il complotto

ti chiamano complottista
se non segui la corrente
non fai la pecora allegra
con gli occhi foderati
la mente soffice che compra
e consuma. eppure
il mondo sempre più
appare un grande
allevamento di polli:
massa innumerevole
abnorme e infinita
di sperimentali provvedimenti.
ti chiamano negazionista
quando non neghi l’intelligenza
il buon senso. delle cavie
la sofferenza. eppure
la macina prosegue
e la mietitura. è come
se di tutti i cervelli
non ci fosse bisogno
e anche l’ultima unghia
venga in definitiva celata.

non si placa

non si placa nella sera la città
distesa di fredde luci
e rumori d’oltretomba
ciò che è stato vitale
e frenetico prosegue:
bagliori di lava vulcanica
o acqua carsica. eppure
non è vita ma macchina
meccanismo che oliato o no
rotola come la valanga
la grande forgia.
i comignoli metallici
delle cabine di trasformazione
roteano e sbuffano calore.
tutto è movimento
ed è fermo. tutto è. tutto cambia
e si trasforma. tutto resta.
come foglie d’erba
e filo metallico fra proprietà
e giardini abbandonati.
e fra noi. non pervenuti.

chi sono

sono me stesso ora
stronzo ladro e generoso
uomo maschio etero
mi sono costruito da solo
come i santi e i padroni del vapore.
sfruttato e tassato e dimenticato.
sono un bastardo di sangue puro
non mi hanno contaminato il dna
e a ritroso l’rna. o versavice. la scienza
è fantascienza. la fantascienza non è più
letteratura. la scienza mi dimentica
ed io non voglio che mi ricordino
l’oblio delle strade sporche e morte
di periferia desidero. sono fatto male
sono l’ultima ruota dopo il carro
sono carne da cannone
scrivo e leggo. non voto più.
ma lavoro e penso. non lavoro
ma dovrò ricominciare prima o poi.
preferisco poi. mi faccio i cazzi miei
quindi o mi odiano o mi censurano
o non mi considerano il più delle volte:
ecco. io amo sopra tutto
la vostra noncuranza.
l’assenza dell’indifferenza.
per voi non esisto.
non sono. e sono me stesso.

proveranno (al figlio)

proveranno a spezzarti
come legno al vento
e prima a piegarti
come idea qualsiasi.
odorerai di sudore
e macello. di lavoro
e lenta usura. conterai
le ore del fine turno.
leggerai farlocche
simulazioni di servizi
depopolate ambizioni
delle grande famiglie
vomitevoli usurai.
masticheranno le ossa rotte
della massa di carne
che non vuole ragionare.
insceneranno la morte
e la otterranno.
oppure deraglierai
magnificamente
dal dettato. forse
combinerai qualcosa
di singolare e soddisfacente
per ego e famiglia.
impregnerai il cielo metallico
di linfa dalle folgliedita
rifocillerai il solecervello
con la tua umanità
d’uomo sovrano
parzialmente libero.

collidere

mi squarcio nel sole
le mie menzogne
il mio non esserci
per caso. per onore.
per sapore. il caldo
sole. agosto d’ambizione.
aspro agosto. mosto secco
come ogni estate terminale
che si rispetta: la sua
arsura e l’impostura
delle carni. che vanno
a male con velocità
di raggi. che caldo sovrano.
la primavera preferisco
l’autunno. resurrezione
decadenza. a volte
possono coincidere
e collidere nella preda.
o nel predatore.

mi son accorto

mi son accorto
d’esser vivo ieri
al tavolino di un bar
chiuso per turno.
il silenzio estivo
è un pastrano pesante
son sparite anime belle.
e cicale. silenzio che va
pensieri che non trovi.
alcuni vagano
come biglie di flipper
e dalle 13 i fantasmi:
il calore scioglie i sensi
e i gelati. gocce di crema
e sudore. si spegne
ogni ardore in attesa
di un bell’autunno
inoltrato. eppure
si fantastica ancora
e si crede alle leggende
metropolitane. le pecorelle
smarrite restano pecore.

oddio

odio questo mese di caldo
che non finisce mai
dove gli schiavi bruciano
in spiaggia per la consueta
settimana santa. logorati dal sociale
che lega mani e inocula cervelli
di conformismo. odio la musichetta
da supermercato in ogni angolo
ad ogni ora del giorno della notte
suonerie di cellulare. note di mercato.
odio l’odore melenso delle creme.
i culi mostruosi che esplodono
come armi di silicone
distruzione di massa
le tette buttate in faccia
curricula della femmine rapaci
incapaci d’essere donne.
la pelle non più rosa ma sfondo
di dozzinali vuote macchie d’inchiostro
informi come errori.
odio la mania della vacanzina
e tutto l’anno a fare lacchè
con la melliflua manina
da Carlo Marx al mercato
dal Manifesto alla rata.
come odio la sabbia
ed il sole svilente
che ravviva luce furente
i mille difetti. anche
e soprattutto purtroppo
nei corpi belli
nei visi dolci.

