loro si sognavano
ai tempi loro
quando della mortadella nel panino
c’era solo l’odore
un gelato una volta all’anno ed il freddo.

Sfranta

Ha l`aria sfranta
del frutto dolce
maturo. L`aria buona
dei gateau.
Un segno di pace
di numero alto.
Con tante virgole
quante una donna
ed i suoi doppi
e tripli e multipli.
Sogno e disinvolta
pacatezza
come a sfiorar
il vetro.
E tra un uomo
e una donna
ci sono parole
da cogliere come pesche
o frutti di bosco, meglio-
nella penombra
dove c`è silenzio.
Ed esercizio.
Giorno dopo giorno.
Nel peso della forma
nel fumo della cottura.
Nel fermento della norma.

6 VARIAZIONI IN DO MAGGIORE

*

La sirena nella sera dissolta
allungava la mano contorta
il dolore bussa ad ogni porta
stavo sull’uscio. Attendevo
con diniego un’originalità.

*

Cala la notte come cera
sciolta, la notte intera
con le nuvole d’acqua
ed il silenzio suo ch’ascolta.

*

Nella notte il silenzio
è il regno dei sogni.
Alcuni vanno altri restano
per la gioia dei vivi
per l’indifferenza dei morti.
Per l’onanismo degli intrepidi.

*

Non ti conobbi mai
ma ti lessi e qui ti sentii
fra il mio calore e niente.
Uno studio disperatissimo
come un onanismo inattuale.
Mi sentii intellettuale.

*

Leggo libri d’altri
stranieri in terra mia
sconosciuti abitatori.
Vorrei saperli vicini
vorrei sentirne il respiro.

*

Entro in punta di piedi
parlo poco in genere.
Ho bisogno del silenzio
per sentirti vicina.

Mitja insegna

Mitja mi insegna la grandezza mahleriana
del tragico. mi insegna il dettaglio psicotico
il ludibrio dei legni e la possanza degli ottoni
la schizzata zizzagna dell`ottavino. il torpore
depresso dei violoncelli. il woodblock celestiale
lo sconquasso della grancassa. la celesta fatata
l`etereo vibrafono. ogni volta il viaggio
è segnato da violenti e voluti fraintendimenti:
qui sarà pomposo, la sarcastico, qui sarà comunista
là dissidente, nel mezzo acido e volgare
eppoi figlio di cajkovskij, schumann. elegiaco
o alla disney. franco o enigmatico. ogni volta
si accende una lampadina differente
ed io gli sono immensamente grato
brillo violentemente di luce riflessa
come la vivifica fratellanza terra luna.
.

Mitja, diminutivo di Dmitrij Dmitrievič Šostakovič

sesso virtuale e svariati onanismi civili

qui di fronte a me
alla tele vibrante e apocalittica
bellissime donne giovani e nude
mostrano il loro meglio
trafitte dal sole del deserto
seni naturali, una rarità.
sulle moto
fanno incetta di like
e copulano con te animale infoiato
guardandoti dritto negli occhi-
altroché quelle stronzate
femministe. raggelanti ipocrite mestruazioni-
molti per protesta son già virati
alle donne col cazzo
è la moda fallocratica piroclastica
delle nuove femmina alfa
armata di strap-on
tuttavia il seme
per ora è ancora
appannaggio dei maschi
o delle scorie d’essi rimaste
polluzioni nei bagni dei bar.
vedo che sulle passerelle
il sesso è scolmato
tutto uno stramba mistura rosè
asessuato con maschi in gonnella
e donne troppo magre
che pippano tonnellate di cocaina.
donne e uomini fluidi
ed io sono un uomo del passato
conservato in schiettezza, chissà
cosa mi riserva
in futuro l`immenso variegato
mercato delle vacche.

come ghiaccioli

oggi il vero unico
atto rivoluzionario
è non fare nulla
starsene sulla sedia comoda
nell`ufficio caldo
nell`officina fredda
nel laboratorio isolato
non facendo una mazza
guardarsi riflessi e inetti
sulla neve ghiacciata
sulla canicola agostana
sul cristallo padronale
nel decesso ormonale.
la rivoluzione ci deride
pavidi per convenzione.

