in piedi! lavoratori!

a pochi chilometri da qui
nell’anno 2018
ventunesimo secolo
nella regione un tempo
regione rossa
ricca e comunista
lavoratori manganellati
caricati anche se a terra
da giorni in sciopero
licenziamenti a catena
sindacati nazionali assenti
picchetti e blocco dei turni
come cento anni fa
non è cambiato nulla
a parte il fatto
che chi era povero
ora è più povero
chi aveva qualche diritto
ora non ne ha più
la carne da macello
non basta, i padroni
ne cercano di fresca
da altri continenti
il grasso brucerà
in quantità, tutti
staranno fermi
a guardarsi.

dietro l’angolo

quando muore una persona cara
rimangono le intonse fotografie
nel comodino, prendono polvere
come libri che si sono amati
e che si vogliono vicini.
anche i luoghi divengono nemici:
non ha viso ciò che s’è condiviso
un passante col viso arcigno.
e le azioni, quelle stronze
mi ripugnano, come calamite
nemiche: avrò la sensazione lieve
d’averti visto dietro l’angolo.

migrazioni

siamo un paese di vecchi
che dimentica i propri figli laureati
i propri giovani diplomati
che vanno ad arricchire
nazioni forti e prepotenti
però accoglie tanti disperati
che non sanno nulla.
siamo così buoni
che abbiamo dimenticato
un futuro, però siamo accoglienti
e protettivi con chi non ha
vogliamo sembrare misericordiosi
e compassionevoli
col posto lassù, prenotato in paradiso.
siamo ciechi abbastanza
per dimenticarci del progresso
per dimenticarci del sangue nostro
e un giorno pure gli altri
di pelle differente:
chi non ama
chi non accarezza
i propri figli
potrà farlo con quelli
più sfortunati?
non avremo forze nuove
per risollevarci
non avremo cervelli vispi
per creare e progettare
ma tante braccia
non avremo pensiero
né ricchezza
ma terra e sudore.
quindi saremo felici?
sarà allora un mondo migliore?

cicale cicale

son selvagge cicale
la mattina, il primo suono
del mondo che lavora.
c’è il rombo delle auto
che colora, soffio tenue
del cielo che illumina
e accalora, come il sole
discreto ma già adulto
evidenziando punto
dopo punto. è accaduto
ora come ogni giorno.
nello sconcerto del dì diverso.

uccidete i padri

i padri vanno uccisi
una volta per tutte
e non vanno riesumati
se non nelle letture
nelle mani, nei solchi
lasciati dai pianti bui
e dalle risa assolate.
e quando vengono
i santoni, i vati
lasciate il campo
alle vibrazioni correnti
all’interpretazione
alla soddisfazione
esaltata dal vostro senso
all’entusiasmo contagioso
alla luna nuova
coi vecchi crateri
che è poi quella di ieri
col taglio presente
e speranza: che brutta
parola speranza
è come non si potesse
vivere degnamente
qui, ora. adesso.

l’invito

t’invito a non esistere
a boicottarlo il mondo
non comprando beni
non ubriacandoti
d’idiota consumo:
più vivo sarai, attento
più felice e cittadino.
qualunque cosa significhi
dichiararsi falso
di fronte ai falsari
ed ai loro lacchè.
t’invito alla lotta discreta
che scontenta i giornali
umilia i predatori di sinistra
e celebra la natura umana.

sessualità agitata

passa di fronte gli occhi
tutta na vita
quando si pronuncia
leccandosi i baffi
la parola fica:
bando alla volgarità
il sesso animale
è ciò che ci rende uomini
pur nell’eclissare e male.

linee di fiori

innesca la fotosintesi la luce sulle foglie
accecante sgargiante flusso d’elettroni
pochi giorni e le maree di petali fioriti
saranno barocca linea nel cielo terso
il giorno luminoso lieve parrà diverso.

divino

migliaia d’anni d’evoluzione
miliardi di mortali
storie immorali
violenze, iatture
febbri gialle,
cristiani impalati
streghe bruciate
per ottenere
una molle generazione
che non va in guerra
ma entra ed esce
dalla depressione
stato comatoso
del gran borioso
contraffattore.
che impressione
il destino
di quest’essere divino.

ernia

portatore d`una soda palletta
sotto il reciso pertugio
dell’ombelico racchiuso
per i poetici un tortellino:
è come una cosa di gomma
che dalla panza rosa fa capolino
un intestino che vuole uscir di casa
senza chiedere il permesso
è senza senso, antiestetico
poliedrico. la carne e le viscere
vogliono l`anticipo, incedere
senza sesso come feto nel maschio
senza passo comandato.

