sotto i ponti

il lavoro è asfissiante e noioso
col diavolo si vieni a patti
e la partita non è mai patta
ma guai a perderlo
finire sotto i ponti
non è mai democratico
è il viatico dell’ospedale
psichiatrico.

morente intelletto

son vecchi e consunti
affermati e bisunti
tutto il tempo a lamentarsi
non c’è classe dirigente
il paese è in balia del niente
impantanato nei miasmi degli –ismi
pontificano, proclamano e diffamano
trovano il corpo il viso il simbolo da odiare
non li ho mai visti in anni
entrare in contatto col male
far orgogliosi i loro perfetti danni
esercitarsi nell’azionariato dei malanni.
l’anziano educatore evidentemente
inacidisce solo e ciarliero
al sol contatto medio con la gggente
intascando ovviamente 100 volte
il salario dell’ultimo residuo d’operaio.
basta infine mantenersi il capitale
o abbandonare il morente nazionale.
mangia a sbafo, è letterato. o derivato.

sotto la neve

sotto la neve
c’è una città
che non ricrescerà
i vecchi mancati
i giovani arrabbiati
sotto la neve
c’è già silenzio
sotto la neve
sogni e dolori
sotto la neve
tutti i guadagni
sotto la neve
c’è un cuore
congelato
un bimbo
che ha giocato
un’esistenza
di cartonato.
non trema la terra
sotto la neve.
pare tutto pacificato
con la neve.
dicono che il freddo
disinfetti e la terra
sia guscio lucidato.
eppure mi sembra
d’aver dimenticato.

cade la neve

cade la neve
sparisce il marciapiede
e tutte le righe bianche
e tutte le aree nere
s’occulta la forma, il disegno
ciò che è stato
basterà ciò che non è bastato?
tutto sarà diverso
pure la luce dell’universo
inverso dell’avverso
cade la neve
e non ci posso far niente
l’osservo incompetente
cade la neve
con somma grazia
fra la gente
come per alleggerire
la mente
cade la neve
cade la neve
fra la gente.

non avrebbe peso

non è dato tornar sui passi.
se fosse gl’indovini i pollici
si giocherebbero. e la malinconia
non avrebbe peso, maturando
sull’albero, senza cadere mai.

michel petrucciani

Michel era un moncherino delicato
con le ossa di diverse lunghezze
frangibili come il cristallo
lucenti e trasparenti
il sole della musica arrivò forte e chiaro
con due manone che massaggiavano
e all’occorrenza bastonavano
i tasti del pianoforte
in besame mucho il tema
è variato e rivariato
trasformato e celebrato
e tutta la malinconia dell’amore svanito
traspira dalla coda del pianoforte
che flette e vibra come un acquazzone
una tormenta un terremoto un tifone
o come un contrappunto bachiano
o un adagio cantabile di Ludovico Van
Michel ti vidi dal vivo
minuscolo capitano del gran coda
sguardo puntato in alto
come alla madonna
que tengo miedo tenerte
y perderte después
nascosto da una calca eccitata
20 anni fa o giù di lì
ti conoscevo solo da qualche cd
ero solo come altre volte e curioso
mi sei rimasto impresso con l`eterno
come l’immagine sulla celluloide
per un paio d’ore m`hai rubato l’anima
quando volevi suonare le note acute
t’aggrappavi al legno come una scimmietta sudata
e sbatacchiavi i polpastrelli
nelle strette e legnose acute note
come un re.
che forza sovrannaturale quell`uomo minuscolo
tra l’altro gran scopatore
piccolo grande genio.

scrivere e leggere

quante poesie, semplici
e comunicative, si possono
scrivere? quante nostalgie
e malinconie. tutto s’aggiusta
col buon senso, coll’intelligenza.
e l’empatica tolleranza
del lettore.

libro

prendo il libro e lo apro come una mela
un libro nuovo o fermo da tanto tempo
fa resistenza e non vuole essere letto
un corpo vergine s’illude d’inviolabilità

ho pensato così oggi in libreria, al buio
con la fame del guardone di vite altrui
m’è sembrato il grande fratello gemello
io sono dio e vi spio mai sazio dall’alto.

