non la faccio

non faccio poesia
alla mattina con questo caldo
non faccio poesia
perché mi sento bene
e non la faccio se mi sento male
e se è nuvolo e le cicale cantano
e gli operai entrano nelle catena
di montaggio. la poesia
non bisogna farla
è già lì, pronta. bisogna solo
acchiapparla e farne un incidente
frontale. spaccarsi le ossa
lacerarsi la carne. solo così
avrà un senso quel dolore
o quella speciale armonia.
quella malinconia
quella voglia di fare
di martellarsi
di sconfiggersi e riarmarsi
giorno per giorno
e la morte.

perfezione

ci sono tutti questi uomini
e hanno sete e hanno fame
non sono famosi né riconoscibili
da una torre non potresti
avvertirne le differenze
ci sono delle belle fighe
quelle sì mi tengono barzotto
bei culi belle schiene
gambe muscolose e affusolate
carnagioni scure
è ciò che rimane
e resta nei fondi degli occhi
stanchi di cercarsi un lavoro
da schiavo e allacciarsi
le scarpe ogni mattina
col ritratto del padrone in soggiorno
a farti l’acquolina
ci sono quadri che hanno soggetti
splendidi ed altri
che hanno paesaggi ancora più intensi
coi soggetti meno importanti
ed anche se vuoi fare la rivoluzione
resta una idea scarna e scarsa.
l’uomo è solo una via di fuga
l’uomo ha qualche parola in tasca.

stroboscopio

il pomeriggio arso di luglio
nella piazzetta senz’aria
col sole rovente. giocano
pochi bambini con molle
e cunicoli colorati. viene
a me il ricordo: niente
lo spazza via -non c’è
un filo di vento. ammetto:
nostalgico e ferreo
nel mio presente
piantato come olmo
nel mediocre boom:
né musica né letteratura
la poesia vera è sotto terra
nascosta ai baroni
elevata a mistero.
ma il vivere non lo è
è un taglio della mano
stroboscopio di sensi
vette di mistero
e m’accaloro di sudore.

grandangolo

nel grandangolo della pianura
arsa da sole e polveri sottili
stanno gli uomini soli col lavoro
da mattina a sera. obbiettivo
due settimane di vacanza
per dimenticarsi d’essere schiavi
sotto un ombrellone col vicino
di casa a pochi passi. eppure
non si rinasce e non sia va
in un mondo migliore. si scava
qui con le mani e le unghie spezzate.
se c’è pace è qui e pure guerra.
è nei segni d’interpunzione la vita
delle parole e la carne viva
nell’uomo la sua dissipazione.

e poi un miracolo

come son eleganti i quadri
i colletti bianchi in giacca
e cravatta inamidata
o coi tacchi e tailleur
severi e unghie affilate
le donne emancipate.
culi fasciati e aggettanti
tettine floride e profumate
bocche rosse grasse
uomini e donne forse
benestanti. uomini
e donne assenti aspri
egoisti. tu li hai mai visti
pregare? siamo forse pazzi
a vederli insieme a noi tutti
esacerbati e sfrattati?
cosa manca a noi e cosa c’è
in più in loro? la notte
dichiarerà guerra alla differenza
le tasche buche e le obbligazioni
cancellate. dopo la notte
una nuova visione. dopo
la notte ancora notte
eppoi note di pace:
può esser così
che si ricostruisce
e non si marcisce.

temerario

ci son ragioni per amare
questa accozzaglia di famiglie
con l’utilitaria e monolocali
questo formicaio di sconosciuti
che s’odiano e s’affamano.
ci son ragioni per odiarli
questi deambulatori di noie
e dolori o per estinguere
per sempre la malinconia
della città dei servizi e trasporti
non c’è più neppure una fabbrica
per morirci dentro col manifesto
di marx e engels tra le mani
urlando temerario al padrone.