mentre leggi Diego Valeri

stronzo
non ti legge più nessuno
stronzo
perché vuoi far sapere
i tuoi cazzi
ad altri stronzi?
a sconosciuti
che nulla sanno
e sapranno?
che ti rubano sangue
e sperma?
fai finta di nulla
tieniti per te
le tue nudità.
non sei Michelagnolo
né Merisi
né Medardo.
liberati dalla tua fobia
da social.
non farti simpatico
agli occhi sconosciuti
né antipatico
non buttare sul fuoco
la tua eterosessualità
come fanno i froci
in tempo decadente
dove stelle e luci di spettacolo
paiono la stessa cosa.
smettila con le gnagnole
come i bambini
sempre di fronte
ai videogiochi
sei e dovresti essere adulto
taglia dove devi
sutura dove devi
e stop.

forse

il maschio non è più maschio
e neppure la femmina è femmina:
puoi esser tutto ciò che vuoi
l’importante è che tu non rompa
i coglioni. indebitati e lavora
come uno schiavo 8 giorni
a settimana. guarda la tv
ma stai in campana: è un treno
verso il nulla. cabina 666.
carne da cannone. ti percepisci
e non sei. ricorda che l’uomo
scompare senza lasciare traccia.
ricorda che le ginocchia
si sbucciano facilmente.
ricorda che l’anima
non è in tutti i crani.
che i corpi sono fatti
per bruciare. che il mare
è il riposo del guerriero.
che il guerriero si compra.
che il silenzio è d’oro.
ricorda di ricordare
chi sei. cosa vuoi. dove vai.
quando inciampi e poi sei nuovo. forse.

extra ordinari

fornicatori di termini
traduttori sinaptici
calcolatori extrasistoli
sul fatto più o meno colti
le versioni s’affastellano
ammuffiscono nelle librerie
il popolino se la ride
va in vacanza coi mutui
casa auto tv amante compagna
anzi non ci va
resta a casa
a scaldar la sedia
o in angolo
con orecchie d’asino.
della modernità
l’indiscreto fascino:
scienza scientismo
radicale maccartismo
allarmismo traduzione
vuoto. amenità. mortalità.

mentre danno Fassbinder in tv

tutto è spettacolo
tutto è dolore insapore
e sapore di nulla:
si fa arte attoriale
d’ogni cosa. dalla rogna
alla beatitudine. dalla tragedia
alla farsa. fuori
che il quotidiano: quello
non è oggetto di studio
è rimosso per eccellenza
attuale ed inutile
per eccedenza.
tutto è teatro
assurdo e notturno.
è festa privata. ozio.
lordume di setta.
inchiappettamento
e foto d’imprecisati
amori e corna.
triangoli poligoni.
bermuda che scivolano.
erezioni anticipate
appostamenti disarmati
paparazzi e stracci.
il paese si sfalda
nella sua ribalta.

manifesto azione

ieri sono stato volgare
mi son lasciato andare
ero stanco di poetare
come un santone
o un prelato dei versi dolci
(non sono santo
nemmeno nel pianto)
oggi andrei all’altare
coi fiori prete torta
in una nuvola di fuffa
dolce come un muffin
soffice come un topper
medicale come un bluff
panacea dei mali tutti
fisiologica eterologa
placebo d’effetti
e affetti secretati.
la poesia è l’altare
il vuoto il suo credo.
rima baciata
trama esacerbata.

sega all’aria aperta

mi faccio una sega all’aria aperta
e sudo molto. è estate
e l’umidità è fastidiosa.
pompo avanti e indietro
con forza e costanza.
la massa di stronzi
è andata al mare
o forse no
il 30 per cento ha disertato
spiagge bagni e
deserti come bagni pubblici.
la poesia delle poete femmine
ha rotto i coglioni
però me lo fanno duro uguale
quando le guardo dimenarsi
come geniesse letterarie.
sono un uomo di mezz’età
ho fame
e ho voglia di scopare.
sono un limite
che scorre.
sono un porco maiale.
sono un uomo.
faccio le cose normali.
pago tasse e multe.
non lavoro.
sono un po’ stanco.
però vivo
e ne ho voglia.
a volte vorrei strapparmi il cuore
oppure
fare un nodo scorsoio
e finire come una leggenda.
sono un codardo.
pago tutte le multe
finché avrò soldi da buttare
finché avrò una finta
dignità: una facciata
dove far piangere
i credenti.

