un`altra ancora sulla poesia

che cos`è la poesia
è ancora questa cosa
di centrini e programmi delicati
sotto teca? è il rosa sfumato
l`incarnato della seppia?
osso sacro di nicchia?
un ombretto per classi buone
ciglia finte, hotel di lusso?
linguaggio forbito e furbo
per femministe impiegate male?
per frocetti con foulard
con erre moscia e non solo?
per sordidi impiegati comunali?
negazionismo del reale?
che cos`è la poesia
un vestitino leggero leggero
per tutte le stagioni
per tutti i governi?
spalanca le porte di tutti gli orinatoi?
è spastica, onanista, pattaniera?
è tutti i sessi o uno solo?
chi si fa le seghe è un poeta?
la poesia non è un partito preso
non è la moda del momento
non è un pranzo di gala
un appuntamento galante
non sarà mai materia di studio
e un orgiastico interludio.
la poesia è uno sputo in faccia
un coglione attorcigliato
una fregnaccia. è la bagascia
che hai contattato: non t`ha fatto venire
una leccatina e t`ha solo ignorato.
te ne sei innamorato. è la rima baciata
tanto odiata dal poeta stagionato.
la poesia sarà quel che tu
non vuoi che sia. che poesia sia.

trasceso

sono tanto stanco
di finire le cose
le vorrei incominciare
e poi appenderle così 
ad un filo al sole.
sono intimorito dagli insetti
pungenti. sono io
che crepito di luce
non la legna, il tronco
d`ingegno. sul polso
sulla pelle mi segno.
sono intriso di tutto
mi vedo trasceso.

un tempo che fu

un tempo Piazza Maggiore
era gravida di vecchi
s`infervoravano di politica
animati dal fuoco della vita
i nonni che avevano vangato
la campagna e avevano
fatto la guerra, soffrendo
la fame. il sudore sui campi
le poche uova, una fetta
di mortadella e tanto pane.
decine di piccioni impiccioni
s’ingozzavano di riso -sacchetti
dei bambini divertiti, fragili
e frivoli. c’erano i muri puliti
qualche rara merda per strada
le rondini galleggiavano
sui campanili e tessevano
infiltrandosi nei fori di ponte
delle torri poderose. il ragù
dalle finestre dei vicoli. al frizòn
la pasta fresca. il bollito.
quanto tempo è passato
e quanto siamo cambiati.

balena

l’entusiasmo è una balena spiaggiata
sotto un sole cocente.
non comprendo i bagnati
il loro perdere prezioso tempo
come argenteria in soffitta.
si crepa più velocemente in graticola
sigarette e aromi artificiali e conservanti
fanno il resto. ed il resto non è piacevole.
sono giorni di stagnazione, da dimenticare
se il dolore non è attutito da oppiacei.

cammino

cammino disarmato
sotto al sole in periferia.
giardinetti sfatti e cemento
le vie lievitano via via
in palazzoni e cortili interni
m’avvicino al centro.
in cassaintegrazione hai il tempo
d’incamminarti contro vento
e non sembrare goffo e lento
un arido soffio d’alito caldo
viziato. t’esplode tra le mani
la civiltà del momento
non hai mai modo
d’essere felice.

i nomi miei

i nomi miei
non puoi sapere
eppure non sfiguri
tra le mie braccia
capelli cadenti
occhi che frustano
sollecitano un bacio.
e non manchi
nel mancarti
inspiegabile
e mortale
(ricordo: misero mia nonna
su una barella nello scantinato
con le mani legate
ed una cordicella stretta
all’altro capo una campanella
piansi violentemente
all’accensione della luce
nel buio forno d’anima).
blasfemi i contorni
e la notte magica
pone fiori scoloriti
ialini pezzi di carne
opera di un dio forse.
si spiega la misericordia
in un mattino di sole.

si scaldano al sole

i demoni si scaldano al sole
succhiano il sangue ai bambini
innocenti ingenui costrutti
della società in calore.

s’odono le urla dei piccoli corpi
lontani anni luce dai salotti buoni
i padroni distruggono i corpi
per una sete d’abnorme eternità

nemmeno la vanità
nemmeno la derisione del debole
lima quei bastardi canini:

sul fiume a raccogliere i relitti
ci metteremo per sentirci meno inutili
più buoni di quel che siamo.

