città bagnata

la città bagnata senza pietà
oggi piove in ogni crepa
forse stasera nevica.
insignificanti s’inzuppano
tra una strada vuota
un’altra di polvere e cemento
freddo il vento incendia
i prefabbricati. nessuna luce
al tramonto. domani
sveglia tardi: si pulisce casa
si sentono i vicini andare
a scuola e al lavoro tristi.
se verrà la neve i rumori
saranno come i morti
e le mani gelate sapranno
del nuovo. così si marcia
con poderosa inerzia
con decorosa mestizia.

testa

giocano con la testa
ingravidano neuroni
come ovuli acquistati
al mercato dei poveracci.
un bimbo non si nega a nessuno
se hai portafogli e villa al mare
un lavoro nell’alta finanza
una barca. se hai tendenze speciali
più che natura un gran vizio.
egoista. però il mio dolore
non è in vendita: è la mia metastasi
la curo la coloro l’adoro
come s’ama una scheggia
nella carne. ed è faro rossastro
embrione spezzettato
da strumenti d’orrore
d’un mondo mediocre
che s’erge a cantore
cantore di morte.

piacere e dovere

mi piacerebbe esser felice
da dar fastidio. ma non è così
non lo sono il più delle volte
e neppure lo vorrei: sarebbe così
noioso. avere la perfetta forma
correndo ore al tramonto.
lavorare con piacere senza
il rintocco delle ore -della chiusura
tutta una giornata a non perder tempo.
poi penso che sto bene
non ce l’ho con nessuno
se non qualche fantasma
dietro al buio e l’acqua sale
sale e non scava. inumidisce.
nella giornata di pioggia abbondante
m’ascolto e non è poi così male.

no no

non mi catalogate
sono un fuggitivo
ogni tanto scrivo
d’orrore e di bellezza
non raggruppatemi
in un insieme perché
io non faccio squadra
io so esattamente dove e come
so a chi volgere la parola
a chi dedico una predica
a chi stringere la mano
non mi catalogate
non lo fate. no. no.
io non sono poeta
osservo solo il lento
inesorabile oblio
la stretta della materia
il canto dei muti
l’aureola del salariato.

muoiono

muoiono operai ad ogni ora
all’alba nel pomeriggio
la sera. e la notte coi vampiri
che salgono dall’inferno.
l’inferno è qui sulla terra
tra i crani lobotomizzati
di popoli invecchiati.
muoiono operai tutte le ore
schiacciati e folgorati
cadono dalle scale e si schiacciano
nelle presse e nelle macchine
senza interruttore: la produzione
non si ferma. il portafogli
dei soldi inventati
non è mai a dieta
è un obeso che ha sempre
fame. è il punto fermo
del mondo civilizzato.
e se nel caso non muori
in fin dei conti non servi:
sei una bocca da sfamare
una bocca che non deve fiatare.

classi lontane

la classe operaia non esiste più
solo terziario che avanza
telelavoro ad oltranza
non s’esce più dalla vita
senza un lavoro ad ore
senza un impegno in cucina
cucinando e programmando
si vive nella bolla di una professione
ombra. la classe operaia non esiste
eppure i prati là fuori sono sgombri
e le strade invece sono colme d’auto
in colonne. corrono come folli
e si chiudono nelle case.
sono gli operai di un tempo
in cui il lavoro sapeva di grasso.
e gli operai non ci sono più
sono un rumore di pressa
uno scavo nella testa:
dinosauri che fanno impallidire
i poeti. manovali delle cause perse
delle morti insensate
per pochi spiccioli al mese.

vomito autoriale

ti han costretto a consumare
il gregge ha bisogno di nuovi adepti
ti risucchia perché ne vuoi far parte
lo spirito gregario dell’umanità
in ogni società strutturata
ti ingegni ed inventi
poi ti adegui e ti rassegni.
in fabbrica avevi dei colleghi
organici al padrone -difficile
assai raro trovare un vero
spirito rivoluzionario. spesso
sanguisughe prive di morale.
a casa la famiglia aveva necessità
infinite. la vita nell’aldilà
una lunga e costosa
seduta di terapia intensiva.
e allora consuma e consuma
ancora -mangia bevi e crepa:
quella la puoi fare una volta sola
la fine è medesima per l’operaio
e per il suo padrone. democrazia
radicale della produzione.

