sveglia ai vivi

oggi cerco lavoro e domani non so.
domani avrò il telefono in mano
o sul tavolo. vicino alla tazza
col latte ed il caffè. biscotti.
sveglia alle 7. colazione 7:30.
c’è il sole e le mosche piccole
odorano qualcosa nell’ aria frizzantina.
fastidiose come il datore di lavoro
in cerca di risorse. le persone
le hanno chiamate risorse.
le hanno discriminate e costrette
le hanno selezionate. la specie
ha bisogno di accelerazioni
improvvise. i vivi
succhiano il sangue
ai vivi.

banale

non hai chiesto
di venire al mondo
certo e nemmeno
di vedere tutelato
il forte contro il debole.
eppure la marea
è in parte della luna
e d’altre forze latenti
la luce un fascio
di particelle solidali
tutte a braccio
e l’umanità mille rivoli
che mai collimano.
l’intelligenza una leva
che pare non più
sollevarsi. col buon senso
altro eroe discreto
che corre controvento.
si notano le crepe
le dimenticanze
i lazzi. gli opportunismi
gli stregoni i folli.
e pure vale la pena
lo spettacolo del mattino
quando il sole si leva
e si mette in bocca
il primo boccone.

decisioni

decidono tutto per noi
cosa mangiare cosa fare
cosa sognare. noi deleghiamo
pigri schiavi lavoratori.
ammaccati ed opachi
d’opulenza e circenses.
e siamo numerosi -troppo.
il rumore di fondo è sgradevole
e loro non lo tollerano.
è così in passato guerre
e conflitti hanno inventato
e protratto nell’oggi mediocre:
il carnaio addolorato
il pianto di madre
il sale sulla terra.

anime

ti tolgono l’anima
ti danno il digitale
ti tolgono i soldi
ti danno vanità.

il vuoto distruttore
è asimmetrico: il popolo
o quella massa critica che è
si taglia voluttuosamente
in tante fette rancide
una contro l’altra.

molti si pagano la villa palladiana
le prebende chiudono occhi e voce.
la lotta è sempre orizzontale
e l’animale alieno e pensante
verticale. l’energia un lusso
che non è sovrano.

tutto è imposto
al di fuori del paradiso democratico
che dicono e magnificano.
l’occidentale prigione.
il nuovo mondo,
il migliore.

consapevolezza

scrivi semplice.
non farti il viaggio.
scrivi di cose che sai.
e anche di quel che
non sai: farai come i politici
però nessuno ti eleggerà
e non tradirai la patria.
trova la tua coscienza.
la tua consapevolezza.
scrivi di un temporale
e di una schiarita. evita
ellissi avviluppate.
il periodare splendido
e assorto. sei forse un guru?
concentra aggettivi
addenta e fai tuoi
i proverbi. poi
cancella tutto.
e ricomincia.
da capo.

mi guardo

mi guardo negli occhi
cinquanta volte al secondo
come sinusoide d’energia
lampo atmosferico
frequenza essenza assenza
di respiro come ipnosi
come sorpresa e noia
rimbalzo assuefatto
da un estremo e un altro.
sono quei due punti opposti
positivo e negativo
bianco e nero
yin e yang
bagnato e secco:
sono gas e mi ricongiungo
all’aria mobile che pago
sono materia e sublimo.
eppur si muove
ed è tutto fermo
chi si ferma è perduto.

osso

cosa resta nelle mani tagliate
nei calli secchi e nei cespugli
d’una memoria che si logora
e scompare. cosa resta del padre
morto prima della statistica
nel martoriarsi della medicina
lontana dall’uomo. e della madre
lavoratrice indefessa e ignorante
saggia ed insegnante. resta l’osso
la campagna. le mani che fanno
disfano per gioco. professione
e ancora tempo. ora silenzio
del mondo impermeabile
sordo ad ogni carezza.

il sole

alto il sole e lucente
la mattina un po’ stanca
io resto in stanza: non turbo
quest’armonia ed il cielo pulito
alita aerei lontani. silenzio.

indifferente (succede)

sei silenzioso e discreto
non ti caga nessuno
e questo è un bene
non devi assicurarti
di piacere per forza
alla mamma
al papà (che non c’è più)
ai figli ancora piccoli
per la malattia delle parole
e nemmeno farti odiare
dai sognatori e contraffatti
dai medi invidiosi
dai galoppini
dagli amici degli amici
la poesia è una coperta
corta
e ad una certa
non soddisfa
più
nessuno.
neppure chi la scrive
chi la deride
chi la venera
come una malattia
e
chi
ne è
indifferente.