*

nasce l’odio tra quattro mura.
nella sicura della famiglia
grilletto il lavoro e la mancanza.
che fierezza nel sacrificio.
che indipendenza di giudizio.
il focolare domestico
non addolcisce il livore
lo fa assomigliare all’amore.

*

ci son giorni che un’ombra t’assale
e nemmeno il mesto girare solleva.
ci son giorni di quiete anormale
dove grigia e smunta è la tavolozza.
un’espressione di malore del volto
occupato nelle solite faccende.
e nulla accende questo vuoto.
ci son giorni di mestizia animale.

tutte le cose

tutte le cose il sole riempie
il bulbo della lampadina
e la mattina, fra il rombo
della moto e luce nuova.
la luminosità riflessa
è complessa e indifesa:
ogni occhio ha la sua
avversione dei fatti.
ed il modulare delle pupille
è come segno di sbornia
nell’anestetico generale
spettrale ombra atomica.

solo un dio ci salverà?

qui il paesaggio
è una grigliata di carne
deambulano i corpi
desiderosi d’appartenersi
persi in realtà -scoscesi
nel disordinarsi. la bestia
sfugge alla legge e certo
viceversa: il codice è
delle marionette
non dei pensanti.
il codice non è anarchia
di belligeranti.
sotto al sole le idee
sciolgono in non razionale
le parole non fabbricano
non fanno che censurare.

rumore

penso e ripenso e non m`accontento.
m`ero ripromesso di non scrivere più
ma mento. mento agli altri a me stesso
sono un violento: alzo le tapparelle
e m`acceco: punte d`occhi fulminati
e l`iride scoscesa come un mantra:
la notte è stata una crema
colava da tutte le parti.
il giorno non è
non è un mazzo di fiuti
è un corollario d’ombre
una catena di frane
un calanco selvatico.
una matassa sfilata.
eppure regge e fa tanto rumore.

mens insana

egomostri si stagliano
lungo il confine della morale
con le mani inzuppate di sé.
sfrigolano come carne alla brace
ma non c’è onore né battaglia:
la carne suppura di cancrena
e d’assenza di gravità.
io non credo in nulla:
si fronteggiano senza battagliare
fantocci di una passata gravità:
ma questo non è più un pianeta
ma questa non è più civiltà.

nuvola

ci sono persone
che sono dei rottami.
tu non lo vedi
non sai che possono farti male
vai diritto all’obiettivo
vuoi stare bene.

vuoi la felicità su un piatto d`argento
eppure il dolore arriva
giunge come una foglia ingiallita
una lama arrugginita

una frattura nella superficie ossidata

sono dei rottami perché
non sono in grado
di trasmetterti niente
sono vuote
rancide

magari hanno un figlio
ma sono solo un involucro
di bugie e ingiurie.
riescono subdolamente
a trasformarti in un mostro.

e tu lo sai
ma vai avanti
pensi che ti meriti di meglio
ma non sai fermarti
arrivi fino al punto di non ritorno
giungi al collasso

e tutte le parole dolci
e le carezze
e i biscotti a mezzanotte
o il piatto di penne alle 20
si trasformano in risentimento.

tutto quel tempo buttato
non è esperienza
non è scienza.
è un collasso

e dopo il collasso
restano altri corpi minori
e una nebulosa
di dolore aspro

tagliente.

il treno

vengo con te
mi porti per mano?
fila il treno
una linea di luce
disegna. è veloce
s’infila nella galleria
come il verme nella mela
s’esce ancora coi capelli
in ordine. solo
è un’altra città.
c’è ancora il sorriso?
o si sfugge ancora
alla domanda nota:
vengo con te
mi porti per mano?

di cosa ho voglia

ho voglia di fermare
la produzione

braccia conserte
pausa. ragnatele. stop.