musica e parola

quando Beethoven divenne
sordo
finalmente non sentì più gli uomini
e forse
incominciò a sentire dio o un alieno
o a sentirsi dio o alienato
anche se sentire non sarebbe
il verbo adatto.
comunque all’inizio fu il verbo
in realtà una sorta di musica
s’alzò al cielo
come un passero solitario
forse acuto meteorismo
eppoi si fecero alcune regole
e gli italiani cominciarono
a creare la prima musica
con gola e polmoni
e forse gli alberi
le foglie, le mani.
dicono che il suono è prima
della parola
e che poi il mondo è
come la parola intende-
ne sono convinto
penso che anche Beethoven
ne sarebbe sicuro sostenitore
nella Nona ha provato
a trarre punto di comunione.

recidi

recidi anche il fiore ma non tutto lo stelo
nel viaggio leggero cantarsi di un velo
sapor di vero, che la radice potrà cantare
nella deriva del mare. zompa sul mondo
accarezzalo, imbriglialo: c’è sempre una notte
risolta nel giorno. tutti sono quel che sono
anche nella stonatura d’un canto ed io mai
t’impedirei l’incanto dorato del volo.

si lavora il sabato

si lavora il sabato
e anche la domenica
un tempo si diceva
sacra la domenica
ora è sacra la produzione
e tu un pigro bastardo
e tutta l’induzione
del senso di colpa
di non aver famiglia
perché si è cool
se si è soli
apolidi, trasparenti
indecifrabili, intermittenti
migranti
contabili della specie
che non cresce.
la famiglia è fantasma al market
tra le montagne di nulla
che sembra mondo
è un limpido giorno di sole
ma fa un freddo pungente
io sono luce fredda
ma anche polvere e incoscienza
ed un passato che morde.

poeta poeta

poeta fatti capire
non sederti sulla cattedra
non procrastinare l`avvento
non stendere panni rossi
i santoni sono ridicoli
e quando fanno ommmmmm
non insegnano nulla
che già non si sappia
e il loro canto
è semplicemente
quello del mondo
che non ascolta
poeta, poeta
vieni qua, scendi dalla casa 
sull’albero, ascolta attentamente
il cinguettio degli uccelli
ma anche il rumore della pressa.

sognanti

la gente viene e va
spento giorno
nel ceruleo alone di nuvole
poco sogna e guarda
l’operaio dal finestrone-
sogna un appartamento
con caldaia e garage
per l’utilitaria
ed un’altezza dignitosa
che più non sia infruttuosa.
l’africano gira con scarpe griffate
e cuffiette chiare
crede in terra
al paradiso nuovo
che già l’ha abortito
cerca la savana
tra le vigne
il deserto nel deserto dei sensi.
e la massaia è scesa in strada
con la borsetta stretta stretta
a far spesa, s’è arresa
in pena -sogni son di tutti
ma pochi son rimasti
per chi ostinato
resiste. od assiste.

*

viene il tempo del tormento
viene l’affondo del mondo.
tu eri contento del momento
avresti mai pensato al gioco
della statistica, del fato? no
è il contratto, le carte non firmate
sono loro che ti stanno abitando.
un eccitante anonimato.
il contrasto del coabitare.

pietra e rosa

c’è un giorno
dove puoi
cogliere la rosa-
d’inverno
puoi impugnare
l’arenaria nuda

anche il desiderio
sarà croce
e la malattia
non un tremito.

calca la terra
solleva la pietra-
sarà trasparente
come la neve
come la seta.

che cosa è il mondo

il mondo è il mantenimento delle cose
è un frigorifero per poveri
non cambia nulla
in questo tratto del cosmo
tante parole buttate a terra
calpestate come grano e bandiere
il pane è nero
e ce lo si guadagna
col sudore
pochi non sudano
e quei pochi hanno una paura fottuta.