è

tutto esiste
ed è
nell’instante preciso
di quest’inciso
tra il cateto
e l’ipotenusa
come una parentesi
mai chiusa.
tutto persiste
è quel che è
a dispetto dell’altro
della cultura
delle credenze
della società
è tutto pronto
per l’infinito e oltre.
mai abbastanza
d’altronde
la possanza verticalità
della creanza.

padri e padri e padri…

stanchi e non più giovani rivoluzionari laici
i padri c’han fatto passare
per forza di cose e forse amore
i padri possono essere spietati:
la purezza del sentimento
e il portento di verità meritato
è l’angolo del cielo promesso
manterrà quel suono all’alba nuova?

quando quando

quando il cielo cresce
senza noi piccini piccini
formiche laboriose
che perdono il tempo
per un soldo bucato.
quando il cielo non crede
al formicolio sulla terra
che si spacca di zolle
lentamente nei secoli
a divenir mobile
nelle ere che non esistono.
quando dimentico
del parziale
dello spunto animale
dell’esser reale.

piango di sole

piango di sole
e lavoro
periferia sferzata dal capitale
dallo sgobbo giornaliero
dall’idea di civiltà che c`assale
ogni fine settimana
in fila verso il mare.
e i contratti telefonici
la privacy ambita, ma esibita
il coito interrotto dei sindacati
tutto profitto case sfitte
anche la lingua
con le parole svuotate e maltrattate

circondate e tradite.

la mala educacion

il popolo va rieducato
vota nel verso sbagliato
il popolo maleducato
ignorante, bue e rozzo.
il popolo non finanzia
non indirizza
non forma
non sa.
l’intellighènzia lo bacchetta
lo stato lo tassa
il privato lo priva
del salario, vessato
e derubato dalle minoranze
democratiche. il popolo
è da rifare
mettetelo da parte
intanto andiamo
al mare: l’abbronzatura
copre la sozzura
dell`eventuale
lavoro manuale.

quadretto di un interno

il piccolo cane abbaia
il padrone l’han portato via
stamattina, male ai reni
difficoltà nella deambulazione
ambulanza infermieri
e tutto il baraccone
con gli altri vecchi alle finestre a spiare
per cercare di capire
se fosse morto o no
o magari in condizioni disperate
-il dolore è merce di scambio
e viene particolarmente apprezzato-
ma il bastardino lo cerca ancora
guaisce perso ed abbaia non troppo
senza esagerare
solo nell’appartamento
chiuso a chiave
con qualche croccantino
una scodella d’acqua
non durerà molto
nel frattempo gli uccelli
hanno incominciato a cinguettare
la Pica Pica starnazza e ruba
la cornacchia gracchia
dalle 4 del mattino
come tutti i giorni
il piccione per ultimo tuba
alle 3 sono già sveglio
non so perché
ma ho fame
mi faccio 4 biscotti
col latte come i bimbi problematici
che non prendono sonno
avrei bisogno pure della ninnananna
allora i camion azionano i poderosi clacson
poi alcuni fortunati
passeranno la giornata
a farsi il culo in fabbrica
o a battere sui tasti del computer già caldi
il terziario che avanza:
le chiamano le vie imperscrutabili del signore.
a me sembra solo
un grande caos.

solo

l’inconveniente
di star con la gente
sempre pertinente:
sia perché dell’ironia
insufficente e insofferente
di tutto e tutti
(l’italiano medio
è massimo nel lamento
un portento).
allora mi farò isolato
esterrefatto eremita
che da solo
si tiene la vita.

mi prendi per i capelli

mi prendi per i capelli
mio tutto che risplendi
hai rossetto ombretto
quel rispetto dei soffici
quegli abiti che indossi
per non farmi innamorare
ancor come allora.
è la giusta cauta tensione
che logora? lo sfilaccio
del tempo regge
nella caducità fragile
del prezzo?
anche gli oggetti amano
e contornano l’apoteosi
persino la pasta col sugo
segue le vie del canto
oh, mio dio è doloroso
il mondo senza la sua musica
come le note sono cicatrizzanti
come il rifarsi ricorda la vita.

