più volte

vivremo più volte
forse. calpestati e derisi
sotto lo stivale
a far giullari e passivi
lecchini -golem di pasta frolla.
oppure lucenti bagagli di sole
eremiti di famiglie di madri
e padri. sommozzatori di verità
cercatori d’armonia. vivremo
all’altezza giusta
con l’universo a vista.
o assetati in minoranze
coi sensi socchiusi
come una muraglia.

niente è più di prima

c’era di norma nell’attesa
una strategia discreta del tempo
e dei derivati: non si coglieva
nessuna dietrologia né deriva
s’osservava per incanto
e non distrazione. come fumo
o piuma. estremi del ramo
e della radice. corteccia e tronco
fotosintesi e foglia. incanto
e atmosfera. respiro e ruolo
protagonista. s’era calati nella parte
completamente oppure etere
-giovinezza: eterna verginità.

non c’è più tempo

non c’è tempo per nulla
oggi. forse per il sugo rosso
pomodoro industriale
con poco sapore acido
a far da consolazione
gli operai sono in catena
io li osservo stavolta
fuori dall’arena: m’accontento
della periferia esacerbata
che non guarda nessuno in faccia.
profughi lavoratori
immigrati emigrati
impiegati e barboni
capitani d’industria
tutti sono poveri cristi
lobotomizzati. hanno detto sì
una volta di troppo. è finita.

i più deboli (non vorrai mica…)

improvvisamente con un virus
scoprono i più deboli
come non ci fossero
stati mai. i più deboli
hanno la loro voce
falsificata. la loro
aura santificata.
muoiono ora
latrati dei tiggì
e morivano prima
ma prima nelle camera anecoica
colle braccia spalancate
le parole di circostanza
del fine vita.
è cambiato il predicato?
il complemento oggetto
è sanificato dall’ipocrita?
dovremmo dimenarci 
nel terrore come aracnidi
stufati? dovremmo
prostrarci alla fantascienza
della scienza statale?
avete tolto Dio per obsolescenza
ora ne abbracciate un altro?
più carnale, meno ancestrale
capovolgimento fenomenale.

non c’è piú, è venuto a mancare, passare di là…

nostra sorte comune
la morte.
immaginarla
non è dato: una postura
un black-out
un soffio a mancare
forse.
nero seppia
tunnel senza sbocco
pace o inferno
chi sa
non può dirlo
chi vorrebbe
deve aspettare:
che di bello
ancora qualcosa
ci sarà da fare.

recordare

se non v’è più istinto è perché stesi un velo d’incognite
secretai desiderio, fisiologiche. è stato ciò
che si dimenticò tra i bisbigli della storia
perduta memoria. forse è stato sbaglio.
e tentato tentativo, certo. abbaglio.

pensierino morboso

nota a margine: barlumi baluginanti
fra migranti e astanti, siam stati
bastando, non ingombranti
nostalgia d’esser passati
decisivi non più, sfilacciati
bearsi d’ineffabili presenti
rassegnati, così siam assai
inefficienti, parenti ripetenti
dei già apparsi immortalati
assenti.

esser più vivo

chiusi pugni, assetati di coscienza
nell’acidula frontiera dell’imperizia:
rovello che non esplode brillando
cresce negli ampi margini
negli interstizi dei farò, ci penserò-
implode desautorando.
nelle strette crederò poi così d’esser più vivo
vegeto. tamponando.