decaffeinati bugiardini
d’isolamento e presunzione
cadere dal grattacielo
ci sarà un gran botto
fin qui tutto male
in mano a odiosi burocrati
la ribellione è solo
non pensare come loro
non eseguire gli ordini
come capò e sanguinari
il ceppo della civiltà
rinsecchisce: non più
un peso giusto
è solo uno spigolo
sul mellino. amen.

infettati di moralismo un tanto al chilo
e con le pezze al culo abbiamo trovato
un quarto d’ora di celebrità come malati immaginari
positivi all’ignoranza e al leccaculismo spinto
portatori insani d’etica indotta e gretti di calore
interagiamo coi fantasmi che urlano nella nostra testa vuota
come bidoni d’olio esausto buttati nei prati di periferia
le montagne di pattume intervallate dai piscialetto
l’antica acciaieria è uno scheletro nell’armadio
non ho più amici. li sento ogni tanto per telefono
vorrei bere fino a stramazzare per terra.
certi filosofi m’avevano preparato all’inverno rigido
ma questa è la primavera. ma questa è ossessione.
ma questa è terra sfitta di laici bastardi e di fu salariati.

la fonderia è una stanca proiezione
di se stessi. i cinesi hanno comprato tutto
anche i nostri sogni mentre pachistani in bici elettriche
portano a destinazione cibo preriscaldato
con guanti e mascherine. se la ridono
sotto ai baffi e puzzano di sudore e curry.
dietro la pasticceria vuota
i musulmani disoccupati incantano il giorno
con le loro antiquate litanie. con le ciabatte
pregano un dio guerrafondaio.
al di là del fiume baracche e tende
si mostrano come architettura inorganica
un nuovo ed inesistente piano per la casa.
le vie del centro sono affamate di pasta e sugo
di pomodoro, pane e latte di caritas. io
povero uomo con un figlio piccolo e una moglie
non prego nessuno e le mie bestemmie impotenti
deformano lo stato di felicità perenne inoculata
dal mercato schizofrenico: sono stato abbandonato
ma furioso e resistente credo ad uno sconquasso
o alla salvezza infinita di un grosso meteorite
uno tsunami un’onda anomala una bomba d’acqua
una tempesta solare una eruzione violenta.
una pioggia acida o un corpo morto che cade.
vedi che ancora in qualcosa io credo. credo.

sono stanchi i poeti
ha fatto le scale
han fatto dei peti.
han letto i loro versi
nei reading ed in televisione:
erano le parole giuste
al momento giusto
per i cittadini di sempre.
son stanchi i poeti
non sono nessuno
anche se sono qualcuno
sono una massa
che non si fa opposizione
i poeti sono stanchi
i poeti sono stanchi
i poeti infelici
hanno una maschera chirurgica
al posto del volto
i poeti felici
hanno una maschera chirurgica
al posto del volto:
chi ti trovi di fronte
in un giorno di sole
col lago alle spalle
le nuvole in fiore?
sono stanchi i poeti
sono stanchi i poeti
non han fatto la guerra
sono in pace
la pace dei sensi.

mai stati eroi
in questa silenziosa
palude mai stati
vigili uomini di seta e merda
e zappe spuntate e cinesi
mascherati nei campi
vicino alla pressa idraulica
e alle puttane negre
sboccate e sagge
come giunchi al vento.
e di là attorno alla rotonda
camper zingari
e cemento a caso
nessuno che passeggia
bimbe troie
coi cellulari. la campagna
potrebbe essere salvezza
oppure silenzio.

la primavera incomincia
sommessa ed il peso
degli organi è cavallo di troia
inutile incomincia e scoscesa
come zavorra che pesa
ed anima recalcitra e immobile.
sull’albero i rami coi frutti
ed il viso tuo non disteso:
pare una mareggiata
che sulla riva abbandona
e non perdona. s’arriva
la sera col cielo sfitto
e la voglia sconcia
di timbrare il cartellino
l’ automa che è in coma
disadorna umanità.
ma il colore tiene la luce
quella rivolta.