sedicenti

vennero ciechi
e ascoltarono
vennero presuntuosi
e non dissero:
pretesero. ecco
quel turbinio
d’effetti plateali
senz’ali. e quella
congestione
di rarefazione
esterrefatta.
e quel non senso
che è nelle parole dolci
di tanti sedicenti.

erectus

marziano al mondo
non rivelarlo
per virtù scrivendo:
non s’aggiunge eternità
al sogno giammai
da profano. e l’outsider
già emancipato
osserva dal ciglio
non lucra, sottende
incredulo più o meno.
con modestia sapiente
sapiens non per invidia
neppure per status.
erectus per forza
e foia. homo
per infinito, oltre
quella siepe,
che lo sguardo
sghembo devia.

paese di contadini

dimenticata la penuria
ridiamo frivoli al bar
c’ingozziamo all’osteria
nella scialba isteria
del consumo di sé
del mondo merce:
che dolore sarà
tornare per forza
alle origini: campi
e suole bucate
aringhe appese
di mortadella
l’odore solo
nel pane secco.

noia

manca l’ironia
in questo mondo
di poemi creatori:
i poeti si voglion soli avventori
ma pretendon la chiamata
dei sodali, gruppi di strazianti
lettori senza motori
moribondi graziosi comatosi
soprattutto inabili lacchè
del personale amato
mentore (se la suonano,
se la cantano, se la dilaniano)
seriali mentitori
nell’età della tecnica i poeti
gesticolano d’anima
cuore, amori come farfalle
banali e affrante
alla luna piena.
ed è subito
un’eterna noia. boia.

la musica

la musica è italiana
viene da quella luce fulgente
del nostro passato che inorgoglisce
c’inquieta, che ancora riverbera
e spera e quel canto polifonico
delle chiese e l’inviluppo
del contrappunto dorato
dalla laude degli antichi borghi
e trovatori, ecco
la poesia del mondo non viene meno
se la lingua del canto e della poesia
son l’italiano, beato paradiso
di splendida bellezza e saggezza
è allora sì, avrà senso
pilotare l’astronave
oltre i bastioni d’orione
oltre i confini impensabili
tra quei bianchi angeli abbacinanti
concludendo come Betelgeuse
trasformandosi in vigorosi
generosi aliti rigeneranti
violento brillamento di creazione.

gufo

martella il tufo
il suon sincopato
del notturno gufo.
e non sol la tenera
roccia percuote:
ci son cose nel buio
che neppur il suono
scuote: il denso
sapor di nulla
che culla.

oroscopo

par sempre
una questione privata
come confessione:
ha ragione
chi pensa al caso
come governo del mondo
e chi si dispera
tentando una chiave
con l’oroscopo
o le previsioni dei tempi:
la finzione ottunde i sensi
ci fa apparire belli
zeppi pieni d’orpelli:
son anime buone
trapassano la personale
età breve
son degli stupidi le leve
che non alzano.

il rifugiato esasperato

ti senti così felice
dopo aver fatto del bene:
accompagni la vecchina
di là dalla stradina
oppure dai cinque euro cinque
all’africano col cappello in mano
ti fai portar la spesa
non pare a prima svista una resa:
ieri ne ho visti due
-in realtà nello storico centro
frotte, più di cento-
eleganti griffati puliti
faccia dolente ciondolano
i più eruditi si fanno la toeletta
nella comunale biblioteca
-si salva la cultura, dicono
con un’efficace pulizia-
son più in forma d’un proletario
saranno carne da macello
col gommone o il battello:
ah, certo, non han mai lavorato
han lo status del rifugiato.

la rivolta d’una volta

rivolta divelta
oggi si fa di vetrina
con kefiah e clarks:
non resta che piangersi
addosso di birra
superalcolici meglio.
gli eroi son morti
unici eventi degni di nota
i #metoo, venerdì
gli scioperi, i governi
che non seguono
delirante l’europa
monetaria gretta:
ogni tempo
ha la sua rivoluzione
plenaria ed il tempo
suo sfavore, assieme
dei nullatenenti il livore
e debito.

figlio

vivo e ciarliero l’amore mio
vitalissimo, ribaldo, spiritato
come fulmine saettante
corridore, miniatura, ululante

non timido pancia scoperchia
la piccola cromatica maglietta
come certe ragazze libertine
lesto presta, ombelico primo

frigna, sgambetta, borbotta
si lamenta, gioisce, di fretta
nella perenne gran festa:
alto un metro o poco più

è la monumentale grand’opera
d’una vita, dolce birbante
ricciolino come tutti dicono,
nulla incólto in casa resta

tutto finisce nella sua cesta.

pannolino e pannolone

da bimbi col pannolino
colmo di diarrea
e da vecchi
letto colle sponde
occhi spenti
ghigno malato
il pannolone della mattina
ancora colmo:
si conclude
la parabola
con una possente badante
che ti fa da insegnante
figli distanti
perentoria declama
in una lingua strana:
non c’è più storia
nemmeno memoria.