*

non t’ho mica chiesto
d’esser diversa
né di venire a patti.
non ti volli differente
da come sei ora
né ti vorrei altra.
è uno sciame sismico
che ancora deborda
istruisce, colora e adorna.
non c’è disamoramento
nemmeno il segno frivolo
dei tempi moderni
dove amore e corna
sono a pari merito
e a pagamento-
un contratto disarcionato
un teatro dell’assurdo
uno spettacolo da social.
hai quell’aria astratta
da nobile distratta.
quella musta* sottile che taglia
il tepore d’alito
quando il mento mio
s’appresta al tuo
come una manovra complessa
ed articolata nello spazio.
ali sottili per volare
mentre ti sogno
o mi baci. lo sgomento.
della tua assenza
in ogni anfratto del giorno.

.

*particolare espressione del viso

*

pensa a quanta strada
ha percorso questo sole
per infrangersi sul tuo viso
e dichiararti infinita, pensa
allo spazio vuoto che s`impregna
della storia tua e mia, pensa.
pensa a tutto il silenzio fragroroso
che c`attornia, alla disillusione
all`ombra. l`anarchia della materia
l`untuosa meschinità. quindi
dopo tutto il ragionato rischia
eccedi in vampa come la fusione
che ai quattro venti dichiari.
baciami e ritira tutte le parole
non sono mai servite
a farci meno animali
a farci più amabili.
immortali.

*

guardo nel giardino
di vita i progressi 
sotto il più forte sole
cammino indietro e avanti
come una guardia armata
d’amore per i colori
dei fiori, ehi son nato
per consegnarvi
nel palmo della mano
un incubo amaro
ed un soave paradiso.
continuerò a nuotare
nella silenziosa palude
in cerca di luce fioca.

a tutti i maestri e presunti moralizzatori

io sono libero
non datemi limiti
la libertà è il mio sapore
è inodore
e incolore
non etichettatemi
non ponetemi in uno dei vostri
stupidi sottoinsiemi politici
retrogradi
che fanno di tutto una curva
di uno stadio
a contro b
b contro a
per non fare nulla
fare tanto chiasso la domenica
come nell’oppio calcio
non voglio una classificazione
non sono merce
non sono deperibile
non ho data di scadenza
se non quella datami dal signore
o chi ne fa le veci
ho costruito la mia strada
nella solitudine
perché solo la solitudine
può insegnarti
a non belare.

*

strega la notte ed io indifeso.
sei bella con la seconda pelle
il trucco e parrucco discreti
sui quei trampoli a vincere.

settembrine

le zigane con lunghe
sozze gonne da gitane
senza denti rossi occhi
l’elemosina pretendono.
vecchi turisti nordici
vengono attaccati:
le ladre li avviluppano
collane slacciano e
trafugano portafogli.
loro seccati cercano
di svignarsela. poi
tutto all’improvviso
si silenzia, ognuno va
dove potrà arrivare.
il sole è vivo e accecante
le strade colme di vita
l’aria settembrina.

sogno o son destro

la notte mi costringo
a non pensare
la notte delle puttane
la notte degli spacciatori
la notte dei folli che strappano le parole
dei dizionari detonandole nell’aria sifone
ma i vermi dei sogni
scavano nel formaggio mente
tunnel di solarità plumbea.
e mi ritrovo a rinsavire
e mi ritrovo a vagare sonnambulo
nello stretto mente
nel tornante ovale
succube dei pensieri
avvolgenti e sopraffattori.
si muore lentamente
per dolci questioni insolute.
e la speranza acuisce per certo
il dolore per cento.

747

l’odore della benzina bruciata
arriva dalla finestra
il buio avvolge le case. sigh sigh.
piccole illuminate finestre.
la gatta esce furtiva dalla cantina.
i 747 cancellano il parlato
e la musica nella complessa
poderosa risalita. brrrrooommm.
ho conosciuto la giornata
della produzione, dello scambio
impari: tempo per denaro. tic tac tic tac.
aleggia nell’aria umida la macchina
pesante come piombo e acciaio
frizzante come l’eccitazione
del progresso. l’olio macera
le idee, la polvere dei motori
il fumo della saldatura, lo stagno
il fil di ferro, il cristallo.
la forgia poco più in là. tump tump.
stampa sulla terra l’eterno marchio
del datore sull’impiegato. slurp slurp.
se sei felice, non darlo a vedere.