il poeta scrisse
nato per rubare rose
io no, io sono in attesa.
l’attesa sfiancante di una resa?
un ciclopico sistema meccanico
e soffocante mi schiaccia alla parete
io impotente con la testa sulle nuvole
popolano d’altri tempi
senza la zappa in mano.
ci dissero che saremmo stati
indispensabili, il sol dell’avvenir.
qui è notte e non pascolano animali
né le grandi manovre di una guida
ma famiglie di vampiri e sanguisughe
il poeta scrisse ma l’uomo visse
incauto, sofferente e allarmato
vive ancora vive ancora. vive.

viene la sera questa sconcia
malinconia e comprendi
solo al calar del sole
il meccanico tonitruante
cicaleccio della morente industria.
e ti chiedi dei tempi e dei vuoti
nel pentagramma le pause
intervallano note cascanti
e schiocca la cinghia sulla lamiera
e romba il diesel generatore.
attende l’operaio il calar del sole
gigante mignon che guadagna il pane
desidera serenità e cheto sole.
ma i poeti son tutti morti
e la notte lunga non una piuma.
torna la malinconia
ed è lo strambo furore immobile
di un popolo seduto al patibolo.
se le carni soffrono forse
dovrebbero incominciar ad urlare.

palpatemi in mezzo alle gambe
e verificate se sono ancora vivo
un minimo di reazione
per un massimo di resa incondizionata
il mattino ha l’oro in bocca
le maestranze sono maggioranza silenziosa.
e mentre m’acceco nel sole generoso
nel giorno che dovrebbe essere di lavoro
non me ne dispiaccio me ne compiaccio
sino a che il cielo è vivo azzurro
e scontro di gazze e merli e nuvole poche
senza padre e madre
col figlio energico e allegro e pimpante
col sacco a pelo per riveder le stelle
nel riscaldamento inglobato
delle carni in polveri sottili sottili
segno di follia e ragione
ho ancora la bocca per la rivolta
e le mani non sono così castrate:
né rivoluzioni né sarcasmo salverà il mondo
forse la tua mano solitaria verso il caldo sole.

non abbiamo mai vissuto
o a stento o a rilento
come in moviola macilenta
la tua storia decennale
privata dell`istinto animale
e dello spazio vitale.
poca cosa la noia
di una carne rilegata
quattro mura di schianto.
oh padre nostro e canto
siamo i peccatori
privati d`osso
lanterne cinesi
svolazzanti in loco
insufflate di spirito poco.
è sempre un gioco
ma gronda sangue
e libertà. libertà.

fredda notte
né grilli né storie
puntellano ore e ore
pioggia di candeggina
finissima -forse nebbia
che tagli con mani
che ti riempie dentro
il vuoto a stento
come l’acqua la spugna
e gocce di schiuma.
mancano i sorrisi
e non sono rugiada
né brina: bastano
a se stesse sole le cose
e gli umani? gli umani
cercano bocche e mani.
sono lontani. son villani.

i colori sono affetti
di un delitto politico
la santità della specie
uno sguardo d’odio
ingiustificato. dolori
e amori si confondono
le statue distrutte
l’ansia da prestazione:
la dittatura delle minoranze
è il nuovo secolo.
tanta noncuranza
per il lavoro
ci costruisce per ciò
che siamo o saremmo:
alla luce del sole
ologrammi d’un amore
nostalgico e sfranto.
tarlato dio m’ascolti?

noia d’essere vivo
tra i morti. in piedi
forte tra deboli
di cuore e mente.
lo svilimento dell’infanzia
il coma surreale dei padri
il corto circuito dei credenti.
l’azzurro cielo ancora
canto degli uccelli
ed io silente attendo
quella gloria purificatrice
della luce -prima o poi
viene e l’aria delinquenziale
depura e cede: il branco
un’aberrazione ed il cielo
sopra e sotto -dentro
la morale con quel suo
dolce viso di fanciulla
il sorriso lieve, intelligente
che dalla mente viene
ed è il bene. prima o poi
vince -come una brezza
costante di buon senso.