ti credi divertente?

il giorno è stato senza
ritorno
con la portata assente
solo contorno-
deambulante come
un rottame
uno zombi privo di fame.
ho ancor mal di testa
la schiena rotta
le spalle doloranti
mica tutti c’han tanti
malanni, assieme
paiono un meccanico presepe.
un presepe di senza niente
gente silenziosa
non crede più in nulla
oppure si raggira
come una spira-
popolo bue
senza armature
popolo marea
di senza mete.

riscossione

ci sono giorni
in cui il fiore
non ha tutti i petali
apparirà d’improvviso
sfoltito e sbiadito.
a tu punterai il dito:

l’uomo forte
sempre cerca
un impari nemico
l’uomo debole
sarà quel nemico.
o forse ruoli intercambiabili
renderanno i destini
sconfinanti e labili.

la città satura

la città satura
di carne da cannone
dimmi il tuo nome
marea vivente
che sospiri,
e alimenti la gara:
s’evince che il migliore
dovrebbe vincere
nell’impresa darwiniana
della mercificazione umana.
la città brumosa
polverosa d’eternit celato
liquidi putridi e viscosi
uomini rischiosi
smarriti pudori -il pastore
attende di sgozzare
di persona le sue belle.
non turbate le pecorelle.

c’è la gente

a quarant’anni non socializzi
mandi direttamente a cagare
non c’è amicizia che tenga
né senilità che spenga.
gli sport in solitaria
rendono la gente minoritaria
microbica come ogni emergenziale
vita analogica meteorologica:
spengo tutto, non io
spengo il tubo
taglio il flusso
non l’anima mia
così vivo da ubriacare
il mondo e quell’altro
nella gemella galassia
termina l’asfissia
della gentecrazia.

mors tua

era un giorno d’inferno
un luglio arroventato
come l’acciaio fuso
sotto la pressa del sole
molti al mare, alcuni
in montagna altri chiusi in casa
con le tapparelle abbassate
i condizionatori a palla
come trattori senza terra d’arare
ma soltanto per tumulare
arrivarono efficienti e puntuali
con i loro strumenti e vari documenti-
un uomo morto sta facilmente
in un sacco nero, si ripone
con facilità e lo si dimentica
come immortalato
nel suo nuovo utero
surrogato.

*

non c’è un solo giorno
che non ci faccia sentire
disarmati, bruciati dal sole
rinsecchiti dal vento gelido
disidratati dalla salsedine
defraudati dal silenzio
delle grotte e degli anfratti.
non c’è un solo giorno
in cui il nostro sentire sia innato
non filtrato dalle scienze
dalle convenzioni
dall’educazione:
viene tutto a morire
tra le mani
come i calli
sono testimonianza.
non c’è un solo giorno
che abbia la consistenza
della pietra.

*

forse ci dovevano chiamare
morti già da vivi
nelle cantine le farfalle i sorrisi
l’humus dell’immortalità
nei diari e nei sudori, dei gulag forse
ebbero ragione e sentimento
della guerra che disinfetta
risale nella rugiada del mattino
di pace, eccoli gli eroi nostri
macchiati d’automobile combustione
e nelle scansie dei market:
dovevano darsi altra chance nella luce
invece scesero nel fondo
coi serpenti e i liquami.

e tu come la chiami?

scrivi bene
con l’acqua alla gola
non usare parole volgari
(ma se proprio non puoi farne a meno
usale per aggiungere un colore all’arcobaleno)
non sei né maschilista né femminista
non interessarti alle beghe di partito
l’uomo è animale politico puro
o solo animale che pascola
non catalogarti e non adularti
facendoti catalogare
in un poeta in trasformazione
sia quello che sia a prescindere
dal tempo e dalla meteorologia
non espropriarti della forma
ma non dalla via così per un tozzo di pane
non cadere in tentazione
non sei un genio
tutto è stato già scritto
ma liberati dalla poesia
tutto è poesia
basta andare a capo
senza chinare il capo.