catena

ricordo lontano il lavoro
come si vive bene non sfruttati
da un padrone come un altro.
si sta bene a casa col tempo
che non è concessione.
eppure l’idea fa saltuario
capolino e stringe cuore
e polmoni: il reddito mancante
è un sacco in meno di pasta
o riso. la produzione alita
sul collo. la truffa è una catena
prima alla mente poi alla caviglia.

la natura

la natura non ha torto
ha fatto il suo corso
il cielo sgombro come una tavola
d’obitorio e la serenità dell’aria
polverosa dei muratori
estorcono la vita a mazzate
e di martello pneumatico
manovali eroici e orgogliosi
hanno il potere nelle mani
ma continuano a guardare la televisione
la sera si fanno le domande sbagliate
e certo che sono stanchi
non ascoltano ludovico van.
non c’è speranza e se ci fosse
se la sarebbero già comprata:
il tre per due al cinquanta per cento
saldi di fine inverno
il cielo altissimo e sgombro
come la dichiarazione dei redditi
di un disoccupato esaltato
dalla luminosa giornata
che si spegne piano piano.

eremo

il cieco tuonare del singolo
barattolo ammaccato rotolante
calciato e strizzato
povero cristo che paghi
tasse e benzina -eremo
dall’idiozia e volgarità
particella elementare
dal loculo abbruttito
della periferia sfranta.
l’orrore però non dentro
ma fuori tra i rami secchi
l’acciaieria serrata
il sordo della lamiera
quel poco d’equilibrio
che lo tende verso il cielo
o un’illusione di pace interiore

l’attuale e il démodé

rigiriamo i difetti
come coperte larghe
in letti rigidi: uomini
e mezz’uomini e idee
e fantasie e illusioni
zuccheri e grassi saturi.
satiri e panegirici:
alle prossime elezioni
gli assenti saranno eletti
il popolo è un fantasma
che a tratti comprende.
è tutta una questione
e un risolversi in fieri.

mio padre

mio padre costruiva e progettava
le mani fresche d’adolescente
legno e metallo le materie vitali
saldatura di stagno -una vita
di lavoro nelle campagne al freddo
umido d’inverno e caldo torrido
d’estate fra cicale ridenti e fossi
di contadini con paglia nel cappello.
il vinile la sera alle cinque -barocco
italiano, un integralista: Vivaldi, Corelli
e Frescobaldi. fronzoli pochi
carezze rare, ma la precisione delle mani
dove posarle. i silenzi, l’attenzione
alle cose piccole. siamo fatti di cose piccole
come atomi e ci giriamo attorno sempre
ogni giorno per azione. per ricordo.

l’apodittico al potere

ti si scagliano contro
ti schiacciano e deridono
vessano -fanno i bulli.
lobby della politica scorretta
che falsifica e deforma.
il decadimento cognitivo
accetta ogni triviale perversione
o versione o decomposizione
persino dei maestri e non guru
maestri del mestiere
del dubbio del supposto.
al posto dell’umanità
il disumano imperio
al posto della discussione
dialettica delle menti discordi
il dogma roccioso
degli sciocchi burocrati
veri malavitosi. noi odiosi
odiati ci specchiamo
e riflettiamo: vediamo verità
a galla riaffiorare.

aggiungi un titolo

abbiamo schiantato la bellezza
sul cemento armato dei pilastri grigi
segregata nel ripostiglio di scienza e incoscienza
e la speranza sulla strada come una puttana.
le corse delle auto green sull’asfalto
caldissimo d’estate e ghiaccio secco d’inverno.
il sole delle diciassette spezza il mondo
a metà: luce e ombra come Borromini
e come Caravaggio sgorga sangue
cola come un esercito e s’infila nei camini
non è mica Natale: un po’ d’amore etero
e tanto tanto odio come orrore vacuo.
c’è il lavoro eppoi non c’è -i soldi in tasca
eppoi evaporati. non si toccano i lembi
le estremità. la meta non è neppure metà.
neppure oggi una sola occasione.

destarsi

tutto il tempo del mondo
tra il volo d’uccelli ed il trapano
che fora il laterizio stanco
planano passeri coi lombrichi
freddo glaciale dei miti
la terra non ancora secca
abbaia il cane sulla scena
bastano le parole per non morire
lungo i binari del treno
la società è tutto uno sfavillio
post traumatico. elevato
il numero degli illusi
di soprassalto all’alba
chi si desta è perduto.