siete strani

siete strani proprio strani
proni al potere
dite sempre sì
a forza di dire sì
ci si svuota
come il cuoco fa col pesce
un taglio netto
e via gli intestini.
qui lo scandalo vero
è che l’umanità è finita
e sono rimasti degli zombi.
nei film degli zombi
i finali sono sempre
brutti.
e noi facciamo un finale
diverso
va’
prendile in mano
quelle redini
guarda il sole
imita la natura.

amour fou

le puttane baciano il sole
e si riversano nei campi bruciati
dove auto sulfuree sposano
uccelli tiepidi. le puttane
non amano il baciamano
vogliono i contanti
non si sa mai che la moglie
abbia il conto cointestato
o una qualche priorità.
ciò che è stato è stato
vieni adesso vieni subito
ma senza smancerie
e parole dolci
senza sensi di colpa.
noi non ci amiamo
per questo ci compensiamo.
per questo saremo soli
solo amanti nei campi.

esserci

calano i ghiacci
c’è il virus
finisce il petrolio
non ci sono più
le mezze stagioni
hai mai pensato d’essere
una pedina -dove ti spostano
tu reciti la manfrina.
non hai tempo libero
non lo sei
libero
hai mangiato la foglia
sei la folla. la vedi
uniforme e melensa
fuori dalla mensa
quando le cicale cantano
all’unisono
un coro di frattali
che non hanno mani
e si condensano sul vetrino:
veniamo studiati
esseri a tavolino.

non faccio

non faccio niente
guardo la gente
e non mi piace niente
io quel che vedo
o sento poi
come un odore
un sapore.
metallo raro
acido tra le papille
e le pupille piccole
vedere lontano
ciò che è vicino.
non faccio niente
sento le cicale
nel giorno normale
sono cosa speciale
senza auto fabbriche
l’orrore muto del lavoro.

si sveglia piovosa, Lisboa

un portento il vento
poderoso infiltrante
soffiante errabondo
scava nella facciata
del palazzo forte
ha visto passato
diverso e possente.
a Lisboa l’oceano
porta aria fresca
non come la soffocante
pianura industriale.
si respira anche con più
di trenta gradi.
a Lisboa l’odore
del pesce. e si vive
tra cielo e mare
in pace. pace sofferta
perché a tempo
come la vita.

Santuario Nacional de Cristo Rei

a Cristo Rei il mondo
inizia e finisce. dall’alto
tutto splendido e tutto
così distante. rombano
i pneumatici sull’asfalto del ponte
25 de Abril -sembra d’essere
a Nuova York. semplificata
liturgia del Cristo dissolto
turistas a caccia di selfie
famiglie intere disperse.
sotto gli ulivi recenti
macerano le colpe:
io ho peccato. loro
hanno peccato.
siamo peccatori ed io
ho tutte le colpe
ma all’inferno non ci vado
perché sono buono
e non ci credo. eppoi
i buoni sono destinati
comunque a soffrire. sempre.

eccellenti

non sono triste
è che voglio vivere
e non trastullarmi
con ingredienti casuali

armamenti degli armatevi
e partite -dei ciarlatani
dei pavidi degli infidi

la notte non porta consiglio
dormo bene e non sogno.
ho qualità e difetti
i difetti li tengo per me

naturalmente

anche se salgono in superficie
come cadaveri eccellenti.
mai stato allo stato dell’arte
nel flirtare con la finzione.
né con l’illusione
si fa da padre.

dove sei Pessoa?