tappare la bocca al caporeparto

osservare attentamente
una ad una

le gocce di pioggia precipitare
sulla terra calda & stremata

ho voglia
di quiete

di non litigare piú
per un tozzo di pane
che non sa piú di pane.

il regalo delle élite?
settant`anni di pace.

ma dammi il fuoco!
dammi le fiamme

non la lordura
della stagnazione

né il bucato delle parole
né queste facce

che incrocio di giorno.
facce di vuoto.

corpi senza contorno

anime senza ritorno.

tersa

in casa imperversa
l’aria condizionata
fuori furoreggia
l’estate l’essenza.
liquido bitume
per giovani sguardi.
come in inverno
chiuse le finestre
fingo tenacemente
la mia tersa assenza.

anche i bambini

anche i bambini potrebbero
scendere in strada ed urlare
invece che inseguir palla
che il futuro s’è ammanettato
e le buone idee infeltrite
dai tempi del guadagno
come bruciar all’inferno.
non c’è storia davvero:
restan poveri tutti gli ultimi
anche se potenziali entusiasti.

muri

i muri miei son anche tuoi
e ti vengono nell’addizione
degli sguardi. c’è sperequazione
degli addendi e puntualmente
frizione: si chiama follia comunicativa
e imbellettamento del morto.
ci siamo conosciuti al telefono
con le voci alte. ora si canta
con basso tono nel quieto viverci.

momenti

ci sono stati momenti dolorosi
come piena del fiume che imperversa.
momenti acuminati come talune intelligenze
sprecate a sopraffare. come la neve
risolve il tutto nell`attenuarsi
crepuscolo demitizzato.
il contenzioso col tempo e lo spreco.
la paccottiglia della retorica statale.
sono a prescindere
e ora tentate pure di cancellarmi.

stress

ho nascosto la mia vera natura per anni
timidezza o come se niente fosse
ho scritto alla massima istituzione
un fantoccio rispettabile
per sembrare modello
farmi dare pacche sulle spalle
da vecchiette addolorate senza marito
dentro una teca vissuto ed imprecato
come un non modello
per la società che ha già troppi balordi rispettabili
nelle televisioni
poi ho conosciuto te
ho indossato un vestito
più elegante di me
partorendo un alito buono
ti ringrazio per le pene
e quelle pennellate
che sapide hanno l’arma del bucato
appena steso. sono felice. evviva.

 

chi sono

ed io non so mica chi sono
se il mio ruolo è gomma
da masticare, se il cuoco
ha ancora fame, se il cielo
piange il sole e quando
smetterò di domandarmi
l’impossibile e recitare.
conosco l’allegoria fiorita
e l’ossimoro roccioso
scarno di pace: perché
si risponde a se stessi
col silenzio di fiume
oppure scarnificati
a domande che non s’hanno
tutte le risposte cadono
come ciliege senza nocciolo.
ed io non so mica chi sarei.

civiltà

tumultuoso censo di terra
ultimatum di civiltà sradicata
smaltata di lavoro che non c’è
di ricchezza che latita
sfruttamento e carne da cannone:
ogni anno scricchiola
questo velo d’apparente
compostezza, l’equilibrio
s’inviluppa e s’attorciglia
nel conflitto della vigilia
e non c’è festa, né partizione
ma frenetica violenta
accelerazione. è un mondo
in piena quel che si scatena.

nubi

passa il tempo
non violento prima
ora con le scure.
diceva mio padre
si passa timidi
a tentoni. poi
la luce improvvisa
come un fulmine
dopo le nubi.

cosa ci vuole per la poesia

ci vuole una sana
contestazione
si deve viverla
sino al midollo
alla radice del dente
sino all’apice del pelo
ci vuole tanta tanta
solitudine -passata
testimoniata dei silenzi
e le pellicine strappate
dalle bocche accanite ed irritabili
e presente in mezzo alla gente

quando nessuno ti sente
la reincarnazione
dei propri cari e l’intimità
dell’ombra a lato
nell’angolo remoto

dove nascono le muffe

e la carogna imputridisce

ci vogliono unghie
affilate e l’umore:
la sedimentazione delle parole
e l’urgenza dell’espressione.
una mutua detonazione
in questa ex nazione di morti.