in memoriam

perché fingete
d’esser ciò che non siete?
non siete tolleranti
né aperti
men che meno
liberi.

avete mostrato i denti
coi simili
la bava coi vicini
e le lusinghe
coi vip e i politici.

urlato dai balconi
per risentirvi uomini
con altri uomini
denunciato e delato
leccato e belato
per svuotarvi la coscienza.

ma non siete coscienti.
è forse colpa del vostro
gruppo sanguigno
o è stata la mamma.
da piccoli non vi ha sfiorato
una carezza.

poeti professionisti
hanno perso l’aplomb
per raschiare il fondo
disonorando le parole.

quindi riassumendo:
non siete cittadini
e non siete uomini.
e neppure poeti.

periferia

periferia romantica che si chiude
in recinti inanimati e pungenti
indifferenti e automatici.
periferia inumana come parole
di poeti alla moda
con le parole lecchine
di troie intellettuali
(il potere e i soldi
degradano il vocabolario
e le aspirazioni ‘bocchine’)
cinesi che si chiudono a riccio
e ogni tanto pugnalano e sfregiano
albanesi papponi
rumeni che rubano
pachistani infelici vendono frutta
e sognano giovani occidentali
senza mutandine
si fanno ‘bomboloni’ radicali
al chiaro di luna
tunisini incazzati vendono fumo
marocchini empatici smerciano coca
negri come bambini appena sbarcati
col cazzo barzotto
in cerca di figa bianca
carina con le treccine
dolce come lecca lecca
ops ops ops
io no pago affitto
io non faccio ‘opraio’.
bianchi pallidi ipocriti
banderuole tatuate
col buco di culo tatuato
inutili e vuoti
come discorsi politici.
l’ultima periferia
deserto inumano
io non la riconosco
non c’è pace in periferia
finisce tutto lì
come nel sifone
dello scarico.
è un tumore la periferia
ci mangia i piedi
e le mani.
ci lascia impiccati
come venditori di niente
anticipatori di vuoto
disorientati e disoccupati.

nascono e muoiono

nascono e muoiono
eroi tutti i giorni
che non s’immaginano:
s’impaginano etiche
antiestetiche degne
dei film horror.
oppure traforate fini
da angeli come opere
d’ingegno. io t’insegno
l’attesa: non è una resa
neppure un’ansia
il tratto interrotto
della penna a sfera.
si scavano sculture
si compongono sinfonie
si rima aforisticamente
alla finestra.

sangue

parlate di realtà
che il sangue rosso
viva ancora e sprizzi
e smettete d’interpretarvi
che nessuno s’interessa
a rivoli arrovellati
di femminei battiti d’ala.
avete orrore del mondo
è certo. e voi siete belli certo
che vi scavate come contadini
inerpicati nelle zolle.
ma non siete neppure contadini
non sapete del lavoro
non avete il pollice verde.
è opponibile ma solo per caso.
e la vostra lingua è prensile
delude sacro e profano.
ammettete la genuflessione
attaccate solo carta da parati
e non decoratela
non edulcoratela
con l’egoismo di partito
dell’ideologo. dell’ego.

chiodi

la poesia spinge i chiodi
della mia bara e latra
commoventi nenie astratte
come abbracci universali
e pensierini da catechisti
e fuggenti anatomie
di carne bruciata
e bulimiche mielose
estradizioni di buoni
rovelli umanitaristici
totem carini.
i versi scartabellano
in aggettivi così umani
ne rifuggo: la poesia
è una pietra gettata
sulla superficie del lago
alla fine del lancio
s’interroga sul fondo.