*

io di fronte a te
tu di fronte a me
ad un passo
uno di fronte all’altra
ma vuoi farmi una foto lo stesso
come presenti non viventi-
cosa credeva quella tribù d’indiana
la foto che ruba l’anima
o qualcosa del genere
noi due
ce la siamo presa
vicendevolmente
prima di confluire
nella convenzione sociale
mi hai portato in alto mare
adescato e rapito
passato alla ghigliottina
della passata gioventù
ricordi le ore piccole
con le dita e i capelli
intrecciati
nella corda di noi?

ipocondria

la malinconia ad insaputa mia mi porta via
mi solleva aliante, lontano come un brano
senza capo né coda, senza sole né luna-
privo vivrò, ma tutto vissuto e saputo
verrà un giorno senza ipocondria
d’età moderna estrema malattia.

elegia dei tempi

i risultati son andati
finiti prima del tempo
coi canditi: volevamo
uno stacco, abbiam
subito solo un grande
scacco matto.

*

a casa la sera
è un’abbuffata la cena
una corsa malata
mastico e butto giù
come una ninfomane
un invasato da daspo.
i denti digrignano
il corpo è grasso
ma ha ancora fame
pretende: le otto ore
si impadroniscono
del cervello, dei sensi
e il corpo segue
come un vampiro
ha ancora e sempre
bisogno d’ingozzarsi:
la produzione
non ammette ritardi
né rallentamenti.

*

dissero dei vuoti a perdere
del futuro anteriore
che è fumo, non errore.
dissero dei corpi esposti
delle frizioni, delle compilazioni
dei moduli, per lasciar traccia
fra le scartoffie. esistiamo spossati
nella biografia dei comuni
carta straccia di contravvenzioni.
né viventi, né cittadini. bambini.

avreivolli e non decisi

avrei voluto crescermi dentro
diverso, non come vogliono altri
coi diritti farlocchi nel cuore e
pulsioni omicide nei cervelli duci.
la civiltà occidentale crepa
senza nemmeno il botto
della fissione, la cenere inodore
dell’atomica separazione: assopisce
d’antidepressivi e per(d)io(!)dare
multicolore senza sesso.
ci sono voluti decenni
d’operai e riscaldamento
centralizzato per depredare
menti e carrelli.

*

tentativo d’aggrapparsi al quotidiano
come una goccia sul petalo
a nudi piedi, lungo bordo
dopo pioggia la notte.
saltimbanchi conosci
i seri e le storie fuggevoli.
confronti i nati oggi coi padri.
desisti eppoi miracolosamente
imperterrito con la quotidiana lotta
vuoi guarirti. i zavorrati pensieri
dalle carni esangui. i denti incarniti.
gli anticoncezionali dei sensi.
ed il tuo cammino- avanti.
guadagni i secondi una alla volta
come una rivolta, ti guardi attorno
contorni, stilizzi e affermi
e sei di nuovo da rifare
col vento e le foglie secche
col vento e gli acquazzoni
col vento e. col manto della neve
i colori delle specie, inveisci
corri ai ripari, incolli e demordi.
e sei di nuovo da rifare
col vento e le foglie secche
col vento e gli acquazzoni
col vento e.

veritas vos liberat

la verità
è una palla
che sta al centro
una vanità
per gente erudita.
la verità
è una maglietta
che sta troppo stretta
una elusione di tasse
e malversazione.
è una comunione d’intenti
di critici maldicenti.
è un mazzo di fiori:
io te lo porto
ti offro la cena
e poi tu me la dai.