s’eleva così il senso dell’urlo
e la parola è bandiera
la poesia allora è -deflagra
in aorta atrio ventricoli.

concerto

mondo ti sei spiegato
bene: sono stato e sarò
quel che vuoi. alle 22
nel buio pieno che sai
vengo a patti. stempio
per cortesia del tempo.
m’arrendo nel tuo concerto.

cornuti e mazziati

non neghiamo l’evidenza
della nostra effettiva ricchezza
non neghiamo l’incapacità oggettiva
della nostra infelicità, malinconia.
cornuti e mazziati, alieni e partecipi:
dualità d’ossimoro che ci fa popolo
nel costrutto vuoto democratico.
lo si riempia coll’ipocrisia debellata
lo si riempia col volto ribellato.

cappasanta

ho base per altezza
spezzata a metà.
i coglioni girano
e non so come fermarli.
sono dentro una cappasanta
ma non vedo perle
i porci sì. quelli
grugniscono e hanno le ali
volano imbalsamati
come cristiani.
sono sconosciuto ai più
anche a me stesso
leggo i libri al contrario
quelli degli altri
e poi ci metto i miei occhi
e le mie orecchie
e la mia bocca malandrina
senza il cuore
mica son scemo
quello è tutto mio
me lo tengo stretto stretto
faccio uscire il sangue.

la poesia dell’io profondo

facciamo solo la poesia carina
confessionale degli spiriti soffici
versi dolci delle piccole cose
come caramelle zuccherose
poesia soft per giovani educati
come messe di prelati. il mondo
è una cloaca sudicia, l`uomo e la donna
gender sproloquianti ed infami
scriviamo di sentimenti carini
mettiamoli a nudo con sussurri

siringhine di botox monouso
le grida al mondo fuori disperato
quello che hanno costruito nel tempo
anche i poeti, lacchè poco più poco meno.

 

se sei libero

se sei libero
scaglia la prima pietra
è così che conosci
l`impatto ed il danno.
l`anno è sempre più fortuito
l`hanno addomesticato i poteri forti
masticando e masticando
i poveri cristi. la luna
è ancora là a raffreddare i comici
e ringalluzzire i melodrammatici.
io mi scopro or ora
tra un`ora scenderà la brina
e avrò davvero -brrr-
un freddo indicibile. 

fradicio

sono fradicio di malumore
la stanchezza nelle gambe
e non ho corso in bici
ho pochi sani amici
stanno sul tetto adesso
mi guardano uscire di casa
vado al lavoro con un nodo in gola
le mani che fanno un male cane
la lingua sbatte sul dente nove.
e la testa vuota come una scatola di ninnoli.
sono un animale: scorreggio ed erutto
e quando ho cagato di gusto mi vedo
là in basso, informe, sderenato. sono io
mi domando? un malanno. un danno.

dei sé

hai le mani che sanno di patate
e sembrano. leggiadro però
come libellula recidi i raggi.
strappi uno ad uno
gli aculei delle piante obese
chirurgo demiurgo dei sé.
vuoi vincere il virus
ma ti fai maltrattare dagli uomini
quelli incauti ed incivili
come bambini nocivi.

hai messo 22 desideri
nel forno a microonde
timer rotto. sarà scotto
cioè lo scotto da pagare
sarà lo smottamento
dei tratti: il tuo viso
scomparirà deriso.

o forse diviso tra principianti.

vedo

vedo Steinbeck alla tv
una fotografia in bianco e nero
legge le sue lettere
1966 – guerra del vietnam
fronte di sudore
camicia bagnata
scrive e geme
dalla sua macchina
migliaia di parole
nel frastuono delle bombe
è affranto dalla bellezza
del paese asiatico
sfiora gli alberi
su un elicottero
invidia il pilota
le sue mani chirurgiche
Steinbeck è un cecchino
ma non lo sa
o forse sì
lo credo modesto:
spara parole di storia
odia tutte le guerre.

mi gira

mi gira sulla testa
il ventilatore le pale
vorticose -rumore bianco
nella sera umida.
fuori tutto il mondo
cerca riposo: riposto
sul sofà l’uomo stanco
celebra il termine
davanti alla scatola illuminata
che tutto tace
a parte sul ramo il gufo
curioso e costante
osserva la luna calante.