appena arrivato e giura vendetta Mohamed
è incazzato per tutto ciò che ha lasciato
e per quel che non ha trovato
ammaccato con qualche contusione
ha fatto il salto della quaglia col gommone
è un bel ragazzone l’han preso qui come minore
si è sempre sentito un po’ bambino
ora spaccia fumo e tanto altro finalmente
all’aria aperta col sorriso di festa
non ha fratelli e sorelle
né padre e né madre e figli
(ma un genitore a cosa serve
qui la gente li porta all’ospizio a marcire o all’ospedale
specialmente d’agosto quando col caldo infernale
viene meno il razionale spirito imprenditoriale
da salario minimo e civici animali.)
mi dice che il posto qui te lo devi guadagnare: acido
coltello botte. cocci di vetro. lamette e sampietrini
la piazza si stringe come una pinza idraulica
non è il paradiso. nemmeno un purgatorio
e ci sono a volte i tutori dell’ordine che guardano
fan finta di nulla: poco stipendio poco mazzo
e debbono stare attenti persino a come ti sfiorano.
Mohamed è sicuro: lo vogliono qui a tutti i costi
deve fare il lavoro sporco
quel che gli italiani non voglion più.
troppi culi e tette al vento
e troppi troppi culi rotti
donne che si danno la lingua
mano nella mano. Mohamed non ci va piano.
troppa finta libertà troppa esibizione del peccato.
è il nuovo mondo e va conquistato. e la concorrenza è sleale
ma per ora c’è questo. si può tirare a campare.

rodaggio infinito

finisce il giorno in un pensiero
di ritorsione. come un divenire
ma a ritroso. comincia il giorno
come finisse già fra nuvole
e gorghi. fra scatole e ninnoli.
trottole e forze centripete.
lo sviluppo è in ascesa
promessa una discesa
coi desideri e i gruppi.
tutto è regolato e controllato
carsico verme manipolatore
e la storia un cerchio di potere
di famiglie solite e debito.

chiarore

il sole tutto illumina
d’un chiarore lucente.
ma ciò non basta.
la verità è una bestia rara
rada di sabbia lunare
fuggevole come aria in bottiglia.
eppure tutto oggi è luce.
dietro ogni oggetto
l’ombra non retrocede
cambia solo d’angolazione
e non fa come il girasole.
il mio viso è fisso a quel grido
solo verità di luce
vorrebbe covare.

tutto

tutto traumatico
indecifrabile. evanescente.
non c’è buco intentato
o sviluppo di desiderio
inviolato. tutto s’accanisce
sulla carne fredda. tutto
svanisce poi. con acqua alla gola
tra i rivoli del canale asciugato
nel mantra defluito
dei pesci piccoli.
poche bolle testimoniano
il meccanismo oliato.
ho odiato i miei trascorsi
che non hanno oramai
più peso: paludate
rime meccaniche.
squadracce infami
dilatate come incubi
o accanite come gioie estratte.
come soldatini intirizziti.
o fluide serenità
nei giochi di lana caprina
dei giorni scorrevoli.
annegano nei ricordi
lunghi sfilacci smemorati.
paludati annegano nel tempo.

tango lento

c’è questo continuo scambio d’energia
tra fiori e carne per esempio
pittura e spirito
come una suddivisione posticcia
ma concreta e sanguinolenta
vampirismo eretico. violento
tra aria e respiro
temporale e mal di pancia
furore e cecità.
e le ganasce stringono tanto forte
che non resta che grido
lasciando in pace l’impercettibile
tremolo del filamento della lampada
asciugata d’umanità. fradicia
di compostezza prima del trapasso.
vederci allo specchio
è uno spasso
mentre ci dimeniamo tanto
come coda di lucertola.

post scriptum

rievoco passato e lasciato
me ne ossido compiaciuto
parziale o in toto come l’arte
accolgo il dolore presente
lo sfuoco lo scrosto. ne faccio ruolo:
ne faccio parte con l’arrosto…
entro e esco e riesco. fumo. siamo apposto:
non accontentiamo l’avanguardista
né dell’arcadia il partigiano.
la mia è un po’ d’ignavia
e quel sapor di gioco e pressappoco
non è tutto oro ciò che luccica
come il ragno che mi stuzzica:
oscilla tra due capi senza scettro della tela
va dove vuole come la vela.

manu militari

dentro osservo
la piana e la frasca
il colore e nera marea
schizzi e placidi
corridoi. e che m’induce
in tentazione e chi mi libera
e la stessa manu. capitolo
risorgo ed insorgo forse
con trepidazione. l’interiore
è l’investigazione -totale
abnegante. eppure sfugge
la luce rifugge e cela.

i buoni sono così buoni
loro accolgono amano abbracciano
sempre e per sempre
non importa perché
né quando né dove.
i buoni pontificano
da tutti i media acquistati
i buoni criticano aspramente
chi non pensa come loro.
lascia i buoni
riprodursi con la carta
e le vibrazioni nell’aria
bla bla bla
la loro cassa di risonanza
è la tua noia stemperata
dalla vita scialacquata.
i buoni dopotutto sono buoni
finito il dibattito.
non c’è mai stato.