————————————Lisbona, 13 Giugno 2022

garrisce forte il gabbiano alle 7
nel cielo spaventosamente
grigio. l’osservo dalla camera
il vento fresco viene dall’oceano
come gli aerei rombano. forse
pioverà o forse no. le salite
di Lisbona sono un’esitazione:
dormire o veglia. scendere o salire.

la vista

s’inerpica la vista
oltre le lamiere ammaccate
della vecchia fabbrica fallita
dove sono finiti gli operai
che al mattino maledicevano
il capitale? inciampa la bellezza
nel cemento disamorato
e mura ingrigite e annerite
di smog. le vecchie
col viso ancora coperto
vorrebbero vivere
più dei giovani
più del lavoro
più delle stelle
che la notte fa sparire
con i lampioni a led.
maleducati e indifferenti
i giovani sembrano invece
già vecchi e non vivono.

conchiglie

la città è porto di mare
anche se le conchiglie
sono ornamentali
e la sabbia è cemento
brutale. la mia voce
è nel chiacchiericcio
di stanze vuote
ribadisco la mia astensione
a questo atteggiamento
di superiorità
e indifferenza.
ribadisco: sono uomo
e pensante persino
se lo dici oggi
passi per cretino.
eppure sei vivo
e ti fan credere
d’essere superfluo
ed inoltre inquinante.
sai cosa fa davvero
paura?
che tu sia fieramente
autosufficiente.

non c’è più tempo

non c’è tempo per nulla
oggi. forse per il sugo rosso
pomodoro industriale
con poco sapore acido
a far da consolazione
gli operai sono in catena
io li osservo stavolta
fuori dall’arena: m’accontento
della periferia esacerbata
che non guarda nessuno in faccia.
profughi lavoratori
immigrati emigrati
impiegati e barboni
capitani d’industria
tutti sono poveri cristi
lobotomizzati. hanno detto sì
una volta di troppo. è finita.

anni e anni e

gli anni s’impilano
come semilavorati
della grande industria
serie limitata e numerata
che porta ad una soluzione sola
così bisogna tentare di sfuggire
alla ripetizione -solo che oltre la scuola
lavoro famiglia resta poco e nulla
annichilimento delle idee personali
della propria modesta storia
resta una monotonia una sbornia
un intervento al cristallino
un no secco al padrone
la nascita di un figlio
il primo pompino salivoso
una levata brusca al mattino
davanti ad un’alba dorata.

mania

le 15 di un lunedì di giugno
il silenzio ha invaso tutto
penetrato nell’intonaco
dei palazzi stanchi e nei mattoni
scricchiolano come cani doloranti.
le mie mani inquadrano la periferia
tonfo degli squilibri e della siccità:
sono diventato altro che è quel silenzio
e la mia mania di comprendere.
sono diventato complesso articolato
sono ritornato io -mi faccio da padrone
per ora sono fuori da ogni questione.

sapidità

siamo poveri ma infelici
in parte coi pantaloni lisi
e i lineamenti decisi
da qualche creatore
che se ne sta lungo la linea
a tirar fuori i pezzi storti
e sbrecciati e strinati.
infila mani e piedi
e visi mediocri
e braccia corte
e dita mozze.
e lungo il trainar della macchina
il sudore e l’odore sporco
il grasso degli infelici
dei distratti dei redatti.

svanisce

mio padre svanisce
è ancora soffio nell’aria
ma va scemando.
un tempo sentivo
la sua stretta di mano
il dopobarba. il toscano
violento e pungente.
ora invece i cinque sensi
sono assenti. è idea
grumo di picchi
nell’encefalogramma.
nel battito di ciglia
una pelle d’oca.
mi stringo tra i viventi
e dei morti il ricordo
non ha più odore
né calore di pelle.

natalità negativa

c’hanno schiaffato al muro
c’hanno detto o così o sei fuori
l’ossessione dei diritti
la dittatura dei diritti
ma questa non è la libertà
tanto decantata
tutta pubblicizzata
e scolarizzata
chi l’avrebbe mai detto
che lo stato sarebbe stato il nemico
lo stato mamma e papà e assoluto
lo stato della kultura prezzolata
dei redditi garantiti
io ti elemosino un salario
ma poi fai come cazzo mi pare
lo stato padrone:
sei cittadino e sei mio.