*

ombroso raro canto d’uccelli
smagrito da vetri doppi.
tombato il volo nel cielo
plumbeo e fermo. solo
i gridi affettati d’uomini
selvaggi, ma servi. e donne
stanche come addobbi
in estate. turbato il tempo
inquieto il tempio, solo resta
delle ore rugginoso processo.

ricorda di tirare la corda

tenta l`azzardo

affonda lento e profondo

scala la montagna

sperimenta la purezza del cielo

non invaghirti di fighette chic

(anche se la palestra crea sculture

anche dei cuori più aridi)

ricorda che ogni bella donna è sopravvalutata

che le donne brutte possono anche essere sciocche

che le poetesse al reading

fanno vedere le belle cosce e i seni colti

che i poeti saranno quasi tutti di sinistra

anche se votano o non votano

la parte detta avversa

avranno una tessera

per aprire

tutte le serrature

vorranno tutti la consacrazione

vendendo tante copie

e la targa del presidente demerito

imbalsamato sul comodino

avranno tutti una teoria

naturalmente errata

ricorda che poetesse e poeti

in fondo pensano solo a chiavare

(non necessariamente tra loro)

e vorrebbero tanto bestemmiare

abbracciare lieti la volgarità unica santità

crederanno nel libero mercato

e saranno pieni di parole

per volarsene in paradiso

ridendo e bevendo con gli dei

o con le sole nuvole piangenti.

da dove?

da dove la luce
che vampa?
vitalità che preme
deborda come orda?
da dove i lampi
i lembi vincenti?

e da dove l’impulso
del battito ritmato
ordinato e convulso
onda d’arteria
che vibra ordinata
da un nervo o
d’idee, parole
coacervo? da dove

dimmi ora
con la semplicità dell’acqua
la trasparenza del cielo
dimmi ora
e se non parli
non aspettarti nulla
se non lucido intelletto
meccanica statica
elettronica e robotica.

tutto

risalta le cose piccole
minute, le abitudini
tendi la mano all’uso
nel microclima della serra.
apri gli occhi al pastello
a due, tre gioie. protendi
come l’albero alla casa
sotto la finestra,
dove guardi il cielo.
incidi, ma con discrezione-
ti basta tutto.

intenti bestiali

si sfalda l’Europa
che mai è stata
il fuoco nelle masse
addormentate
verrà dal rifiuto
della merce.
burocrati e politici
acquistati il giorno
dei saldi, senza guerre
coi lacci allacciati
i pantaloni griffati
ci voglion supermercato.
siam nati più volte
rinasceremo una
fuor di dubbio
fuor di gabbia.

il supermarket va a fuoco

un’anonima miope
giornata fredda di gennaio
pensa quando al supermarket
compri una deliziosa merendina al cioccolato
da qualche parte hanno distrutto
l’habitat di mille specie di insetti, rettili e mammiferi
e ridotto il costo del lavoro
alla soglia della morte.
pensa a tutti i conservanti
e- qualcosa, ai coloranti.
la chimica fa i miliardi
dal vecchio continente in poi
e gli ex-comunisti si scaldano ancora
col carbone, chi può si sposta
con motori quattro tempi del 1853
e infami diesel particolati
decine di migliaia
di persone vagano per le città inoccupati
in cerca di una qualunque eccitazione
che sia anche solo un piccolo foro in un muro
per scrutare una coppia di turgidi seni
delle mutandine umide (meglio bagnate)
un bel culetto palestrato danzante-
il mondo è sempre un bel posto
dove morire, nonché l’unico.

media veritas

la ricerca della verità
è una chimera. più visioni
sono nuove anticipazioni
odi tendenze inversioni:
il bandolo della matassa
si va perdendo
nell’ufficiale versione
in mondovisione

specchio e anima

specchio d’anima gli occhi
come fari d’un auto in corsa
tra la morsa del gelo e l’arsura
del deserto, quel che è certo
è che qualunque cosa vada di traverso
c’è un dipinto dell’umano intelletto
nella retina dipinto perfetto
che emana luce buio penombra
e quella forma d’umana grazia
di cui non si sa, non si spiega.