proteggersi

abbiate una fede
proteggete cari e meno
ci sarà un diluvio?
creperà la terra
tutti giù per terra?
pioveranno rane
e noi tutti neoprimitivi
a farci luce con le clave.
tuttavia non è tempo di morire
ci sono ancora i bastioni d’Orione
e le porte di Tannhäuser
da visitare. siam talmente
piccini travolti da un insolito destino
-quello d’un bambino.
io vi dico che c’è comunque
ancora tempo
ammesso che abbia un senso
il nostro frignare
alla luna. la nostra flaccida
persistenza. l’ego
monocratico
da dio in pensione
scienziati ed affiliati.

prato verde

cancellate gli ultimi vent’anni
stateci lontano: non si vive in fabbrica
e non ci si arricchisce. il dovere è insegnato
dall’asilo e poi la famiglia scolpisce l’obbligo.
tutto sul muro del pianto e roccia afasica.
scrivete le ultime volontà e precipitatevi
su un prato verde e grande. prendete la ciucca
non pretendete d’essere sempre lucidi.
e non c’è verità: solo vivere vi renderà liberi
quanto basta per non perdere il senno.
cancellate gli ultimi venti anni. fateli fuori.

questo

il dolore certo
è un ritornello antico
una fiaba sempre verde.
il cielo è il soffitto del mondo
le nuvole svaniscono e ritornano
sul luogo del delitto
piove o non piove
grandina e c’è l’arcobaleno
le montagne cresceranno ancora
tu non mi vedrai più
né io te. il sangue del mio sangue
sarà alto eppoi a terra.
e di nuovo come un déjà vu
un fotogramma bloccato
un bit ripetuto.
la scena si rifilma
il regista non si firma.
nessuno ricorderà
nessuno saprà
di quel giorno
ora minuto secolo
in cui scrissi
questo
per me
per te
per nessuno.

che sento

sento le cicale
mi fanno compagnia
e so che è estate piena
e sento puzza di piscio
nelle strade ed il pattume
fermenta. e la gente è stanca
perché suda o perché non so.
ci sono i negri che spacciano
e ti sussurrano dal marciapiedi
e ti fanno l’occhiolino ma io
preferisco l’alcool della birra
e rutto e bevo. passo dal pakistano
un euro una birretta e mi trascino
tra le lamiere calde delle auto
come se fossi nessuno.
eppure sono passato qui
non molto tempo fa
mi ricordo d’ogni particolare
e i colori accecati dal sole
i ghirigori della street art
e la mia mania per la malinconia.
l’estate è un pezzo di frattaglie
annoiate dal troppo sole.
io odio l’estate. fra poco è agosto
un mese di sessanta giorni
una talea di sentimenti fratturati.

costrizione azione

c’è il severo e sonoro schiaffo
nella sera santa per silenzio e pazienza
se il sole nel cassetto ha giurato
di non offendere. pazienza se eroi
e puttane non si comprendono:
i marciapiedi sono saturi degli uni
e delle altre. non hanno salario
le idee buone. così a mani nude
si concentra la vita spermatica
contro gli ftalati: facciamo la guerra
alla chimica dei morti. incoscienti
ci getteremo nel fiume e la corrente
ci costringerà al pensiero.

a latere

la cicciona zigana vestita di bianco
e con la faccia bianca come un kabuki
qualunque ti da il pugno leggero e fischietta
beffarda. vuole spiccioli e forse
l’intero portafoglio. siamo per strada
con una birra fredda in una assolata
giornata di luglio. il centro fa spavento:
colonne di giovani ascoltano musica di merda
e fan finta d’essere felici. domani
non dovrò andare al lavoro
e mi sento fortunato. gli dei
o qualunque cosa essi siano
non sanno di me. delle mie piccole
paturnie. dei miei tremori.
ed io li lascio cuocere
nel loro brodo di giuggiole.
io. io sono il mio dio.