Bologna

dolce forte medievale Bologna
sei intarsiata dei sapori
e odori di cucina e clero.
la pasta gialla, il rosso
del friggione, il verde
della salsa e col bollito
abbiamo quell’invito
il grasso gozzovigliare.
scura d’archi e d’arzigogoli
gotici, sette chiese
gioielli di mattone,
i barattoli pastello di Morandi
i Reni e i Carracci
tutti i calorosi abbracci,
sua maestosità San Petronio
San Luca dall’alto a vegliare
Respighi, Torelli e Vitali
Giovanni Battista Martini
e le vie porticate
anticate dai sapori
dei salumi, dal maiale
che grufola e urla
di dolore. le tagliatelle
pasta d’uovo che duella col ragù,
il riso le mandorle
nella torta e un’abbuffata
sorniona di fiordilatte
grassa universitaria tollerante
un poco sbruffona, arrogante
ma tanto, tanto amante.

eravamo bambini

s’andava dietro l’argine del Reno
ci s’acquattava d’astuzia e tu m’infilavi
senza esitazioni la mano lunare
nei pantaloni, era giorno d’erezioni:
son quei giorni belli che la natura
non è matrigna e la mattina dopo
son tutti ricordi di quei dolci calori:
tornar bambini, immediatamente
ma non è possibile se non reiterarsi
disertando la vita, invecchiando.

per i dolci lettori affamati sgomitanti fra i tanti

————————————————————————–ad Al ed alla sua battaglia

c’è la poesia col cazzo
e la poesia colla figa
perché con la biologia
si vende di più
e si mandano in visibilio arcobaleno
le menti delicate
con le braghe calate
i cuor di leone
che stanno benone
eppoi c’è quella colle palle
che il sesso non ce l’ha
non ha una falsa bandiera
non vuole diventare nulla che già non sia
vive di vita propria
racconta e non deterge
fa vibrare carni e tessuti molli come un diapason
e non gliene frega un cazzo se siete froci
impotenti, normali, lesbo, transitanti o a b-normal.
imparate dalla poesia:
non ha orpelli
non ha sovrastrutture
non è furba
è il fulmine che ionizza l’aria
è un calcio nella palle
non ha pisello
non ha fica
non ha pelo.
il resto è masturbazione
per segaioli e fascisti di sinistra
di cui siamo pieni
come quando s’ammassano le conchiglie
sulla battigia dopo la gonfia marea
e non è la luna che la crea.

alzabandiera in riviera

semplice il tempo
ti strappa una ad una le penne
alba e tramonti
scopate selvagge come il west
e anonime
come la raccolta indifferenziata
lavoro e lavoro
per una misera paga
che dovrà bastarti
e tu voli basso
tanto di quel tempo buttato
in errori e autocommiserazione
eppoi improvvisamente
un tramonto rosso e pulito
capolavoro di termine e promessa
lontano dal rumore di fondo
dalle frivole sciocche prese di posizione
proprio in questo momento
ragazze di quindici anni
fischiettano e ridacchiano
nell’edificio di fronte a me
e due, tre piani più su
i ragazzi ascoltano con le gote scarlatte
e sentono premere forte nei pantaloni già aderenti:
la storia indifferente
gustosa forse per un’ora la storia semplice
si ripeterà ancora una volta.

non si invecchia facilmente

lavoriamo tutta una vita
spesso un lavoro che non amiamo
e non capiamo
poi ci ammaliamo
e finiamo in una stanza
con un dottore
ci lega al letto
e ci picchia duro perché
è incazzato nero
o per altri motivi personali
che qui non staremo ad indagare-
forse l’odore di vecchio delle stanze
e dei pannoloni pieni lo disturbano.
cerchiamo i figli
di quei padri e di quelle madri
rinchiusi in queste strutture solidali:
sono andati al mare
hanno pure loro dei figli
e magari una moglie
son cresciuti bene
sono civili consumatori
non hanno tempo da perdere
perché il lavoro ti prosciuga la vita
e quando torni a casa
vorresti solo dormire e sognare.
andate a prendere
i vostri padri
le vostre madri
siete ancora in tempo
portateli al parco
e parlate con loro
oppure non dite nulla
sedetevi e guardatevi negli occhi
sarà sorprendente.
o avvilente.