12 settembre

senti l’aria tenue già
il ricordo del frinire
avanza il buio, come olio.
appesi i pipistrelli
alle grondaie, umidi
scheletrici anfratti.
tu non canti sei in azienda
al lavoro naturalmente.
ci voleva un’intera stagione
per vederti in prigione
inopinatamente.

sei vivo?

a 10 ti è scappato lo sguardo su delle tettine
una patatina pelosa e una mano su una gamba
è scivolata per caso
su una tua amichetta
le altre ridevano sciocche
e ti prendevano in giro
a 11 anni devi aver già fumato
a 12 hai giocato al dottore
a 13 hai limonato
a 14 ti sei già fatto fare un pompino?
a 15 hai scopato senza il guanto
(solo i bambini lo fanno
col cappuccio, ci vogliono i coglioni
sempre)
a 16 hai già l’elenco
a 17 hai provato l’hashish
la maria ed il fentanyl
ti fumi la coca
hai il pacchetto di bionde
sulla spalliera del letto
a 18 sei maturo
a 19 non ricordi
a 20 anni devi
essere per forza mondano
farti splendido con la gente
sorridi sorridi e sorridi
non mostrarti debole
bei vestiti firmati
anche le mutande armani
e che cazzo sei italiano!
una occupazione ben pagata
gradevole
dei genitori disponibili
ti ami e ti specchi 50 volte al giorno
ti selfie sei padrone del mondo
mica sei fesso, sei forte
con un bel conto in banca
vacanze sempre
settimana bianca
in palestra e ti fai la tartaruga
ma hai sempre le gambine secche
da merlo malato
una seconda casa in riviera
una bella macchina
tutti i fine settimana lavata
specchiata e lucidata
da padri cinquantenni
con figli come te
uno specchio di vanità esagerata
devi avere l’ego esplosivo
sei il centro del mondo
farai i soldoni, andrai in tele
mica sei un pezzente
col posto fisso.

*

dillo e dillo con poco
o coltiva il silenzio
mai abbondare –
il verso s’abbandona
in tutte le cose del mondo.
senti tutta la superficie
ma non vai sotto.
è nel regno dell’abbondanza
che si fanno più peccati.
è solo una questione
di respiro. che si sappia.
che si sappia e basta.

pensavo a me piccino

pensavo a me piccino
ai tutti i giochi da bambino.
c’erano eroi misteriosi
con la voce gutturale
un dito parlava persino
con fantastici idiomi
demoniaci quasi
inquietanti oltre.
s’aprivano porte nelle mattonelle
tra la parete ed il divano
e alla sera non cadenti le stelle.
gli occhi si serravano
su un dolce mare ondulato
veleggiava serena la mente
in un pressappoco niente.

troie

le troie sotto casa
giocano a bulli e pupe
si tirano cazzotti
sotto e sopra
ingorde smargiasse.
la notte è un androne sudato
un preservativo incollato
alla suola: non cammino più
coi miei occhi, userò i tuoi
di bambino
per vedere il bello.

q.b.

tam tam della padella
che bella e estrema
calda calda q.b.
ad libitum
cum grano salis
estrema la lena
d’una lingua aliena
che d’ironia balena
come non cetaceo.

*

i film della notte sono storie
che adoreremmo vivere
ardenti tizzoni di cuore
e cervella fosforescenti
visibili nell’oscuro battibecco
dell’uomo medio, imbeccato
dai genitori, dalla scuola
dalla chiesa, via dicendo.
si cambia poco in una vita media
l’educazione non è certo ambizione
ma mai quanto nell’ora e mezza
d’uno spettacolo ben architettato.

ci sono persone

ci sono persone già morte
e camminano e seminano
un`apparenza. e non colgono
fiori né irradiano note.
la musica di popolo è sconfitta
su due piedi -va di moda
una noiosa rassegnazione.
nessuna marcia né intenzione.
la si vede negli occhi
cadenti stelle spuntate frecce.

*

cercava una fessura di luce
in attesa che le nuvole
frantumassero l’arco grigio
ed il sole spiovesse
come un occhio divino.
s’inoltrava ad altezze
si spiritava d’incertezze
veleggiava col vento di fronte
dietro il furore, l’intraprendenza
dei numeri primi: la matematica
avvolge all’ordine l’entropica
germinazione del mondo.
le teorie, i dogmi tutti fatti
per sciogliersi al sole
ma prima e per molto
hanno accecato e diradato
i petali delle idee. anche adesso.
la libertà nell’occhio
invisibile.

co ca i na

la cocaina è la benzina
della nuova vettura senza pilota
a diciotto sedici quattordici dieci
i feti son già eccitati e spiritati
è finito il tempo dell’amore
l`amore lo dovrebbero insegnare
non esisti non esisti non esisti
i compiti la rete il primo amore
il terrore del silenzio
tonnellate di cocaina
ce n’è così tanta
che persino i pesci sono strafatti
non sanno più come pigliarsi
svalvolati ed ottenebrati
il primo pompino nei bagni d`istituto
l`amore l’amore e la carne
c’è così tanta cocaina
che la realtà è spenta
perché la realtà non è democratica
né rosea né intimistica né poetica
né romantica né minimale.
la realtà fa schifo.