futili

noto che la poesia
è roba di sociopatici
e psicotici dietro le colonne
nascosti vicino a bar
con birra o cicchetto
umarèll con occhi fissi
su manufatti e scavi profondi.
o se ne stanno in cantina
in attesa come blatte:
è questione di fama
ma pure di fame. quando
si lavora da tutta una vita
le cose futili vengono abbandonate
per strada come puttane.
e non c’è verso di riportarle
sulla retta via.

pur

il temporale è stato modesto
così come la nostra vita
che attende la fine
con tutti gli orpelli di mezzo
le ferite e il giubilo castrato.
ci sono gli imbonitori certo
ma vanno schivati. ci sono
quelli del bicchiere mezzo
vuoto certo. e gli inventori
i creatori dei nuovi massimi
sistemi: le illusioni e i desideri.
ti mangiano la testa coi desideri
ma io torno a piedi nudi nel parco
eretto come mamma m’ha fatto
lucido testardo. è la mia mania
la mia forza. è che sono vivo
mastico e devo pur dirvelo.

era geologica

s’è lentamente spento il giorno
come l’altoforno dopo la morta
pianura e i tumori. il lavoro
non rende liberi ed il tempo
è lo specchietto per allodole:
restano il sabato e la domenica
per far baldorie e lo sforzo
del divertimento. la costrizione
della leggerezza dopo i giorni cupi.
mi salveranno le piante e un ruscello
le ciliegie: tutto naturale ed il mio tempo
liberato di disoccupato.

fuochi vacui

uccidete i poeti morti
che calcano e affollano
concorsi e ricorsi.
il commercio salva la penna
ed il corpo: esporto disse
la gioia e la sua storia
creo per diventare qualcuno.
io non ho mai avuto fretta
e mai ho voluto esserne
parte e controparte: uno
e nessuno. uno e centomila.
ma calarsi così nel ruolo
solo per vendere dei libercoli
ed esserne felici!? mi leggono
di sfuggita quando entrano nei bar
e vorrebbero farla finita.
oppure non mi frequentano
ed io vivo lo stesso
lontano da luci e tenui sospiri
che sono fuochi vacui.

ultrà

mai stato ultrà
ma spesso alla deriva
coi vecchi sogni
senza realizzo
col salario in mano
magro e temerario:
un’auto una casa
poco altro. sopravvivo
e penso d’essere vivo
manco e quindi sono
sono quello infatti
quel che non si vede
quel che non voglio.

amore fetale

l’amore è una scatola
senza logo. il logos
una approssimazione
il centro e la periferia
una inazione: perfettibile
l’enunciazione ed il fine.
ti amo e ti desidero
ti denudo come il re
e saresti mia. ma al primo
che passa fai la spia:
è finita improvvisa
l’era dell’incipit romantico
tutto fiori ed allegria.

oh, no no no!

sono lontano dal tornio
dal saldatore dal tester
dall’oscilloscopio dal datore
di schiavitù che tutto vuole
e tutto stringe (eh, le mie palle no)
sono lontano dalla fabbrica e sono felice
non mi mangio più le unghie
non scavo più nella carne secca
le pellicine come bucce
di frutti amari. la vita è fuori
la vita è fuori mi ripetevo
nel buio della luce soffocante dei neon
freddi come un corpo morto da sezionare.
mi ripetevo ancora qualche anno
eppoi ricomincerò a vivere
uno dopo l’altro uno dopo l’altro
e le ferie e la cena aziendale
e bacia i culi bacia le loro chiappe
in giacca e cravatta e paga le tasse.
devi dire sempre sì e farti i cazzi tuoi
non blaterare non pensare non devi svegliarti
sei carne da macello sei carne da cannone
metti la mascherina è consigliata
è obbligatoria con quaranta gradi all’ombra
fai il bravo e fai tutto ciò che lo stato vuole
perché in caso contrario
non si sa mai
potresti infettare di libertà
un tuo collega e poi un altro
e un altro ancora (sono ottimista)
dormienti sul posto caldo e deceduto
sarebbe grave
sarebbe gravissimo
pensare con la tua testa
e vivere non come un servo.