sera flaccida

la sera flaccida plana
come una figura lontana
i bambini al parco han fatto faville
urla tuoni e scintille
ora si ritirano sconfitti dal sole
nelle loro famiglie non scelte:
un padre lavoratore
una madre lavoratrice
si vedono poco e male
d`altra parte le tasche buche
non fanno cena
neppure un durevole
amore. la coppia scoppia
l`amore s`ammolla
l`erotismo si scolla
il lavoro è un pallone
che s`alza pian piano
quel cielo è lontano
l´azzurro si stacca
come vecchia vernice.

la sera è un approdo spento
le fabbriche chiuse per le feste
i comignoli d’acciaio lucente
nel raggio tagliente dell’inverno mite.
gli occhi nelle strade rimbalzano
di luce in luce come un obbiettivo
che non trova quiete. gli amici
sono vecchi e lo fanno con me
cercano di ricordarsi una meta:
metà comica metà tragedia.
cercano un’immortalità
che non ci è data.

da mattina a sera

la settimana appena iniziata
è già stanca: il caldo
è il sudore che cola.
il lavoro è lontano
e questo basta
mi strappa un sorriso.
le foglie dell’albero
si muovono lente.
le cicale sono orchestra
futurista. guardo un film
sul divano. non so
se fare il cinefilo
o leggermi un libro.
a volte s’accelera
improvvisamente
e poi per anni
non succede niente.

venerdì sera

musica brutta viene dalla baracca vicina
bevono fino a notte fonda. assieme  urlano
incomprensibili -fino al venerdì a dire sì
inginocchiandosi al padrone. il tempo
è una visione a senso unico: si strappa
come petali di margherita. diurni
strisciano accondiscendenti: fanno
le scarpe al collega. poi coca libera tutti
pasticche multicolori e alcool: così
in un attimo di tremenda frenesia
svanisce la possibile libertà dei sensi
l’illusa indipendenza dei corpi.

la sera

la sera si sfalda in un milione
di note metalliche e tu mi vuoi
parlare di lavoro. ti prego, no
son sempre le solite idee
non c’è niente di buono.
io credo al mare senza turisti
e alle piazze vuote: ecco, tutti a casa
vi vorrei, tutti a casa per un mese
e non si paga più nulla
né l’acqua né il pattume
né la benzina né la tassa
forse così si cambiano le cose
e si riscrive la storia
né violenza né boria.

vien sera

vien sera e tu
che non perdi le gocce del sorriso
su una tavola ancora d`apparecchiare
ora io sono tutto un sudore
tuttavia la mano mia cerca il tuoi biondi peli
su quella schiena curva e ci vuole guidare sopra
ascoltando il battito del motore
quando s`ingolfa e fa quel sapido rumore.
vien sera e tu mi ricordi ed io so non troppo.

rosso di sera

fu passione
ma anteriore
come sogno
a ritroso: l’antico
furore del rosso.
hai mai raccontato
il rosso? l’abbiamo
celebrato. fai e pensa
quel che vuoi
or che raffreddato s`è
come lava per l’isola

in mezzo all’oceano.

tesa la sera

tesa la sera
non s’avvera
la notizia certa
che par vera:
è una sera non sincera
non annuisce
non spera.
è un’accozzaglia la sera
di gentaglia sotto la finestra
lesta nel dimenticarsi.
domani dopo gli schiamazzi
avremo tutto il silenzio
del mattino di primavera.
eppoi l’improvviso
luccicar dei passeri
dei merli, memori dei drastici
rigidi inverni.

sera evanescente

la sera è evanescente
parzialmente incoerente
un contenuto carente
ricca però d’una cottura rosolata
la parmigiana è un incanto
che ti tiene ancorato
alle cose semplici e gustose:
son poche le cose
che rendono felice un uomo
un figlio, la tavola
il sesso -comunque sopravvalutato-
la poesia -a volte sottovalutata-
poco di più:
quel che non è possibile descrivere
quel che scaltro
sa sempre d’altro.

sera nebbiosa

sono seduto, tu non guardi
il tempo passa, sto cercando qualcosa, ma non ricordo cosa. i vicini
stanno ancora sbattendo sui muri vecchi
è un lavorio incessante
anche nel silenzio poi.
si provvede agli antenati
mettendo al mondo nuove creature
non c’è una vera fuga dal reale:
le porte si chiudono lente
il mare è lontano
anche la montagna: di realtà
si può morire.

ragioneria di stelle

è che il mattino della domenica
sto già male per il lunedì.
non il venerdì sera, per esempio
carico di promesse. il mantenerle
sarà glaciale imperscrutabile ragioneria di stelle.

una sera stuzzicando le parole

sono ferme foglie stasera

non un sussulto. magra

consolazione il fremito

della clorofilla nel carcere

del traffico aereo e nel basso

bordone d’automobili. già

scomparsi i passeri

piccioni monotoni.

e i vicini? quelli non servono

vecchi, malandati

(la notte lo sento mille volte

dal letto

chiamare la moglie -malattia

sonno, sordità). è

così che si finisce spesso

da dove si era cominciati.

Negli annali

Dolore, che anche se non ci sei
pari qui, le mie mani con le tue
i pensieri come una comunione
e ora sbadigli e doloranti aritmie
d’un cuore asciugato dal tempo:
chi sono io per non dimenticarti
lo so ed è già calda sera di luglio.
Ed il dolore non sarebbe permesso.