*

avevo tutta la strafottenza dei vent’anni
ora ho tutta la perseveranza dei quaranta.
ho vissuto bene e serenamente ogni anta
i suoi passaggi come blandi cambi ferroviari.
nessun deragliamento, solo incaponito
e determinato sino alla rottura. come un picchio
che perfora, anche il metallo
ha il suo punto di fusione. solo il cuore
pare refrattario: scende in cantina
e non ha paura dei fantasmi, del buio
del silenzio. bisogna avere
la tempra giusta. il sangue freddo.
l’educazione irreprensibile d’un padre
d’una madre.

mongoloide

era un ritardato
figlio di puttana
rompeva i coglioni
ai cinnazzi più piccoli
rubava giocattoli e bighe
li teneva in sospeso contro al muro
come burattini terrorizzati
con le sue manone zozze attorno al collo
puzzava di piscio
aveva una dermatite violenta
e schifosa
che gli faceva sembrare
il cranio la faccia nascosta e scrostrata
della luna-
quella presumibilmente
conquistata dai cinesi.

un giorno
rubò una vespetta arrugginita
e senza casco
ad una folle velocità
senza calcolare bene la traiettoria
si fracassò
contro il culo di una uno turbo
parcheggiata
stampando un lato del duro cranio
ab normal
sul paraurti cromato.

si tirò su
come un robot sprogrammato
e se ne andò blaterando
in un alfabeto extraterrestre.
una domenica periferica
come tante.

lo vidi altre volte
feci finta di non conoscerlo.
col tempo me lo dimenticai
come si dimenticano
le cose futili
o il tubetto del dentifricio
il tappo rotolato
nella tazza del cesso.
anche se a volte le cose futili
sono dei ritornanti
hanno il sapore
d`un passato che non si rifà.

la fatica ogni sole

traditi dall’ideologia
traditi dal tempo
traditi dalle generazioni
dai figli che hanno ucciso
e resuscitato i padri:
la morte ha sempre quell’odore
e la vita quei colori domestici
violenti persino.
ed il reale così reale
vero sino alla prossima
fatica. ogni giorno
deve apparire una sconfitta
così da figurarsi
una vittoria qualunque
non d’una rossa bandiera.
è il mondo
una forcipe galera
sfida ai benpensanti
alla chiesa balera
all’anima guerriera.

buia sera

così buia la sera
non s’accendono stelle.
religione s’e fatta
d’economia, mercato
sacrario, ora ossario:
punge l’individuale
nei tratti oscuri del creato:
non fu luce
dove si poteva accendere.

versare dei versi

scrivo versi
non di prima qualità
ma col sangue arterioso
di un giorno ventoso
e se vuoi
accendendo il pc
puoi farti un giro
sulle parole mie
a gratis
come dicono
storpiando
i poveri nelle periferie
(quelli che nessuno vuole
quelli che esistono solo
un mese prima delle elezioni).

non sono un intellettuale
non leggo quello
che avrei dovuto leggere
non andrò in televisione
e nessuno mi verrà
ad intervistare
per sentirsi dire
chissà quale verità

sono comune
come il pane
semplice
paesano banale
anche un pochino populista
per quella sinistra sinistrata
che non serve più all’operaio.
tutto a gratis
compagno di bevute
siamo al bancone
io ti offro un cicco di vita primordiale.

lei, lui e la casa in legno

lei vuole una vita semplice
persino prevedibile.
lui non ha studiato
non ha lauree
né specializzazioni.
lei disillusa
dalla grettezza umana
e dalle lunghe file in posta
lui specializzato in speranza
per poveri diavoli-
sciocchi nullatenenti
che vanno a lavorare ogni giorno.
lei vuole una casa in legno
e afferma:
se viene il terremoto
non moriremo schiacciati
dal cemento disarmato
dal laterizio affranto.

giornate di sole

nelle giornate di sole
cresce tutta l’illusione
l’illusione che tutti siano buoni
che tutti siano giusti
siano fatti di libertà
e rispetto
oppure che gli altri
siano spregevoli e stupidi
e noi siamo nel giusto, nel bene
che loro non capiscono
perché non hanno studiato
e non pensano col cuore.
si fanno sui social proclami
si fanno versi leggiadri
si osserva il vicino
con un che di mistico
o di mostro.
nelle giornate di sole
ti vien da sorridere
come mai prima
e i sorrisi son gratis
e la voglia di vivere
è una vela maestra
in un giorno di sole
col mare di sotto
come il cielo. azzurro.