*

giorni cauti di sole tiepido
e tolleranza al delirio cittadino
scarichi d’auto, rapidi passanti
traffico. e mi viene da pensarti
mi viene da credermi oltre
il suono singolo, nota d’accordo.
e certo una parte c’è di ragione
ma anche una fetta di cuore
è quel poco che basta.

no, non vogliamo

non vogliamo la guerra
sangue disperazione
odio e cancrena
ma non vogliamo la pace
questa malsana stagnazione
questa morte cerebrale
striscia grassa di cocaina
che stringe la bocca dello stomaco
e non fa neppure rimettere.
ci odiamo come lavoratori
ci odiamo come disoccupati
bastardi e rozzi e dementi
ignoranti come indigeni
senza la coca-cola
inopportuni e vessati
ingrati ed indifferenti
sorci da laboratorio.

nuvole e biancori

sei reietto
scatola a mare
che schiuma
e ruggisce di sole
ematoma verde di foglia
tamburo battente
ponte di noia
funivia di gioia

come hai fatto a dirmi d’amore
crogiolarsi al sole
la mattina
tra le note
di fiori.

sotto nuvole
e biancori.

una notte di studio

è una notte di studio e lettura
quando ti senti vicino al poeta.
la persona che non si conosce
che risplende di verità d’esteta
o s’annera di fuliggine indiscreta.
e meglio così: nulla di personale
alcuno di reale -forse primordiale.
l’ignoto non ha privato sentimento
giunge il verso come suono nuovo
nel forse perfettibile battimento
nel mondo che screpola e inveisce.

il cielo

il cielo è opaca cappa di smog
guardo distratto come un ratto
solo all’altezza dei corpi
il primo mattino indifesi
con tutti i pensieri banali e lisi
chiusi nel bus, condensa di vetrate.
sopravvive di reddito minimo
la speranza del giorno migliore
fra un gioco di slot
ed un femore rotto
del pensionato minimo in bilico:
la democrazia ad uso e consumo.

notazione

cadono le note
sole nei righi.
cadono e fruttano
accenti -altre corone
indicano i tempi.
ci son sincopi
e crome lunghe
glissandi esasperati
virtuosismi decentrati.
e ci sono le staccature:
lente cotture
nel fuoco agitato
nel brodo creato.
serve sempre coscienza
anche nel limite
della decenza:
ciò che priva
rafforza -ciò
che è

è assenza.

incrociamoci

vien a volte d’incrociar gli sguardi
di nudi ed inerti passanti
come se fossero astanti
davanti ad aspettarsi
quella qual cosa
che non ha dimora.
nemmeno la rosa
contiene come una cipolla
tanti differenti e qualificati strati:
conviene il silenzio
non mostrarsi a queste ombre
nemmeno l’entusiasmo
potrebbe esserci ed esacerbare
come un miasma lungo la via
solcato dallo scolo per igiene
e per dolo.

non dimenticano

blaterano anime
in televisione
anzi solo corpi
credono d’essere vivi
ma le mani non dimenticano.

gli occhi spaziano
in gomitoli di colori
e di forme astratte
ma le mani non dimenticano.

ora ho voglia di cioccolato
in tazza. caldo. cremoso
giuro che sarò migliore.
ma le mani non dimenticano

gli strati sentenziano.

la notte affranta

la notte affranta
goccia di mistero.
la tentazione sta
nei battiti: uno due
uno due. uno due.

né un valzer
né una salsa
è un tempo di primordi
pesanti ricordi
frivoli antenati

risvegliati di senso
o perduti nel nero.
chiamano le stelle
una considerazione.
chiamano. assorbono.

quel silenzio disumano.

riarsi

martoriarsi di tutti i nomi
presi lungo la tua storia
vedersi in atto durante
e dopo raddoppiarsi
in errori e posticipi
avventurosi. erosi
dai tempi e da scelte:
il dramma del lemma
che non appartene
a nessuno. riapparirsi
in sogno e affrettarsi
a morire.