solista

strani pensieri mi riempiono
la testa. il cuore è sgonfio
invece come una luna lontana
d’un pianeta disabitato.
certi giorni sono sciocchi
e le poesie non esaltano.
certi giorni si gioca in difesa.
certi giorni la malinconia
non è una scelta. allora
si riempiono gli occhi di gioia
fra un semplice zuccherato
ed il dettato della natura.
sussulto di vitalità latente
tra una mano giocata male
e la statistica. i bordi e la voce
forte e lussuriosa del solista.
e ulteriore segno della mia distanza.

padrone tu?

tutte le realtà fanno niente
eppure salati e zuccherati
abbiamo costruito niente.
casa al mare e tre lavori
la macchinona la moglie buona.
bollette e ricevute -fatture
e riti vudù. censure e chini
il capo -il padrone non sei più tu.

di quale odore

odora di metallo la maglia
e i pantaloni: oggi sono impazzito
mille volte col saldatore in mano
cercando una soluzione.
ma il mio sguardo umiliato
cercava la luce del creato
fuori dal posto di lavoro
dove vado a crepare lentamente
ogni giorno che dio mette in terra.
non m’interessa il mare
non voglio il reddito: voglio
una casa mia e il mio tempo
tempo per sembrare vivo
e lottare. un po’ m’amo.

com’è morta la città

com’è morta la città
senza le puttane sui marciapiedi
le loro cosce tornite
in quei vestitini di plastica
col culo al vento e le tette rifatte
che trasbordano come insaccati
da succhiare e leccare
in una viuzza nera senza lampioni
col cazzo duro come marmo
e la voglia matta d’infilarlo
punta di trapano in calore.
com’è morta la città
che piange se stessa
in cerca di sentimento
che non è mai stato
e non si sa chi ha esalato
un ultimo misero fiato
com’è morta la città
nei capannoni di cinesi
e alimentari paki
periferie scotte
e uomini di pietra.

il male

vi ho visto buttare
merda
sulla vostra gente
vessarli e rigettarli
impiccarli per le palle
per una semplice idea contraria
al flusso generale
vi ho visto
vi ho sentito
è stato tutto registrato
e non vi dimenticherò mai
ogni generazione ha la sua guerra
e la sua fetta di dolore
io finalmente ho vissuto la mia
e vi condanno
e non vi amo
non siete della mia pasta
mi dispiace per voi
ma siete il male.

la Settima di Sibelius

ho acceso la radio
e dentro esplodeva
la Settima di Sibelius.
mentre intrecciavo
e saldavo fili di rame
pensavo d’ascendere al paradiso
la pelle rovesciata in milioni
e milioni di fulmini e torrenti
ed enormi cascate fragorose
e la pelle d’oca era un orgasmo
di vita saettante. splendida
barricata alla paura.
la musica mi salva ancora l’umore
e la vita: con lei mi pare
di non dover morire
e vivo oltre il cento per cento
come una fiamma
un vulcano e le maree.

ricchi e poveri e ricchi

sono povero
sono semplice
sono ricco
sono complesso
sono cieco
sono il firmamento
ma non c’è il fuoco
mi hanno minato e sminato
intorpidito essere pensante
più pesante e assente
nella coralità pecoreccia
e non superiore di luce.
la lotta è una vana sicurezza
una vacua promessa: nessuno
rinuncerà a qualcosa
qualcuno sarà padrone di tutto.
andremo al mare
perché costretti al sorriso
e in gallerie perché rimossi.
ora mi sciolgo al sole
sublimo sublime apparecchio
che non vola.

il lavoro è finito

il lavoro è finito
c’ho dato un taglio
non lavoro da casa
non m’hanno sfrattato
ho l’orgoglio intatto
così al parco steso sull’erba
come una lucertola solitaria
posso sentire
l’odore della libertà
e gli uccelli tutti in coro
non elemosinare un’armonia:
si nutrono di vermi e bacche
e non vendono il loro tempo
pensa che bello vivere liberi
senza lavoro e il ricatto
d’uomini senza scrupoli
né le risatine tra i corridoi
e le parole finte.
pensa cos’è realmente l’equilibrio
la serenità e la bellezza sulla terra
e come noi abbiamo perso
tutto per un pezzo di triste
pane industriale.