arriveranno arriveranno

arriveranno i poeti
e faranno piazza pulita della banalità
della bruttezza e dei fascismi, di tutti gli ismi, degli spasmi
dei malanni, tronfi balenieri. arriveranno le poetesse
e ci regaleranno sentimenti puri e merlettati
il rosa confetto del contratto d`affitto
non sapranno come avvitare una lampadina
o lavare una mutandina
ma basta e avanza la loro stanza, pop illusa
primavera desnuda
arriveranno i poeti
e non saranno massacrati d’amiconi critici colti
ma ignorati dai vicini di casa ignoranti, con gotta e panza-
la casa rimarrà impolverata
nella via in fondo
nella periferia sconsacrata 
arriveranno i poeti e le poetesse
e non diranno nulla di serio o faceto
tutto risaputo, tutto venduto
staranno muti compiaciuti
sulla riva del fiume col passero e l’aneto
in attesa di un cadavere
il loro. quello di un lettore.

odium

m’odio fino al midollo
m’odio perché odio
dio che manchi all’appello
di un’umanità distratta dal gioco.
sotto casa puttane nigeriane
istantanee nere nella notte di pece
e sfioriti marcantoni, trans brasiliani
rompono il culo alla notte di stelle
ma le stelle non piangeranno
perché la luce dei led
le rintuzza nel mare di catrame
luce pagata col sangue
di chi non sceglie.
amatevi allora finché potrete
scorticatevi e maledite
inveite e farneticate
nello sterco d’uomo
nel calore del sole
anni luce distante
eterna badante.

macigni

parole son macigni
e come quelli in riva
da sponda a sponda
sulla cresta d’onda.
oppure sotto
facendo bocca a bocca
per ossigeno, una bolla.
le parole desideri
scommesse in fieri.
parole e parole
e parole ancora
come una prole.
parole vuote in sommossa
svuotate ed in rivolta-
le ho prese, riprese, comprese
per farcia di quelle -forse
persi la faccia, straccia.

*

                                …a D.D.D.P…

se non c’è chiodo
fai nodo
ci sarà mite modo
di far del suono
dinamite. suon felice.
che anche se non muovono
elidono. e commuovono.

realista statista

la luce incatenata
alla nebbia cielo.
salgono eppoi
scendono catene:
si sciolgono
nel sangue delle vene.
solide nelle menti
scinderanno in gioia
ed affanno.

corazón

l’anatomia del cuore
è una pulsione stanca
anche io non vorrei mai più usare
la parola cuore
né sentirlo nominare
come sfondo del mercato globale
delle lacrime
nemmeno il suo disegno sui muri pisciati
di periferia
e usare solo per trapianti
fra la vita e la morte
un cuore ritrova il suo vigore di muscolo
ritrova forse la dignità
del condannato a morte
la sua funzione
di pompa.
il cuore è un involontario.

incarni

tutto giocato alla roulette
dei giorni felici ed indigesti.
tutto affrancato dalla religione
e dallo stato padrone.

quando ti guardo
penso ad un flusso
un flusso continuo
d’azioni e contro.

in un ricco giardino
in un parcheggio vuoto
nel vuoto pieno della mente
che gioca ad intermittente competente.

un ammasso di carne
nel vento unidirezionale
del potere a sfavore.
una percezione del bene.

amore che canti e stoni
in chissà quanti
diresti mai che la creatura
che incarni non è pura?

così buia la sera

così buia la sera

non s’accendono stelle.

la naturale compostezza

sfibrata dal ghiaccio

ogni anelito di vita

come uccelli dormienti.

s’e fatta religione

dell’economia, mercato

sacrario, ora ossario:

punge l’individuale

nei tratti oscuri del creato:

e non vi fu luce

dove si poteva accendere.