torneremo

torneremo microbi
schiacciati dal sole
e dal buio che offende
tritacarne di fiati
sogni infranti
sfiati altalenanti
principi balbettanti.
torneremo piccini
come bambini
strati su strati
come una torta
di compleanno:
dopo la beffa il danno.
oppure spiriti animati
posticiperemo fine e inizio
in un nuovo corso:
l’algebra la fisica
e la scienza sfocata
non daranno né felicità
né immortalità.
forse il rimpianto
di una non ascesi.

ho l’odore del lavoro
nelle mani nere.
dicono che il lavoro
mobilita l’uomo
ma per me non è vero
non c’è nobiltà
né umanità
sol movimento
per suo conto:
a guardarmi le mani
son fermo da un’infinità.
ho visto bassezze
come fosse oceaniche
inscenarsi nelle 8 ore
ripetute come l’involuzione
o un sestetto di Reich.
non c’è libertà
nella democrazia delle idee
appese alle finestre del 110%
e bisogna comprarsi
il pane. ecco
spiegato l’arcano: la fame.
alle 17 si torna a vivere
per rimbalzo: respiro
per la prima volta.

paté

non esce la gente
la città è deserta
la sera.
c’hanno distrutto
l’immaginario
ce l’hanno raccontato
il vero. e noi l’abbiamo
ingoiato. a forza.
come oche malate
obese per paté:
cibo per élite.
e noi obsoleti
poco green
molto down
silenziosi atomi
in sfoltimento.

armato

armato d’una pazza corazza
m’inviluppo come l’edera
ho stracci per capelli
e unghie per polpastrelli.
sono in mezzo ad un campo
minato da sconosciuti untori
sconci autori di morte.
eppure mi dimeno e rifletto
cervello cervelletto e colonna
unica autostrada di senso:
finisce nelle dita e nelle parole
come miele aromatizzato di fiele.

o

leggo un libro o guardo un film.
oppure esco. sto in casa. cucino.
apro la finestra e guardo fuori.
o forse no. prendo la bici
e vado lontano. poi torno.
leggo un libro. o guardo un film.
non so. me ne sto sul divano.
non faccio niente. penso.
mi viene mal di testa. sogno.
mi incupisco di malinconia.
scendo in giardino. sono le 17:54
ancora troppo caldo.
fuori non c’è nessuno.
sono tutti partiti. no
è rimasto qualcuno.
tolgo le erbacce.
spazzo la strada.
o leggo un libro
o guardo un film.
hanno acceso i condizionatori.
ma allora che faccio? leggo
guardo o cucino. penso. o.

a meno

si spopola nell’ameno
che non v’è pari
è sempre meno
di quel che serve
di quel che è.
si dimentica delle corde
che legano al terrapieno
dei lazzi e degli elastici
che riportano a zero.
delle buche. dei dossi.
degli accidentali urti
tra corpi distanti ed amanti.
ci sono forze elementari ed oscure
che piantano chiodi. eppure
il movimento non cede
ma si rafforza come anarchia
disordine entropia. è forse
che l’universo tutto non nasce
e non muore e non viene
da un punto solo. la teoria
il postulato si scontra
con la realtà o la sua percezione.
niente si sa. tutto s’immagina.

e

e nella sera antica e moderna
come tecnologia di ferro e pietra
e allunaggio bramato e chirurgia
d’ossa e carne. e nella serra
antica e moderna ch’io ascolto
e ammoderno lieto e m’immergo
nel glorioso passato e trasfiguro:
pensatemi fabbro ed ingegnere
pensatemi congiunzione nel silenzio
nel buio. nella quiete. pensatemi
dimenticando. è lieto l’immergersi
e il defilarsi discreto.

il silenzio delle strade
bollenti fine luglio 2023
non c’è anima né riva.
fluttuo in nome di me
tra marciapiedi stretti
d’erbacce e pattume.
la periferia è una somma
di cose già viste ed altre
che non si pronunciano.
tu sei a lavoro. aspetto.
il magma delle cicale.
l’odore del calore.
tutti assieme. in attesa.
una resa? no. non pare.
tu sei nella spesa. ed in altre
mille cose che non so dire.
le parole non fanno prole.