*

trasceso della luna piena
il peso carico di colori
impressioni e valori
un sasso gelido
ferroso bucherellato
messo su dal creato
sospeso a lato 
due centimetri all’anno
il globo abbandona
ma non si scarica
la batteria di quella sua luce
inane, ch’abbaglia la sera.

 

entusiasmo

l’entusiasmo è peggio del pianto
un miasma che si svolge lento lento
un fuoco fatuo, un fallo neutro
che si stringe man mano
cappio attorno al collo
eremo dei timidi scollato.
soffoca il meccanismo
più del pensiero
peccato di gioventù
più della tanto decantata
verginità. ed allora
la pace dei sensi è l’ultimo
soave sbadiglio
per alleviare quell’intruglio
di virgulto, illusione
legata libertà negata.
dissapore del giovane
altero distacco dei sensi
della maturità non annegata.

procedi

procedi per diritta via
anche se si smarrì
non a tentoni possibilmente
equidistante dagli ismi
e con gli equilibrismi del caso
e comunque non sistematici
né afrodisiaci. né messianici.
lasciali scannare sulle ossa
dei totem morti, lasciali
nel loro brodo primordiale
lasciali tifare i loro idoli
s’infileranno soli e sfiniti
nel terribile cul-de-sac
fuoco amico. della storia
che ignora.

*

i silenzi catturano
anime delle cose.
oscurano i passi
slacciano i lacci dei tempi
s’inarcano negli anfratti
le pause. c’è un sole
che vive e di se stesso. i miei occhi
ti comunicano una stasi nel fare
i miei occhi son qui per dire.
e non apro bocca
come una carnivora
che non ha fame.
sarà un tempo di soli colori
e forme che distraggono.

*

son tutti esegeti della loro opera
come piccoli Mosè
nel prosciugarsi dei corpi
e delle idee.
rifuggono ironia
e pronunciamento.
sono scapoli e senza padre
la madre se la sono dimenticata
al freddo, lungo l’ordine
prestabilito.
ho l’incoscienza
dell’iconoclasta:
servitemi pranzo e cena
(per favore).
s’accende a comando
la luce
in una stanza già buia
come il tempo dei moderni
cantori.
giocano ai quattro
cantoni.

*

il fiato è corto
respiri quest’aria di morto
esci dalla fabbrica a bocconi
quasi a nuoto. la plastica
dappertutto, dall’acqua
alla coca da due litri:
questi tipi da spiaggia
che ogni tanto son votanti
non sanno in quanti rimarranno
per vedersi continuare nei figli.

figliano  a tratti armati di guanti.

servo nell’arena

vien sera, il giorno si dilegua
via si porta la malvagità dell’arena:
l’imperatore guarda assorto
investe d’impossibilità lo sciocco.

gelatina

s’attraversa per via avversa
per emozione e scoperta.
quel poco sole attrattivo
nulla sa poi della fatica
della difficile colluttazione
innominabile sudore.
il moderno mondo
è lo sfondo di fantasie
irreali: reali l’isolamento
ed il cammino equidistante.
e crescono le parole
come commestibile gelatina
che riflette il tutto
a distanza di sicurezza.

i nomi

tutta la mia impotenza
è questa coperta di canicola
questa sudicia truffa dell’estate
coi bagnanti e le puttane
con la mascherina da chirurgo
le videochiamate del sesso sicuro
i vicini che spiano in silenzio
dietro facciate di sterco e caldo
ho le palle piene dei bravi cittadini
quelli che strapagano le tasse
hanno solo una donna
e vomitano -nel caso
in silenzio, chiudendo
la porta del bagno.
a chiave ed uscendo
non pregano più un dio.
tutto il sudore gettato alle ortiche
lo strazio muscolare
della sopportazione
la maggioranza che è sempre
più silenziosa.
ho le palle piene
sanguinano
e questo sole assassino
che scolora la lamiera
la plastica.
e non incide
i nomi.