dolce primavera

già i fichi pronti
bitorzoluti infanti
appesi ai giganti:
le foglie come madri
in delicate pose,
tace il verde nella sera
è stato pomeriggio
senza polpa dolce:
lo sarà, con meno
discrezione e sennò
andrò in dispensa
m’impossesserò
della zuccheriera
così fiera, che sì
non potrà che dirmi:
sarà dolce primavera.

romantico

quel giorno estivo
glielo infilai dentro
come un treno
senza sbuffi
senza vapore
sol coll’ardore
del puttaniere
in calore -lei porca
caraibica sanguinante
come un idrante -aveva le cose sue
come per impressionarmi: l’uomo sa
oppure no
quanto conta il romanticismo
e quando.
quante rose
sul comò
e quell’interesse vago
come il tumefatto alluce valgo
sul mobile all’angolo.
eppure è solo un meccanismo
come i lego o il meccano.
poi c’è la specie
che sopravvive
a volte senza il padre:
è allora che cede l’architrave.

tra sessi stessi o della famiglia tradizionale. o no.

una scopata alla settimana
o al mese è bastata a lei
per sembrar amata:
l’ovvietà della noia
esacerbata dalla meccanica:
un moto rettilineo
trasformato amabilmente
in longilineo
almeno idealmente
per menzognere
labili menti giornaliere

aaa cercasi (satura lanx)

aaa. nauseato dalla democrazia
io me ne vado via
i miei pensieri seri e faceti
son nati ieri
col governo nuovo:
populista fascista sfascista
nichilista, nazista e chi più ne ha più ne inventi
e tutte le pecore che latrano come sirene
accaldate radical sciocche
contano come il cazzo a rubamazzo
sanno poco, illuse dalla professione
dalla televisione
o da qualche santone
o dalla sinistra
che si tiene in pista
con una banca
o il terrore:
parlano di lavoro soltanto
quando sono all’opposizione
fate vi prego
un’addizione, maledizione
qualcuno
dovrebbe rompere
le uova nel paniere
io no, me ne vado
a dormire, son stanco:
domani è domenica
non si va a scuola. aaa.

molle

capitolati gli strati più fini
vengon quelli coriacei
ferrei come crostacei:
che il tempo assapora
assimila e digerisce
e nel tempo anche
la corazza più dura
divien molle colatura

precari cari

abbiamo fatto la guerra al mondo
abbiamo bruciato corpi e coscienze
abbiamo creduto amato desiderato
siamo stati rasi al suolo, bombardati
depredati schifati ghettizzati vomitati
le peggiori nefandezze, gambizzati
abbiamo ricostruito e ci siamo arricchiti (pochi)
dai campi di sole sanguisughe e fatica
all`oppressione dei capireparto in buie fabbriche
ora a cottimo fattorini in velocipedi carini
poi robotici incalzati dalle macchine
abbiamo conquistato un barlume di civile
e ora come il reflusso della maree
o dell’acidità di stomaco
saturo di carni, odori, intingoli
torneremo come sempre siamo stati
improvvisati momentanei precari e servi

buio, notte alla finestra

le aperte stanze
è tutto un vociare
dei fiori i profumi.
mi metto da parte
e ti metto sull’altare:

tu vai a dormire
io resto ad ascoltare
il verso del gufo
che pare un antifurto

non avrò nulla da dirti
preciso resto all’ascolto
seduto alla finestra
son curioso del mondo
ch`avanza nella stanza.

mi verrebbe da dirti
ma non mi dedicherò a te
perché il polline satura
la nostra occulta natura:
i fiori incauti nella città folle

sabato 2 agosto 1980

la crepa nel muro della stazione
dice che non è ancora finita
quella sovranità limitata
che oggi schiantare ci fa
sull`idea d`una sola moneta.
è che s`allontana la meta
e nel tifo da stadio delle parti
non ci s`immagina nemmeno più
a riveder i colori sotto le stelle
i bei mestieri nelle mani
gli orizzonti di tiepida luce