spiaggiato sul divano
non conto le pecore
e ce ne sono tante
hanno l’encefalogramma piatto
e tra poco un piatto
sarà difficile metterlo sul tavolo
ah, le grandi rivoluzioni
di costume e il lavoro
chi parla di lavoro?
mille euro al mese
e ti fai un culo
smetti persino di leggere
i poeti che parlano di fiori e amori.
ho avuto un grande amore.
l’ho trovato per strada
faceva freddo
lei mi teneva il cuore in mano
ma non stringeva
almeno all’inizio.
poi il sentimento si è stancato
allora ci si è fatti del male.
ci si fa male
anche amando
o soprattutto e quando.

una vita minimale
una vita animale
ma senza aperti spazi
solo quattro mura
e la lordura della colazione
pranzo cena e liberazione
sulla tazza a pensare
e ripensare quanto
eran belli i giorni
quando lo stato
se ne fotteva
se morivi di cancro
o inedia su una panchina
del parco coi pazzi
i drogati i mentecatti.

terrore 2.0
dittatura strisciante
respira infrange
i sogni belli del ’68
siamo a sessantanove
flaccidi cristiani inumani:
i visi scomparsi
raggruppano braccia e gambe
inutili che vanno dove?
se ne vanno corpi morti al supermercato
comprano cazzate inutili
e un qualcosa che pare pane
e sono solo pene di lavoro
di merda. ehi, guarda il cielo
è d’un azzurro vivo
più vivo della carne
più vivo delle menti accasciate
è la primavera che insegna
a chi può e a chi deve
gli uccelli indifferenti
malati asintomatici
cervelli spiaggiati
in attesa. è resa.

in un anno
senza il callo
dodici mesi
di bugie e ipocondrie
il popolino affranto
quanta cultura
è impostura?
quanti nei
nella scatola dei cioccolatini?
quanti manicaretti scotti e secchi?
il popolino spopolato
bastonato ma infelice
dodici mesi dodici
di neo primitivismo:
a comando saltella
come una pecorella.

democrazia dell’immagine
non ammette regola
nemmeno un riavvolgere
di spago o fune.
così s’accascia l’uomo
in un furor d’estetica:
nessuna risposta
da un cadavere che fa pena
e transige su ogni cosa
delega munge.
parola atrofizzata
che menomata in risacca
stagni putrescente.
e se i poeti peti dormono?
e gli scrittori temono?
e gli intellettuali baciano culi?
nel cibo soltanto
resta l’illusione
di sembrar se stessi
un cibo di rifiuti
una glassa zuccherosa
che obesa informa
e sforma. così è proprio
questo l’uomo che si serve
delle flaccide carni
per strozzarsi da solo:
un fantasma democratico.

nati e sputati
soffriamo di bende
accecanti e d’un potere
stringente che disfa ed opprime
dirige convoglia imbroglia
afferra cancella intontisce.
il mio cuore e le frattaglie
un po’ atrofizzate e solitarie
domandano una fetta di sole
ancorato ad un buio di pece
esterrefatto catrame alla luce
pendente di noia e lacrime.
trincee di nervi e cartilagini
bunker per solitari
sorreggo la mia pena
come la fiaccola di Diogene.
cauto o incauto non importa
resisto ed assisto: sono la mia cura
e la luce. in fondo al tunnel
d’un illusione di stato e merito
quella luce iridescente e vera.

le piccole ore del mattino
puntellate dai passeri
illuminate da fioca luce
il freddo nelle ossa
il guizzo dei ladri
l’alba. sotto le coperte
calde e morbide:
non dormo per empatia
la materia inerte
come un sogno non finito.
come il mare lontano
che non odo. del sole
la stazza calorica.
le piccole ore del mattino.