uomo adorato

l`uomo adorato
agghindato e mondato
risoluto e prudente
incauto manovratore
non è dorato
è una cloaca
una sacca di sterco
un putrido verme
tocca tutto
a sua immagine
plasma modifica lercia
immerge il cielo nel nero
petrolio come acqua
e ha sempre sete
implora violenza
ma la deplora. la indora.
terracqueo dittatore
accarezza e frantuma
nel giogo nebbioso
della logica o dell’impulso.
come fai ad amarlo
come fai ad odiarlo.
in toto. in loco.

abrasione

stende il rosso panno
è una poesia d’opinione
è una poesia
che è un po’ narrazione
didattica predatoria
epistassi partitica
una divulgazione buonista
una poesia fatalmente
acconciata da femmina.
chi fa da sé
fa per tutti.
saturata snervata
sepolcremente imbiancata
rasserenata rasserenante:
lei ci mette tutto dentro
a forza. contiene il mondo?
Mahler a tutto tondo
ed invece c’è lo smottamento
del fondo -tutte quelle parole
semplici per esserlo
tutte quelle manie
spettacolarizzando il creato
meravigliato poco meraviglioso
in verità per sempre è la verità
scrisse un inglese.
lo sforzo è tutto del lettore
per hobby ammiratore
gli piace farsi imbonitore.
addormentarsi succube
da intenditore.

oltraggio al buon senso

qui momentaneamente
per sentito dire, per scambio
per errore, per mentire.
salviamoci con l’uso dell’interiora
e l’equilibrio delle mani
fra carezza pugno. ed il muso
duro dei compagni, buon senso
molta saliva tanti rospi:
non tutto è oliato, grippa spesso
perché non basta l’umanità
gli eroi son illusioni
si procede maldestri a tentoni:
la torcia domani chi la porterà
nel buio nero infinito interminabile
fra fantasmi, trabocchetti, dolore
chi sarà il Diogene tra le pene
chi ci prenderà per mano
per portarci fuori dalle tenebre?

tempo d`altri

riviverla ogni mattina
la mattina coi merli
i passeri che cicalano
il gatto di soqquatto
il vicino che fa la spesa
riviverla quest’aria dolce
di smog e bucato
tiepido soffritto
quest’aria sbarazzina
un po’ settembrina.
cara mattina poco prima
il lavoro sta arrivando
col suo carico di noia
di sguardi solitamente
ipocriti. riviverla ogni mattina
nel dolce aroma del caffè
nel perché delle scarpe
allacciate e allargate
cara mattina non sei libera
del tuo potenziale
un poco demenziale
sei tempo d’altri.

scava

la luce scava la materia.
l’oggetto è pura illuminazione
teatro tutto esaurito
autoriale pubblico.
più in là lo sterco del cane
l’afflizione del corpo
in putrefazione -il gioco
imperterrito d’ogni cacciatore
preda e amorale predatore.
anche nel sole
il nero liquame
della putrefazione.
dalla merda
nascerà il fiore.

riempiono

son acceso come una torcia
oggi che le cicale riempiono
l’aria e l’ossigeno incandescente
non combina la gente
distanziata per teorema
un po’ per diffidenza
un po’ per credenza.
l’empatia si scioglie
come ghiaccio
e l’intelligenza è stremata:
le danno tutti addosso
è un prodotto di facciata.

giocano

giocano i bambini
sotto al sole rovente
palle scivoli rincorrono
la vita in bici. s’azzuffano
come quarant’anni fa
i motivi son gli stessi
nella polvere l’erba
tu mi dici che fummo diversi
io non ricordo più
o poco o niente quei riti:
si passa di palo in frasca
coll’indifferenza silente
del tempo. la sera sempre
poi è un gioco solitario.