*

il potere è tornato
ha la faccia del rivoluzionato
i violenti restano tali
anche dopo i lunghi temporali
il voto è timorato
è stato scorporato
il diritto deportato
le belle idee al potere
son peggiori degli antichi sfruttatori
che pure son lì
come un pesante bagaglio a mano
che mai e poi mai potrà volare.

*

conosci la mia esile
puerile voce
mettiti una mano
sul cuore e recita
il ruolo sociale prestabilito
(leggimi la notte
nel buio corposo
delle fedeltà mute)
ma mettiti una mano sul cuore
e trafiggi il ragno pendulo
sul muro crepato
dove il bianco è oramai giallo.
il tempo non conosce follia
né intemperanze.
è il luogo delle rughe
e del sorriso tenue.
qualunque consapevolezza
ha un costo
superiore alla media.
è oggi la media
non è mai stata così radente
al niente.

raccolto

non conoscerai tutto tutto
alla fine, ma potrai domenica
per esempio diradarti.
e conoscendo i limiti
sfumarti. e decidendo
chiederai un cesto in più
veleggiare e rincuorarti
il raccolto nuovo.

un’intera generazione

l’eroina mai s’è arrestata
non è mai scomparsa
acido infido fiume carsico
ha falciato e falcia ancora
giovani corpi stralunati e cagati
sull’arida terra catramata
l’eroina d’oggi è affar di fantasmi
creature iettate di vita
e capelli sudici e sorrisi strabici
si vanno ad immolare d’oblio
fuori dai centri commerciali
i nuovi cimiteri d’uomini
come esausti elefanti.
terminali deambulanti
quanti morti violacei poi
vitree dilatate pupille di pece
raccolti nelle scale delle chiese
nei vicoli anonimi dove uccidono
giuristi del lavoro
con una rivoltella
come nei maledetti ’70
dove la gioventù è bruciata
e mai più è sopravvissuta ai cortei
ai cori, i raduni, le manganellate, gli scioperi
corpo a corpo le anime vostre mai giunte qui
ingegneri, notai, avvocati e giudici ora
pecoroni amorfi rinnegati immobili
che si piangono addosso
ma che mai e poi mai mollerebbero l’osso.
Bologna mia, mia cara splendida
città di medioevo e cucina
tollerante come una sgualdrina
hai accecato la tua protesta nell’oblio
dell’estrema mortale vacua
demoniaca buia rugginosa catena.

***

vi sputo in faccia
coll’allegria della passata gioventù
vi vomito il mio odio
la mia sola inetta contestazione.
il ragionevole c’infetta
come diarrea purulenta
la mania per le cose congelate
preconfezionate, date per scontate.
anche il capitalismo
che ci riscalda le case
che ci illumina il cammino.
il corretto col retto.
nessuno più che si cucini la propria morte
lo trovo avvilente, stupido.
tossici di consuetudine
siamo questo e poco
poco altro, inezie.
puttane senza coglioni
scoordinate flatulenze.

*

abbisogno del mare
non dell’acqua.
abbisogno della montagna
non della quiete.
delle radici dei popoli
del manto erboso
dei milioni d’impronte.
sulla fronte l’assenza
del corruccio. e
lievitare e impastare.
dimorando non affaticato
nei confini. le mie aree.
i miei tempi. lontano
dalla richiesta. dal tempo
a nolo, pagato poco.
confesso il mio non essere
del secolo, né del precedente
del resto.

*

hai incominciato
con gli spazi piccoli
ora sei gigante
con le mani calde e callose
lo spirito dei tempi
gl’occhi vigili ed intelligenti.
scomponi i nomi
nelle sillabe che ti servono
ti servi del tempo liquido malfermo
e delle classificazioni:
odori di spezie
e di catrame
cemento e pasta frolla.
grandi discorsi, lettere, messaggi
scritti, saggi. marea della parola.
secche dei viaggi scuri
maremoti e corolle da sogno
-parole e parole.
sei rinato nei puntini puntini
riflesso nei due punti.
vedi
un punto c`e` sempre
solerte:
a capo e virgola
ogni paragrafo un’attuazione
il destino in trazione
che sia salvifico?
della tua natura uno specifico?
il punto è come una tegola.
è come una regola. punto.
ci potresti girare attorno
-la nonchalance del sordo.
poi giungerà lo storno.
implacabile. ma è già giorno
-uno nuovo. uno diverso
o sempre lo stesso.